Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7728 del 18/03/2021

Cassazione civile sez. I, 18/03/2021, (ud. 22/12/2020, dep. 18/03/2021), n.7728

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ACIERNO Maria – Presidente –

Dott. DI STEFANO Pierluigi – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. SCORDAMAGLIA Irene – rel. Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24488/2018 proposto da:

S.B., elettivamente domiciliato in Roma, alla Via Giuseppe

Marcora 18/20, presso lo studio dell’avvocato Guido Faggiani, e

rappresentato e difeso dall’avvocato Roberto Dalla Bona, in forza di

procura speciale allegata al ricorso.

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, Commissione Territoriale per il

Riconoscimento della Protezione Internazionale di Milano;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di MILANO, depositato il 15/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

22/12/2020 dal Consigliere Dott. IRENE SCORDAMAGLIA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. S.B., cittadino (OMISSIS), con ricorso depositato il 14 dicembre 2017, evocava in giudizio il Ministero dell’Interno dinanzi al Tribunale di Milano – Sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini UE -, impugnando il provvedimento con cui la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale aveva respinto la sua richiesta di protezione internazionale, nelle forme dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria.

2. Il ricorrente aveva riferito: di essere nato a Basse, in Gambia; di essere di religione mussulmana e di etnia “(OMISSIS)”; di essere sposato e di avere una figlia; di non avere frequentato la scuola e di essere stato un agricoltore; di aver fatto ingresso in Italia il (OMISSIS), provenendo dalla Libia; di temere, in caso di rimpatrio, di essere ucciso dallo zio paterno, che intendeva impossessarsi di un terreno coltivato dai suoi familiari, per mezzo di pratiche di magia nera; di rischiare, perciò, di essere esposto ad un trattamento inumano o di rimanere vittima, in caso di forzato rientro nel suo Paese di origine, della violenza generalizzata ivi imperversante; di essere, invece, integrato in Italia, avendo qui frequentato corsi di alfabetizzazione e di formazione professionale ed avendo svolto lavori socialmente utili.

3. Il Tribunale ha proceduto in composizione collegiale, riunito in Camera di consiglio, dopo avere fissato l’udienza per l’esame di eventuale nuova documentazione, senza aver ritenuto necessario disporre una nuova audizione del ricorrente, non avendo la difesa del ricorrente introdotto ulteriori temi d’indagine nè allegato fatti nuovi. Con decreto del 15 giugno 2018 ha rigettato le domande dell’attore, limitate alla protezione sussidiaria e alla protezione umanitaria.

2. Avverso il predetto decreto ha proposto ricorso S.B., articolando sei motivi. La sua difesa, in data 28 ottobre 2020, ha presentato memoria con la quale ha addotto chiarimenti e svolto approfondimenti in ordine alla competenza della Sezione del Tribunale specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini UE.

3. L’intimata Amministrazione dell’Interno non ha presentato difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, il ricorrente denuncia error in procedendo e violazione dell’art. 111 Cost., lamentando il fatto che il Tribunale di Milano si sia ritenuto erroneamente competente anche in materia di protezione umanitaria e abbia deciso con rito camerale pure la domanda di protezione umanitaria, soggetta, invece, al rito ordinario di cognizione. Assume, pertanto, di avere subito un vulnus irrimediabile al suo diritto di difesa, che sarebbe stato evitato ove il Tribunale, in adempimento del dovere di cooperazione officiosa, avesse dichiarato inammissibile la domanda di protezione umanitaria e/o l’avesse separata dal giudizio di opposizione.

Il motivo è manifestamente infondato.

Questa Corte ha già affermato che, anche prima dell’entrata in vigore del D.L. n. 113 del 2018, art. 1, comma 3, lett. a), (conv. con modif. in L. n. 132 del 2018), la proposizione, con un unico ricorso dell’azione finalizzata ad ottenere la protezione maggiore (“status di rifugiato” e protezione sussidiaria) e di quella volta al riconoscimento della protezione umanitaria comporta la trattazione unitaria di tutte le domande da parte della sezione specializzata del tribunale, in composizione collegiale, secondo il rito camerale previsto dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, in ragione della profonda connessione, soggettiva e oggettiva, esistente tra le domande, oltre che della prevalenza della composizione collegiale su quella monocratica, sancita dall’art. 281-nonies c.p.c., ed in attuazione del principio della ragionevole durata del processo. (Sez. 1, n. 13575 del 02/07/2020, Rv. 658236).

