Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 773 del 16/01/2020

Cassazione civile sez. VI, 16/01/2020, (ud. 14/11/2019, dep. 16/01/2020), n.773

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17713-2019 proposto da:

O.V., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso

la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato GUIDO

ERNESTO MARIA SAVIO;

– ricorrente –

contro

PROCURA GENERALE PRESSO LA CORTE D’APPELLO DI TORINO, PROCURA

GENERALE PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE, MINISTERO DELL’INTERNO;

– intimati –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositato il

15/04/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 14/11/2019 dal Consigliere Relatore Dott. LAURA

TRICOMI.

Fatto

RITENUTO

che:

O.V., cittadina della Nigeria e madre della minore O.E.G. (nata a (OMISSIS) il (OMISSIS)), aveva avanzato la richiesta per essere autorizzata alla permanenza in Italia ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 31, comma 3, facendo presente di avere avuto anche un altro bambino ( O.E.D., nato nel (OMISSIS)) e di correre il fondato rischio di essere rimpatriata, stante l’assenza di titoli legittimanti la presenza nel territorio italiano, circostanza che avrebbe comportato il trasferimento anche dei due minori in Nigeria, luogo ove gli stessi si sarebbero trovati in una condizione deteriore rispetto a quella che vivevano nel Paese di nascita.

La Corte di appello di (OMISSIS), con il decreto in epigrafe indicato, ha confermato il provvedimento del Tribunale per i Minorenni di (OMISSIS) che aveva rigettato la richiesta.

Avvero il decreto O.V. ha proposto ricorso per cassazione con un unico mezzo.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con l’unico motivo si denuncia la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 31, comma 3.

La ricorrente lamenta che la Corte territoriale abbia trascurato di procedere ad una attenta valutazione del superiore interesse dei figli minori, avendo escluso l’applicabilità della disciplina sulla considerazione che i minori, stante la tenera età, non avevano maturato alcun radicamento effettivo in Italia e godevano di ottima salute.

Secondo la ricorrente, la Corte di appello avrebbe errato nel negare il radicamento in Italia dei minori in ragione della loro tenera età; avrebbe errato nel ritenere non meritevole la ricorrente in ragione di una denuncia penale per resistenza a pubblico ufficiale risalente a nove anni prima; avrebbe errato nel ritenere che non era stato assolto l’onere di allegare circostanze tali da dimostrare un effettivo e percepibile nocumento per i figli in caso di rientro in Nigeria con la madre, laddove tale pregiudizio era da individuarsi proprio nell’ingresso dei minori in Nigeria al seguito della madre, ove rimpatriata, che si sarebbe trovata a doversi occupare da sola dei due figli.

Sono da ritenersi sussistenti i presupposti di cui all’art. 380 bis c.p.c.

3. Il ricorso è infondato.

Va ricordato che il D.Lgs. cit., art. 31, comma 3, prevede “3. Il Tribunale per i minorenni, per gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico e tenuto conto dell’età e delle condizioni di salute del minore che si trova nel territorio italiano, può autorizzare l’ingresso o la permanenza del familiare, per un periodo di tempo determinato, anche in deroga alle altre disposizioni della presente legge. L’autorizzazione è revocata quando vengono a cessare i gravi motivi che ne giustificavano il rilascio o per attività del familiare incompatibili con le esigenze del minore o con la permanenza in Italia. I provvedimenti sono comunicati alla rappresentanza diplomatica o consolare e al questore per gli adempimenti di rispettiva competenza.”.

Come puntualizzato da questa Corte l’autorizzazione alla permanenza o all’ingresso temporaneo in Italia, prevista dalla normativa in esame costituisce una misura incisiva a tutela e a protezione del diritto fondamentale del minore a vivere con i genitori, mentre l’interesse del familiare ad ottenere tale autorizzazione riceve tutela in via riflessa, ovvero nella misura in cui sia funzionale a salvaguardare lo sviluppo psicofisico del minore, che è il bene giuridico protetto dalla norma nonchè la ragione unica del provvedimento autorizzatorio (Cass. Sez. U. n. 15750 del 12/6/2019, p.4).

Inoltre, secondo l’orientamento di questa Corte la temporanea autorizzazione alla permanenza in Italia del familiare del minore, prevista dall’art. 31 cit., non richiede necessariamente l’esistenza di situazioni di emergenza o di circostanze contingenti ed eccezionali strettamente collegate alla sua salute, potendo comprendere qualsiasi danno effettivo, concreto, percepibile ed obiettivamente grave che in considerazione dell’età o delle condizioni di salute ricollegabili al complessivo equilibrio psicofisico, deriva o deriverà certamente al minore dall’allontanamento del familiare o dal suo definitivo sradicamento dall’ambiente in cui è cresciuto. Deve trattarsi tuttavia di situazioni non di lunga o indeterminabile durata e non caratterizzate da tendenziale stabilità che, pur non prestandosi ad essere catalogate o standardizzate, si concretino in eventi traumatici e non prevedibili che trascendano il normale disagio dovuto al proprio rimpatrio o a quello di un familiare (Cass. Sez. U. n. 21799 del 25/10/2010).

