Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7729 del 06/04/2020

Cassazione civile sez. I, 06/04/2020, (ud. 31/01/2020, dep. 06/04/2020), n.7729

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 1712/19 proposto da:

-) M.B., elettivamente domiciliato in Oria, vico Torre S.

Susanna n. 18, difeso dall’avvocato Antonio Almiento in virtù di

procura speciale apposta in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

-) Ministero dell’Interno;

– intimato –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Milano 30 novembre 2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

31 gennaio 2020 dal Consigliere relatore Dott. Marco Rossetti.

Fatto

RILEVATO

che:

M.B., cittadino (OMISSIS), chiese alla competente commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4:

(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato politico, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 7 e ss.;

(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;

(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6, (nel testo applicabile ratione temporis);

a fondamento dell’istanza il richiedente dedusse di avere lasciato la(OMISSIS) in quanto ricercato dalla polizia per avere commesso brogli elettorali nel corso delle elezioni “primarie” del partito politico ACN, e temeva di essere ucciso da parte degli oppositori politici od arrestato dalla polizia;

la Commissione Territoriale rigettò l’istanza;

avverso tale provvedimento M.B. propose, ai sensi del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35 ricorso dinanzi al Tribunale di Milano, che lo rigettò con sentenza 24 novembre 2017;

tale sentenza, appellata dal soccombente, è stata confermata dalla Corte d’appello di Milano con sentenza deliberata il 30 novembre 2018;

la Corte d’appello ritenne la domanda di concessione dello status di rifugiato dovesse essere rigettata perchè il richiedente asilo non aveva nemmeno allegato la sussistenza di atti di persecuzione contro di lui, e comunque il racconto da lui compiuto evidenziava che la scelta di lasciare la(OMISSIS) era stata dettata da motivazioni prettamente personali;

la domanda di protezione sussidiaria andava rigettata perchè in(OMISSIS) non poteva dirsi sussistente una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato; la domanda di concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari andava rigettata perchè “non sono stati dedotti aspetti di particolare vulnerabilità e fragilità del richiedente”, nè questi risultava aver svolto alcun percorso di integrazione in Italia;

il provvedimento della Corte d’appello è stato impugnato per cassazione da M.B. con ricorso fondato su cinque motivi;

il ministero dell’interno non si è difeso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

col primo motivo il ricorrente lamenta la “mancanza o apparenza della motivazione”; deduce che la Corte d’appello ha erroneamente “ritenuto illogico” il racconto del richiedente asilo, e di conseguenza ha erroneamente ritenuto inattendibile la sua versione dei fatti;

il motivo è manifestamente inammissibile per totale estraneità alla ratio decidendi. In nessun punto della sentenza impugnata, infatti, si afferma che il racconto del richiedente asilo sia inattendibile;

col secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione del dovere di cooperazione istruttoria;

lamenta che la corte “non ha dato conto delle condizioni di pericolo oggettivamente esistenti in (OMISSIS) omettendo di esercitare il potere-dovere ufficioso gravante in capo al giudice nella materia in esame”;

il motivo è tanto inammissibile, quanto infondato;

il motivo è, innanzitutto, inammissibile, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 4 e 6, dal momento che il ricorrente non indica quali sarebbero dovuti essere i rapporti e le fonti di prova che, se correttamente valutati, avrebbero dovuto condurre la Corte d’appello ad una diversa decisione;

in ogni caso, nella parte in cui lamenta la violazione del dovere di cooperazione istruttoria da parte del giudice, il motivo è infondato, in quanto la Corte d’appello ha affermato – con valutazione di fatto non sindacabile in questa sede – che in (OMISSIS) non esistono situazioni di violenza indiscriminata derivanti da conflitto armato, e ha dichiarato che tale informazione è stata tratta dal report EASO su quel Paese, nè il ricorrente ha censurato – nei limiti e con le forme in cui ciò sia consentito in sede di legittimità – tale valutazione;

col terzo motivo il ricorrente impugna il rigetto della domanda di concessione della protezione sussidiaria;