Va, inoltre, ribadito che quando il ricorrente per sua scelta abbia cumulato la domanda di protezione umanitaria con quelle aventi per oggetto lo “status” di rifugiato o la protezione sussidiaria, assoggettate allo speciale rito camerale di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, egli non può poi dolersi della mancata pronuncia di inammissibilità della domanda di protezione umanitaria, in applicazione del divieto di “venire contra factum proprium” di cui all’art. 157 c.p.c., comma 3, secondo il quale la nullità non può mai essere opposta dalla parte che vi ha dato causa (Sez. 1, n. 2120 del 30/01/2020, Rv. 656808).

Occorre, infine, sottolineare che il dovere di cooperazione officiosa, che grava sul giudice del procedimento volto al riconoscimento della protezione internazionale, riguarda il profilo istruttorio e l’assunzione di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine del richiedente e non certo le forme e le modalità di introduzione della domanda giudiziale, laddove il richiedente fruisce, eventualmente anche attraverso il patrocinio a spese dello Stato, di congrua assistenza tecnica.

2. Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, error in procedendo e violazione dell’art. 111 Cost., nonchè del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 14, comma 1, lett. c) e comma 7 e art. 35-bis. Eccepisce la nullità del decreto impugnato per violazione del principio del contraddittorio, derivante dalla mancata audizione del richiedente asilo in sede giurisdizionale nonostante la mancanza della videoregistrazione del colloquio personale avanti l’Autorità amministrativa.

Il motivo è manifestamente infondato.

Deve farsi applicazione del principio di diritto secondo il quale, nei giudizi in materia di protezione internazionale il giudice, in assenza della videoregistrazione del colloquio svoltosi dinanzi alla Commissione territoriale, ha l’obbligo di fissare l’udienza di comparizione, ma non anche quello di disporre l’audizione del richiedente, a meno che: a) nel ricorso non vengano dedotti fatti nuovi a sostegno della domanda (sufficientemente distinti da quelli allegati nella fase amministrativa, circostanziati e rilevanti); b) il giudice ritenga necessaria l’acquisizione di chiarimenti in ordine alle incongruenze o alle contraddizioni rilevate nelle dichiarazioni del richiedente; c) il richiedente faccia istanza di audizione nel ricorso, precisando gli aspetti in ordine ai quali intende fornire chiarimenti e sempre che la domanda non venga ritenuta manifestamente infondata o inammissibile. (Sez. 1 -, n. 21584 del 07/10/2020, Rv. 658982). Da ciò discende che il ricorrente avrebbe dovuto specificamente contrastare l’affermazione, contenuta nel decreto impugnato, secondo cui la difesa del ricorrente non aveva introdotto ulteriori temi d’indagine, nè allegato fatti nuovi ed avrebbe, quindi, dovuto puntualmente illustrare gli ulteriori temi d’indagine e i fatti nuovi dei quali il Tribunale aveva omesso l’esame, nonchè le incongruenze e le contraddizioni rilevate che avrebbero meritato di essere approfondite e chiarite, senza trascurare di lumeggiarne la decisività. Sotto questo profilo il motivo è anche generico.

3. Con il terzo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, il ricorrente denuncia error in procedendo e violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, della Direttiva 2004/83/CE, recepita con D.Lgs. n. 251 del 2007, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3. Secondo la tesi prospettata, il Giudice non deve valutare la genericità e/o credibilità e/o inattendibilità del richiedente asilo, ma deve verificare se si sia o meno formata la prova in base ai requisiti prescritti dalla norma di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3. Non sarebbe stato, quindi, compito del Tribunale interrogarsi circa la disputa avente ad oggetto i beni ereditari, ma verificare se il richiedente avesse ricevuto o avrebbe potuto ricevere tutela dallo Stato del Gambia: tutela che il ricorrente non aveva ricevuto, come dimostrato dalla circostanza che, per sottrarsi ai soprusi dello zio, era stato costretto a fuggire dal Paese di origine.

Il motivo è inammissibile.

