Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7726 del 18/03/2021

Cassazione civile sez. I, 18/03/2021, (ud. 18/12/2020, dep. 18/03/2021), n.7726

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – rel. Consigliere –

Dott. PACILLI Giuseppina Anna Rosaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 23582/2018 proposto da:

K.S., elettivamente domiciliato presso l’avv. Giacinto Corace,

dal quale è rappres. e difeso, con procura speciale in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del legale rappres. p.t.,

elettivamente domiciliato in Roma, in via dei Portoghesi 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2102/2018 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 30/04/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

18/12/2020 dal Dott. CAIAZZO ROSARIO.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

Con sentenza emessa il 30.4.18, la Corte d’appello di Milano respinse l’appello di K.S., cittadino del (OMISSIS), avverso l’ordinanza emessa dal Tribunale di Milano che aveva rigettato la domanda diretta al riconoscimento della protezione internazionale e, in via gradata, delle protezioni sussidiaria ed umanitaria, osservando che: la vicenda narrata dal ricorrente riguardava una questione relativa a dispute ereditarie e, dunque, non riconducibile ai presupposti dello status di rifugiato; non sussistevano i presupposti della protezione sussidiaria in quanto dalle fonti esaminate si desumeva che nel paese di provenienza dl ricorrente non vi fosse una situazione di violenza indiscriminata; non era riconoscibile la protezione umanitaria in quanto il ricorrente, pur avendo dedotto la sua integrazione in Italia, non aveva però allegato anche altri indici di vulnerabilità afferenti alla situazione personale correlati all’ipotesi del suo rimpatrio.

Il K. ha ricorso in cassazione con tre motivi.

Il Ministero resiste con controricorso.

Con ordinanza interlocutoria emessa l’11.11.19 questa Corte ha rinviato la causa a nuovo ruolo in attesa della decisione delle Sezioni Unite sulla questione inerente all’applicabilità del D.L. n. 113 del 2018, ai procedimenti in corso in tema di protezione umanitaria e sul quesito se, ritenuti applicabili i parametri normativi previgenti, sia da confermare il principio affermato dalla sentenza della Cass., emessa il 23.2.18, n. 4455, circa la riconoscibilità del permesso umanitario al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato d’integrazione sociale in Italia, sulla base di una comparazione della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al paese d’origine.

Diritto

RITENUTO

Che:

Il primo motivo denunzia violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 4,5,6 e 14, D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 27, artt. 2 e 3 CEDU, nonchè omesso esame di fatti decisivi, poichè la Corte territoriale ha ritenuto non rilevanti, ai fini della protezione internazionale, le allegazioni fornite circa le sue vicende personali e familiari.

Il secondo motivo denunzia la violazione dei parametri normativi sulla credibilità delle dichiarazioni del richiedente, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. c), non avendo la Corte d’appello, nell’osservanza dell’onere della cooperazione istruttoria, compiuto alcun esame comparativo tra le informazioni provenienti dal ricorrente e la situazione personale di quest’ultimo nelle aree da cui proviene, con particolare riguardo alla dedotta pericolosità del sistema delle vendette private.

Il terzo motivo denunzia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, comma 2 e dell’art. 10 Cost., comma 3, nonchè motivazione apparente in relazione alla domanda di protezione umanitaria e alla valutazione sull’insussistenza di condizioni di vulnerabilità, alla luce della situazione generale del paese d’origine come desumibile dalle informazioni acquisite.

Va premesso che la causa va decisa anche sulla base della sentenza n. 29459/19 emessa nelle more dalle Sezioni Unite sulle suddette questioni.

Il primo motivo è inammissibile in quanto diretto al riesame dei fatti in ordine al riconoscimento della protezione internazionale, che la Corte territoriale ha escluso poichè le dichiarazioni del ricorrente afferivano a vicende di carattere privatistico.

Il secondo motivo è infondato. Il ricorrente lamenta la violazione delle norme sulla valutazione della credibilità delle dichiarazioni rese dal richiedente la protezione internazionale, e l’omesso esame comparativo tra le informazioni rese dall’istante e la situazione personale di quest’ultimo, non avendo la Corte territoriale, ai fini della protezione sussidiaria, acquisito le informazioni sulla situazione generale del paese di provenienza, riguardo alla situazione di violenza indiscriminata, con specifico riguardo al sistema delle violenze private.

Invero, la Corte d’appello ha escluso, ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, ex lett. c), la sussistenza in Ghana di una situazione di violenza indiscriminata, sulla base di una fonte informativa risalente al 2017, soggiungendo che le doglianze del ricorrente circa la diffusione delle violenze private e l’inefficienza della polizia non erano fondate su elementi sufficienti per integrare l’invocata fattispecie di protezione sussidiaria, con argomentazioni incensurabili in questa sede.

Il terzo motivo è infondato. Anzitutto, va escluso che la Corte territoriale abbia adottato una motivazione apparente, avendo argomentato in maniera esaustiva, incensurabile in questa sede, circa l’insussistenza dell’integrazione del ricorrente nel territorio italiano. Al riguardo, la Corte di merito, pur dando atto dell’attività lavorativa svolta dall’istante, ha comunque escluso il riconoscimento della protezione umanitaria per la mancanza di condizioni di vulnerabilità di quest’ultimo nel caso di rimpatrio, poichè la situazione del Ghana non presentava instabilità politica ed indiscriminata violenza.

Va altresì osservato che la decisione impugnata si pone in linea con le motivazioni adottate dalle SSUU nella citata sentenza, secondo le quali il mero svolgimento di attività lavorativa non può, isolatamente considerato, legittimare la concessione del permesso umanitario (alla stregua dei previgenti parametri normativi), in mancanza di una valutazione comparativa tra la situazione soggettiva dell’istante e la condizione generale del paese di provenienza, finalizzata alla verifica se il rimpatrio possa determinare la privazione dei diritti fondamentali.

Come detto, la Corte d’appello ha escluso che tale comparazione possa indurre a ritenere che nel caso di rimpatrio del ricorrente, possano verificarsi situazioni di violazione dei diritti umani al di sotto del loro nucleo fondamentale.

Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta i due motivi del ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio che liquida nella somma di Euro 2100,00, oltre al rimborso delle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 18 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 18 marzo 2021

 

 

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