Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7727 del 05/04/2011

Cassazione civile sez. III, 05/04/2011, (ud. 25/02/2011, dep. 05/04/2011), n.7727

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PREDEN Roberto – Presidente –

Dott. AMATUCCI Alfonso – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Adelaide – Consigliere –

Dott. GIACALONE Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 28713-2006 proposto da:

R.C. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, PZZA MANCINI 4, presso lo studio dell’avvocato CECINELLI GUIDO,

rappresentato e difeso dall’avvocato LEONI MARIO giusta delega in

calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

ASSITALIA – LE ASSICURAZIONI D’ITALIA S.P.A., (OMISSIS) in

persona del Procuratore Dott. A.M., elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA LEONE IV 99 INT 14, presso lo studio

dell’avvocato FERZI CARLO, che la rappresenta e difende giusta delega

in calce al controricorso;

– controricorrente –

e contro

SERAFINI & CESARONI DI CESARONI SERAFINO & C. SNC,

S.E.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 3794/2005 della CORTE D’APPELLO di ROMA, 3^

SEZIONE CIVILE, emessa il 5/7/2005, depositata il 13/09/2005, R.G.N.

7621/2002;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

25/02/2011 dal Consigliere Dott. GIOVANNI GIACALONE;

udito l’Avvocato MARIO LEONI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

VELARDI Maurizio che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

IN FATTO E IN DIRITTO

Il ricorrente impugna la sentenza della Corte di Appello di Roma, depositata il 13 settembre 2005, la quale, confermando di primo grado, ha, sui punti che qui rilevano, respinto: a. la richiesta di liquidazione del danno patrimoniale futuro da perdita di chance, non potendo la presunzione di esistenza dello stesso discendere automaticamente dall’accertata esistenza di un’invalidità permanente; b. quella di specifica liquidazione del danno da cenestesi lavorativa, non essendone provata l’incidenza negativa sul reddito già percepito dall’infortunato, con conseguente corretta inclusione dello stesso nel danno biologico, stante la presumibile maggiore usura della prestazione lavorativa svolta; c. nonchè quella di maggiorazione del danno biologico e di quello morale, risultando essi adeguatamente quantificati in primo grado in via equitativa, sulla base della liquidazione a punto, in rapporto alle circostanze del caso (età dell’infortunato, natura ed entità dei postumi) ed in conformità alle esaustive e logiche conclusioni della C.T.U..

L’infortunato ricorre per cassazione con quattro motivi; resiste l’Assitalia con controricorso, illustrato da memoria mentre gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva.

Col primo motivo, deducendo violazione degli artt. 1223, 1226 e 2056 c.c. e omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo, il ricorrente lamenta che, contrariamente a consolidati principi in tema di danno alla persona, i giudici di merito non gli avrebbero riconosciuto – con motivazione sbrigativa e solo apparente – in maniera integrale e personalizzata il danno da lucro cessante per ridotta capacità lavorativa ; mentre sulla base di presunzioni semplici, riferite all’indiscussa gravità delle lesioni, avrebbe dovuto disattendere le conclusioni della C.T.U. (sull’inidoneità dei postumi ad incidere sulla capacità lavorativa specifica) e liquidare equitativamente detta voce di danno.

La censura è infondata. La Corte territoriale ha motivato perchè, nel caso di specie, dall’accertata esistenza di una invalidità permanente non poteva “automaticamente” discendere la presunzione di esistenza di un danno da lucro cessante, dando atto che anche in primo grado era stato escluso il danno patrimoniale futuro non avendo l’attore dimostrato le dedotte prospettive di avanzamento in carriera nonchè la perdita in concreto di proposte lavorative e d’incentivazione lavorative e che il collocamento del soggetto in cassa integrazione, successivamente all’incidente, non era collegabile etiologicamente con il danno conseguente al sinistro.