3.1. La ratio decidendi della statuizione in punto di diniego della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b), (non avendo il richiedente insistito per il riconoscimento dello status di rifugiato) è duplice: si coglie nella mancanza di credibilità del racconto del richiedente quanto al timore di essere ucciso dallo zio “per mezzo di pratiche di magia nera” (pag. 4 del decreto impugnato, quarto capoverso) e nella tutela assicurata al richiedente e ai familiari dalla polizia e dal capovillaggio, prontamente intervenuti per comporre la disputa insorta con lo zio e per trarre in arresto il cugino per l’aggressione perpetrata ai suoi danni (pag. 5 decreto impugnato, quinto capoverso).

3.2. Quanto alla prima delle due rationes decidendi, va ribadito che l’inattendibilità delle dichiarazioni del richiedente, riferite al racconto della sua vicenda personale, preclude ogni ulteriore approfondimento istruttorio officioso, posto che la vicenda personale del richiedente rileva ai fini dell’accertamento dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), (Sez. 1, n. 10286 del 29/05/2020, Rv. 657711). La valutazione, poi, della credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, o come motivazione apparente, o come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (Sez. 1, n. 3340 del 05/02/2019, Rv. 652549; Sez. 6 – 1, n. 33096 del 20/12/2018, Rv. 652571).

Nella specie, invece, il ricorrente denuncia un’insussistente violazione di legge per sollecitare inammissibilmente questa Corte ad una valutazione del materiale probatorio difforme rispetto a quella effettuata dal Giudice di merito.

3.3. Con la seconda delle due rationes decidendi, il ricorrente non si confronta affatto, come dimostrato dalle generiche deduzioni in punto di omessa valutazione del tema riguardante l’intervento dell’Autorità statuale a difesa del richiedente protezione.

4. Con il quarto motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, il ricorrente denuncia error in procedendo e violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) e della Direttiva 2004/83/CE, recepita dal D.Lgs. n. 251 del 2007, avendo il Tribunale mancato di verificare se alla situazione di violenza diffusa nel Paese di origine del richiedente fosse stato contrapposto un efficace e concreto intervento ad opera delle Autorità statuali.

Il motivo è inammissibile.

La censura è spiegata in assenza di confronto con il tenore della statuizione in punto di diniego della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c), perchè il Tribunale (pag. 6 del decreto impugnato) ha valutato specificamente la situazione della sicurezza in Gambia e l’esistenza di un conflitto armato interno, negando espressamente, tramite una puntuale indicazione del contenuto delle COI aggiornate (“country of origin information”) consultate, la sussistenza di un quadro di violenza indiscriminata tale da determinare un rischio grave per l’intera popolazione civile.

5. Con il quinto motivo, proposto ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, il ricorrente denuncia error in procedendo e violazione o falsa applicazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, alla Direttiva 2004/83/CE, recepita con il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2Cost. e art. 8 CEDU. Assume, al riguardo, che la valutazione circa la concessione della protezione umanitaria prescinde dall’assenza o meno di prove o principi di prova, va condotta d’ufficio e si deve fondare su di una valutazione comparativa volta a verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio di diritti umani al di sotto del nucleo ineliminabile. Deduce, in particolare, che il Tribunale, lungi dal compiere la detta verifica officiosa, si sarebbe limitata a prendere in considerazione il compendio probatorio utilizzato per la verifica delle forme di protezione maggiore.

Il motivo è inammissibile per genericità.

Richiamato il principio di diritto secondo il quale, in tema di protezione umanitaria, l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del riconoscimento della protezione, occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel Paese di accoglienza, senza che abbia rilievo l’esame del livello di integrazione raggiunto in Italia, isolatamente ed astrattamente considerato (Sez. U., n. 29459 del 13/11/2019, Rv. 656062), va riconosciuto che ad esso il Tribunale si è attenuto, evidenziando come in Gambia fosse in atto un processo di democratizzazione e fossero state assunte iniziative dirette a potenziare il sistema economico in senso liberale, anche per il tramite di finanziamenti da parte delle maggiori istituzioni pubbliche e private internazionali, così da escludere il rischio che il ricorrente in caso di rimpatrio potesse subire la lesione dei diritti fondamentali. D’altro canto è insindacabile in questa sede la motivazione con la quale è stato escluso che il richiedente potesse dirsi integrato in Italia.

