Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7727 del 06/04/2020

Cassazione civile sez. I, 06/04/2020, (ud. 31/01/2020, dep. 06/04/2020), n.7727

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 1448/19 proposto da:

-) C.B., elettivamente domiciliato in Roma, v.le Regina

Margherita n. 239 (c/o avv. Valentina Valeri), difeso dall’avvocato

Giacomo Cainarca in virtù di procura speciale apposta in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

-) Ministero dell’Interno;

– intimato –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Milano 29.10.2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

31 gennaio 2020 dal Consigliere relatore Dott. Marco Rossetti.

Fatto

RILEVATO

che:

C.B., cittadino (OMISSIS), chiese alla competente commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4:

(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato politico, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 7 e ss.;

(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;

(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6, (nel testo applicabile ratione ternporis);

a fondamento dell’istanza il richiedente dedusse di avere svolto, nel suo Paese, il mestiere di sarto; che il suo negozio era stato chiuso dalla polizia per non aver egli potuto pagare le imposte dovute; che per sfuggire alla polizia aveva ferito un agente, e in conseguenza di questo fatto aveva per paura lasciato il proprio paese;

la Commissione Territoriale rigettò l’istanza;

avverso tale provvedimento C.B. propose, ai sensi del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35 ricorso dinanzi al Tribunale di Milano, che lo rigettò con sentenza non indicata nè dal ricorso, nè dalla sentenza; tale sentenza, appellata dal soccombente, è stata confermata dalla Corte d’appello di Milano con sentenza deliberata il 29.10.2018;

la Corte d’appello ritenne che la domanda dovesse innanzitutto dichiararsi inammissibile per la sua genericità; che comunque il racconto del richiedente asilo era inverosimile, nè questi aveva compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziare la propria domanda; che il richiedente non aveva nè documentato, nè circostanziato alcuna situazione di particolare vulnerabilità personale idonee a giustificare la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari;

il provvedimento della Corte d’appello è stato impugnato per cassazione da C.B. con ricorso fondato su due motivi;

il ministero dell’interno non si è difeso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

col primo motivo il ricorrente censura il rigetto della domanda di protezione umanitaria;

nella illustrazione del motivo, dopo un’ampia trattazione della portata e dell’efficacia dell’art. 10 Cost., e del concetto di “protezione umanitaria”, il ricorrente conclude (a pagina 10, terz’ultimo capoverso, del ricorso) che nel caso di specie la protezione umanitaria si sarebbe dovuta concedere perchè “è nota la difficile condizione in cui vivono i cittadini del (OMISSIS)”; che in questo Paese vi è una dittatura; che i diritti umani vengono violati; che vi è una forte censura sulla stampa; che in ogni caso vi è in quel paese un generale clima di instabilità ed insicurezza; che nel caso di rientro nel Paese di origine verrebbero pregiudicati il diritto alla salute ed il diritto all’alimentazione del richiedente asilo, dal momento che il (OMISSIS) è un paese estremamente povero (così il ricorso, pagine 16-17);

il motivo – che risulta in gran parte, ed in particolare alle pp. 15-20, una trascrizione fedele e ad litteram da una non recente decisione di merito (Trib. Firenze 31 marzo 2016), e già solo per questo risulta di scarsa aderenza al caso concreto – è inammissibile per estraneità alla ratio decidendi;

la Corte d’appello di Milano, infatti, ha dichiarato la domanda attorea oltre che infondata, anche “inammissibile per genericità”;

giusta o sbagliata che fosse tale valutazione, essa costituisce una autonoma ratio decidendi di per sè idonea a sorreggere la sentenza, e che pertanto si sarebbe dovuta impugnare con un autonomo motivo di ricorso, che invece non è stato proposto;

in ogni caso il motivo è infondato nel merito, dal momento che la giurisprudenza di questa Corte è costante nel ritenere che le generali condizioni di povertà del paese di provenienza, da sole, non costituiscono una circostanza idonea a giustificare il permesso di soggiorno per motivi umanitari (da ultimo, in tal senso, Sez. 1, Ordinanza n. 1051 del 17.1.2020; Sez. 1, Ordinanza n. 864 del 17.1.2020);

col secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14; deduce che la Corte d’appello ha rigettato la domanda di protezione sussidiaria senza aver acquisito le necessarie informazioni sulla situazione del paese di origine;

anche questo motivo è, in primo luogo, inammissibile, perchè non censura la ratio decidendi con cui la Corte d’appello ha ritenuto “inammissibile per la sua genericità” la domanda attorea;

il motivo sarebbe comunque inammissibile anche per una seconda ragione;

il ricorrente lamenta infatti la violazione del dovere di cooperazione istruttoria da parte della Corte d’appello; la Corte d’appello, tuttavia, non ha affatto rigettato la domanda ritenendola non provata, ma ha affermato che “nel (OMISSIS) sussiste una rinnovata stabilità politica a seguito del cambiamento del presidente della sua apertura alla democrazia, l’ammodernamento del paese alla tolleranza religiosa e politica, per cui nessun grave danno può ravvisarsi quindi e presupposto per la concessione” della protezione sussidiaria:

la Corte d’appello, pertanto, ha accertato in facto una situazione di assenza di violenza indiscriminata nel paese di provenienza del richiedente asilo; e se è vero che la Corte d’appello non cita nessuna Country of Origin Information a sostegno delle proprie conclusioni, è altresì vero che il ricorrente non si duole affatto della mancata indicazione, da parte della Corte d’appello, di COI aggiornate, ma lamenta semplicemente il deficit di “cooperazione istruttoria”; tale deficit, tuttavia, per quanto detto non sussiste, giacchè la Corte d’appello le condizioni sociopolitiche del paese di provenienza le ha pur sempre accertate;

non è luogo a provvedere sulle spese, attesa la indefensio della parte intimata;

il rigetto del ricorso comporta l’obbligo del pagamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17).

P.Q.M.

(-) dichiara inammissibile il ricorso;

(-) dà atto che sussistono i presupposti previsti dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima civile della Corte di cassazione, il 31 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 6 aprile 2020

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