In altri termini, i “gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico” ex art. 31, comma 3, cit., sono rappresentati da situazioni oggettivamente gravi comportanti una seria compromissione dell’equilibrio psicofisico del minore, non altrimenti evitabile se non attraverso il rilascio della predetta misura autorizzativa.

Pertanto, la norma in esame non si presta ad essere intesa come generica tutela del diritto alla coesione familiare del minore e dei suoi genitori, interpretazione che, proprio come affermato dalle Sezioni Unite con la pronuncia sopra citata, avrebbe l’effetto di superare e porre nel nulla la disciplina del ricongiungimento familiare “tutte le volte in cui per effetto dell’espulsione del genitore irregolare si realizzi la rottura dell’unità familiare comprendente un minore, muovendo dal presupposto che quest’ultima comporti per lui sempre e comunque un danno psichico”: ne conseguirebbe l’applicazione automatica dell’autorizzazione de qua, in tal modo trasformata da eccezione a regola (cfr. Cass. n. 9391 del 16/4/2018).

Alla stregua di tali principi, quindi, le situazioni che possono integrare i “gravi motivi” di cui al cit. art. 31 non si prestano ad essere catalogate o standardizzate, di guisa che incombe sul richiedente l’autorizzazione l’onere di allegazione della specifica situazione di grave pregiudizio che potrebbe derivare al minore dall’allontanamento del genitore (Cass. n. 9391 del 16/4/2018 e Cass., n. 26710 del 10/11/2017), non essendo sufficiente la mera indicazione del pericolo di disgregazione familiare, della necessità di entrambe le figure genitoriali, o l’allegazione di un disagio in caso di rimpatrio insieme ai genitori o a causa dell’allontanamento di un genitore: spetta, infine al giudice del merito valutare le circostanze del caso concreto con particolare attenzione (Cass. n. 4197 del 21/02/2018).

La pronuncia impugnata si conforma, nella sostanza, all’interpretazione appena richiamata.

Invero, la ricorrente non prospetta, se non in maniera del tutto generica e astratta, alcuna concreta situazione di grave pregiudizio per i minori trascendente la possibilità per gli stessi di seguire la madre in Nigeria e l’eventuale peggioramento delle condizioni di vita in quel nuovo contesto, mancando altresì di censurare in maniera specifica quanto affermato, in maniera del tutto condivisibile, dal giudice di merito circa l’impossibilità di valorizzare il radicamento dei minori sul territorio nazionale e il loro inserimento nel contesto sociale, avendo la ricorrente presentato l’istanza nel settembre 2017, soltanto pochi mesi dopo la nascita della prima figlia, oltre che l’assenza di patologie o disagi psicofisici pregiudizievoli a carico dei minori.

Giova rimarcare, infine, che la questione afferente la denuncia penale – su cui pure la Corte territoriale si sofferma per tratteggiare la figura della ricorrente che, nel motivo, ne contesta fortemente la rilevanza – integra, nell’ambito della statuizione impugnata, un mero argomento di contorno privo di valenza decisionale, atteso il preliminare e risolutivo accertamento dell’insussistenza dei gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico dei minori: ciò in linea con la recente pronuncia a Sez. Unite, ove è stato puntualizzato che “il giudice, investito della richiesta di autorizzare l’ingresso o la permanenza del familiare, per un periodo di tempo determinato, è chiamato in primo luogo ad accertare la sussistenza di gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico del minore che si trova nel territorio italiano; esaurito positivamente tale accertamento, a fronte del compimento da parte del familiare istante di attività incompatibili con la permanenza in Italia, potrà negare l’autorizzazione soltanto all’esito di un esame complessivo, svolto in concreto e non in astratto, della sua condotta, cui segua un attento giudizio di bilanciamento tra l’interesse statuale alla tutela dell’ordine pubblico o della sicurezza nazionale e il preminente interesse del minore ” (Cass. Sez. U. n. 15750 del 12/6/2019, p. 5.3.).

4. Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato, senza provvedere in ordine alle spese processuali in considerazione della mancata attività difensiva della parte intimata.

Va dato atto che il processo risulta esente e non si applica il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

– Rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 14 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 16 gennaio 2020

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