A fronte della riportata motivazione, attraverso la quale il Tribunale ha dato conto di avere compiutamente e criticamente passato in rassegna tutto il materiale allegativo e probatorio presente in atti, correttamente desumendone l’assenza dei presupposti in fatto per il riconoscimento in favore del richiedente del diritto alla protezione umanitaria, il ricorrente nulla ha precisato in ordine ai temi che sarebbero stati meritevoli di maggiore approfondimento.

6. Con il sesto motivo, proposto ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, il ricorrente denuncia error in procedendo e violazione o falsa applicazione di legge in relazione all’art. 111 Cost., art. 6 CEDU, art. 101 c.p.c.. Deduce, al riguardo, che le informazioni aggiornate sul Paese di origine (COI) sono elementi di prova che non possono essere considerati “fatti notori” e non sono, quindi, utilizzabili dal giudice in difetto di preventiva sottoposizione al contraddittorio. Lamenta che, nella specie, gli elementi utilizzati dal Tribunale sarebbero stati ignoti al difensore ed avrebbero fatto ingresso in giudizio con valore di prova senza la necessaria preventiva sottoposizione al contraddittorio.

Il motivo è manifestamente infondato.

Questa Corte ha già affermato che, in tema di protezione internazionale, l’omessa sottoposizione al contraddittorio delle COI (“Country of origin information”) assunte d’ufficio dal giudice ad integrazione del racconto del richiedente, non lede il diritto di difesa di quest’ultimo, poichè in tal caso l’attività di cooperazione istruttoria è integrativa dell’inerzia della parte e non ne diminuisce le garanzie processuali, a condizione che il tribunale renda palese nella motivazione a quali informazioni abbia fatto riferimento, al fine di consentirne l’eventuale critica in sede di impugnazione; sussiste, invece, una violazione del diritto di difesa del richiedente quando costui abbia esplicitamente indicato le COI, ma il giudice ne utilizzi altre, di fonte diversa o più aggiornate, che depongano in senso opposto a quelle offerte dal ricorrente, senza prima sottoporle al contraddittorio (Sez. 1, n. 29056 del 11/11/2019, Rv. 655634).

Il Collegio, nel ribadire il principio riportato, osserva che la circostanza che il giudice non possa modificare i fatti posti a fondamento della domanda, il cui onere di allegazione grava sul richiedente, già di per sè esclude in radice che possa prospettarsi, per il solo fatto della assunzione officiosa delle COI, una pronuncia che modifichi o ampli il thema decidendum, con conseguente violazione dell’art. 101 c.p.c. (Sez. 1, n. 2120 del 30/01/2020, in motivazione). Le COI devono, infatti, essere pertinenti e dirette a far luce sui fatti già dedotti dal ricorrente. Rileva, altresì, che la denuncia di vizi fondati sulla violazione di norme processuali deve essere vista in un’ottica funzionale volta a garantire l’eliminazione del pregiudizio concretamente sofferto dal diritto di difesa della parte (Sez. 3, n. 18635 del 12/09/2011, Rv. 619534; Sez. 3, n. 1201 del 27/01/2012, Rv. 621381; Sez. 5, n. 26831 del 18/12/2014, Rv. 634236; Sez. L, n. 6330 del 19/03/2014, Rv. 630071; Sez. 1, n. 15037 del 08/06/2018, Rv. 649558; Sez. U., n. 20935 del 30/09/2009, Rv. 610517), di modo che la parte che lamenti la violazione del diritto di difesa e del giusto processo deve specificare in cosa consiste il concreto pregiudizio subito, non essendo sufficiente la mera deduzione di una violazione della norma procedurale ovvero la generica denuncia della lesione del diritto di difesa.

Nel caso al vaglio, dunque, non avendo la parte ricorrente dimostrato di avere allegato informazioni idonee a sostenere la valutazione circa la credibilità del ricorrente e i rischi dedotti, l’acquisizione d’ufficio delle COI, sanando la sua inerzia, non che ha diminuito le garanzie processuali, ma, semmai, le ha ampliate, eliminando il prospettato vulnus al diritto di difesa, postulato in astratto.

7. Il ricorso deve essere, quindi, dichiarato rigettato. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, sussistono, allo stato, i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto che sussistono, allo stato, i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 22 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 18 marzo 2021

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