Ciò dimostra che la decisione adottata non incorre negli indicati vizi motivazionali, essendo stata congruamente motivata, nè nelle dedotte violazioni di legge, avendo, peraltro dichiaratamente, fatto corretta applicazione del consolidato orientamento di questa S.C., secondo cui tra lesione della salute e diminuzione della capacità di guadagno non sussiste alcun rigido automatismo, per cui in presenza di una lesione della salute, anche di non modesta entità, non può ritenersi ridotta in egual misura la capacità di produrre reddito, ma il soggetto leso ha sempre l’onere di allegare e provare, anche mediante presunzioni, che l’invalidità permanente abbia inciso sulla capacità di guadagno (Cass. 10 luglio 2008 n. 18866; 29 aprile 2006 n. 10031). In altri termini, mentre l’invalidità permanente (totale o parziale) concorre di per se a dar luogo a danno biologico, la stessa non comporta necessariamente anche un danno patrimoniale, a tal fine occorrendo che il giudice, oltre ad accertare in quale misura la menomazione fisica abbia inciso sulla capacità di svolgimento dell’attività lavorativa specifica e questa, a sua volta, sulla capacità di guadagno, accerti se ed in quale misura in tale soggetto persista o residui, dopo e nonostante l’infortunio subito, una capacità ad attendere ad altri lavori, confacente alle sue attitudini e condizioni personali ed ambientali, ed altrimenti idonei alla produzione di altre fonti di reddito, in luogo di quelle perse o ridotte. Solo se dall’esame di detti elementi risulti una riduzione della capacità di guadagno e del reddito effettivamente percepito, questo – e non la causa di questo, cioè la riduzione della capacità di lavoro specifica (nella specie, esclusa dalla C.T.U., tanto che il ricorrente pretendeva che il giudice di appello sulla base dell’invocata presunzione disattendesse anche detta valutazione tecnica) – è risarcibile sotto il profilo del lucro cessante. La relativa prova incombe al danneggiato e può essere anche presuntiva, purchè sia certa – come non verificato, invece, nell’ipotesi – la riduzione della capacità di lavoro specifica (Cass. 29 gennaio 2010 n. 2062; 23 gennaio 2006 n. 1230).

Col secondo, subordinato, motivo, deduce ulteriore violazione delle indicate norme e dei principi sulla liquidazione del danno alla persona, nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo, per avere la Corte d’Appello erroneamente confermato la decisione di primo grado nel punto in cui aveva riconosciuto solo limitatamente il danno “conseguenza” da ridotta cenestesi lavorativa, mentre detta posta risarcitoria avrebbe dovuto liquidarsi con attenta valutazione del caso specifico incrementando in misura congrua il valore di ogni punto d’invalidità riconosciuto.

La censura è infondata. La Corte d’Appello ha affermato che il danno da cenestesi lavorativa ove non ne sia, come nella specie, provata l’incidenza negativa sul redito già percepito dall’infortunato, rientra nel danno biologico, sicchè correttamente il primo giudice aveva maggiorato, per detta voce, di tre punti la percentuale del danno biologico. Tale motivazione resiste alle censure mosse, essendo immune da vizi logici e giuridici; sotto quest’ultimo profilo la Corte territoriale ha indubbiamente “personalizzato” a detto fine il risarcimento del danno biologico, ne ha reso “omnicomprensivo” l’importo ed ha fatto buon governo del principio secondo cui il limite a detta personalizzazione è rappresentato dall’impossibilità di ricorrere al parametro del reddito percepito dal soggetto leso (Cass. n. 5840/04; 6643/02).

Con il terzo motivo, deducendo omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su punto decisivo, il ricorrente lamenta che è stato inadeguatamente motivato il rigetto del motivo di gravame riguardante l’inadeguata liquidazione del danno morale. La censura, ancor prima che infondata, è inammissibile, deducendo genericamente l’inadeguatezza della somma liquidata a tale titolo (1/3 circa di quella assegnata a titolo di danno biologico) in rapporto “all’effettivo pregiudizio” (non meglio specificato), senza aver puntualizzato perchè la liquidazione sarebbe stata sproporzionata per difetto e quali sarebbero stati gli elementi specifici pretermessi in sede di “personalizzazione” del relativo ristoro. Deve, invero, ribadirsi al riguardo che la liquidazione del danno morale del danneggiato conseguente all’illecito sfugge necessariamente ad una precisa valutazione analitica, e resta affidata al criterio equitativo, non sindacabile in sede di legittimità, ove il giudice del merito dia del medesimo conto, la valutazione risulti congruente al caso, e la concreta determinazione dell’ammontare del danno non sia palesemente sproporzionata (Cass. n. 23725/08; 13066/04; 13933/02).

Il mancato accoglimento delle precedenti censure assorbe ogni decisione circa il quarto motivo, con cui il ricorrente deduce violazione dell’art. 91 c.p.c., perchè l’accoglimento dei motivi di appello avrebbe dovuto comportare una diversa pronunzia in ordine alle spese del doppio grado di giudizio.

Ne deriva il rigetto del ricorso. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza nei rapporti tra le parti costituite, secondo la liquidazione di cui al dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento nei confronti della controricorrente delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 6.400=, di cui Euro 6.200= per onorario, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 25 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 5 aprile 2011

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