Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7729 del 20/03/2019

Cassazione civile sez. VI, 20/03/2019, (ud. 22/11/2018, dep. 20/03/2019), n.7729

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – rel. Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1769-2018 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrente –

contro

B.M.A., nella qualità di erede di B.G.,

elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI

CASSAZIONE, rappresentata e difesa dagli avvocati VINCENZO TARANTO,

MARIA LUISA CONTE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4277/13/2016 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE della SICILIA, SEZIONE DISTACCATA di CATANIA, depositata

il 07/12/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 22/11/2018 dal Consigliere Dott. ANTONIO FRANCESCO

ESPOSITO.

Fatto

RILEVATO

che:

Con sentenza in data 7 dicembre 2016 la Commissione tributaria regionale della Sicilia, sezione staccata di Catania, rigettava l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate avverso la sentenza di primo grado che aveva accolto il ricorso proposto da B.G. avverso il silenzio rifiuto formatosi sull’istanza di rimborso della quota pari al 90% delle imposte IRPEF ed ILOR versate per gli anni 1990, 1991 e 1992, richiesto dal predetto contribuente, residente in una delle province colpite degli eventi sismici del dicembre 1990, ai sensi della L. n. 289 del 2002, art. 9, comma 17, e dal giudice di appello ritenuto al medesimo spettante sulla scorta di una interpretazione costituzionalmente orientata della norma suddetta ed essendo, altresì, tempestiva l’istanza di rimborso. Avverso la decisione, con atto del 29 dicembre 2017, l’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione, sulla base di due motivi.

Resiste con controricorso B.M.A., nella qualità di erede di B.G..

Sulla proposta del relatore ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. risulta regolarmente costituito il contraddittorio camerale.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Con il primo motivo l’Agenzia delle entrate denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione della L. n. 289 del 2002, art. 9, comma 17, della L. n. 190 del 2014, art. 1, comma 665, della VI direttiva n. 77/388/CEE come interpretata dalla Corte di giustizia con sentenza del 17 luglio 2008 in causa C-132/06, dell’ordinanza della Corte di giustizia del 15 luglio 2015 in causa C-82/14 nonchè della decisione 5549 final del 14 agosto 2015 della Commissione Europea. Censura la sentenza impugnata per avere la CTR errato nel riconoscere al contribuente il diritto al rimborso delle imposte pur in presenza di attività di impresa.

La censura è inammissibile.

Invero, la questione posta a fondamento del motivo di ricorso, e cioè che l’attività svolta dal contribuente rientrasse nell’ampia nozione di impresa accolta in ambito unionale, non risulta essere stata esaminata nella sentenza impugnata, nè risulta documentato che sia stata prospettata nel giudizio di merito, essendosi l’Agenzia delle entrate limitata ad asserire (pagg. 3 e 6 del ricorso) che il contribuente, titolare di partita IVA, aveva svolto attività di lavoratore autonomo, senza tuttavia indicare gli atti e specificare la sede processuale in cui la questione sarebbe stata dedotta.

Va, in proposito, richiamato l’orientamento espresso da questa Corte, secondo cui, in tema di ricorso per cassazione, qualora siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, il ricorrente deve, a pena di inammissibilità della censura, non solo allegarne l’avvenuta loro deduzione dinanzi al giudice di merito ma, in virtù del principio di autosufficienza, anche indicare in quale specifico atto del giudizio precedente ciò sia avvenuto, giacchè i motivi di ricorso devono investire questioni già comprese nel thema decidendum del giudizio di appello, essendo preclusa alle parti, in sede di legittimità, la prospettazione di questioni o temi di contestazione nuovi, non trattati nella fase di merito nè rilevabili di ufficio (Cass. nn. 20694, 26129 e 26365 del 2018). Con il secondo motivo, in via subordinata, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione della L. n. 190 del 2014, art. 1, comma 665, come modificato dal D.L. n. 91 del 2017, art. 16-octies, convertito dalla L. n. 123 del 2017. Sostiene la ricorrente che lo ius superveniens di cui al suddetto decreto legge sarebbe estensibile all’odierno giudizio poichè l’art. 16-octies dovrebbe applicarsi a tutti i giudizi pendenti alla data della sua entrata in vigore, nella parte in cui riduce in percentuale le somme da corrispondere (o addirittura esclude che si proceda al rimborso) nel caso in cui gli importi complessivamente dovuti eccedano le risorse stanziate in bilancio.

La censura è infondata.

Secondo il costante orientamento di questa Corte, la novella introdotta dalla L. n. 123 del 2017, art. 16-octies, comma 1, si è limitata a precisare che il rimborso di quanto indebitamente versato spetta ai soggetti specificamente individuati “nei limiti della spesa autorizzata dal presente comma” (comma 665, primo periodo, modificato dal citato art. 16-octies, comma 1, lett. a)), ovvero nei limiti dei suddetti 90 milioni di Euro complessivi per il triennio 2015 – 2017, stabilendo che “in relazione alle istanze di rimborso presentate, qualora l’ammontare delle stesse ecceda le complessive risorse stanziate dal presente comma, i rimborsi sono effettuati applicando la riduzione percentuale del 50 per cento sulle somme dovute” e che “a seguito dell’esaurimento delle risorse stanziate dal presente comma non si procede all’effettuazione di ulteriori rimborsi” (quinto periodo del comma 665 come introdotto dal citato art. 16-octies, comma 1), lett. b), demandando al direttore dell’Agenzia delle entrate l’emanazione di un provvedimento che stabilisca “le modalità e le procedure finalizzate ad assicurare il rispetto dei limiti di spesa stabiliti dal presente comma”, in precedenza riservando il citato comma 665 al Ministro dell’economia e delle finanze l’emanazione di un “decreto” con cui stabilire “i criteri di assegnazione dei predetti fondi”. Il delineato ius superveniens, attuato con il sopra citato provvedimento direttoriale, per nulla incide sul diritto al rimborso spettante ai soggetti colpiti dal sisma del 1990, operando i limiti delle risorse stanziate e venendo in rilievo eventuali questioni sui consequenziali provvedimenti liquidatori emessi dall’Agenzia delle entrate soltanto in fase esecutiva e/o di ottemperanza (ex plurimis, Cass. n. 227 e n. 6213 del 2018; Cass. n. 29899 del 2017).

In conclusione, andando di diverso avviso dalla proposta del relatore, il ricorso va dichiarato inammissibile.

Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna l’Agenzia delle entrate al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.100,00 per compensi, oltre agli esborsi liquidati in Euro 200,00 per compensi, alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 22 novembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 20 marzo 2019

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