il motivo è un coacervo di varie e frammiste censure;

esso si apre con l’affermazione che la Corte d’appello non avrebbe citato “alcuna fonte COI se non un laconico richiamo a non meglio precisate accreditate fonti internazionali”; prosegue formulando una diversa censura, e cioè che la Corte d’appello non ha accertato se lo stato di provenienza del richiedente asilo fosse in grado di assicurare la protezione dei suoi cittadini da atti di persecuzione provenienti da soggetti diversi dallo Stato; nel terzo capoverso di pagina 8 il ricorrente formula poi una terza censura, con cui lamenta che la Corte d’appello non avrebbe compiuto “alcuna precisazione degli elementi posti alla base” della propria decisione di ritenere inattendibile il richiedente asilo, ed imputa tale decisione “alla Corte d’appello di Bari”;

il motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato;

in primo luogo, nella parte in cui lamenta la “mancata precisazione degli elementi posti a base” della sentenza, il motivo è infondato perchè la sentenza impugnata una motivazione la contiene, e questa non è nè contraddittoria, nè oscura;

nella parte in cui lamenta l’erroneità del giudizio di inattendibilità del ricorrente il motivo è inammissibile, perchè un simile giudizio non si rinviene nella sentenza impugnata;

nella parte, infine, in cui lamenta la genericità del richiamo compiuto dalla Corte d’appello a “non meglio precisate fonti internazionali” il motivo è infondato, in quanto la Corte d’appello ha fatto richiamo al report EASO, richiamo di per sè sufficientemente specifico, nè il ricorrente indica perchè mai quel rapporto sarebbe inattendibile o datato;

col quarto motivo il ricorrente impugna la statuizione di rigetto della domanda di concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari;

nella illustrazione del motivo si sostiene che la Corte d’appello avrebbe “erroneamente ancorato la protezione umanitaria agli stessi presupposti previsti per la misura di maggior tutela”; che non avrebbe valutato le gravi conseguenze di un forzato rientro in patria del richiedente asilo; che non avrebbe correttamente analizzato la condizione di vulnerabilità di quest’ultimo; che la vicenda narrata richiedente asilo si sarebbe dovuta ritenere di per sè sufficiente la concessione della protezione umanitaria; il motivo è manifestamente inammissibile, in primo luogo, perchè censura un apprezzamento di fatto, quale è lo stabilire se un individuo si trovi in condizioni di vulnerabilità;

in secondo luogo è inammissibile perchè nella sostanza non fa altro che contrapporre il proprio giudizio a quello della Corte d’appello, senza nemmeno indicare per quale ragione quest’ultimo sarebbe erroneo, ovvero quale norma di diritto sarebbe stata violata dalla Corte d’appello; col quinto motivo il ricorrente lamenta che la Corte d’appello avrebbe violato il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5 perchè non avrebbe “preso in considerazione, nè comparato, la vulnerabilità dell’istante con la sua integrazione in Italia”;

il motivo è inammissibile perchè prescinde del tutto dalla ratio decidendi sottesa dalla sentenza impugnata;

la Corte d’appello ha infatti affermato che il richiedente asilo non aveva raggiunto nessuna integrazione nel nostro Paese, e tale accertamento di fatto non solo non è nemmeno impugnato, ma non sarebbe nemmeno censurabile in questa sede;

la ritenuta insussistenza di una effettiva integrazione in Italia del richiedente asilo rende perciò sterile qualsiasi censura concernente la “comparazione” tra la condizione raggiunta dal richiedente asilo in Italia, e quella in cui si troverebbe in caso di rientro nel proprio Paese di origine;

non è luogo a provvedere sulle spese, attesa la indefensio della parte intimata;

il rigetto del ricorso comporta l’obbligo del pagamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17).

PQM

(-) dichiara inammissibile il ricorso;

(-) dà atto che sussistono i presupposti previsti dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima civile della Corte di cassazione, il 31 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 6 aprile 2020

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