Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7725 del 20/03/2019

Cassazione civile sez. VI, 20/03/2019, (ud. 22/11/2018, dep. 20/03/2019), n.7725

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. OLIVIERI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16389-2016 proposto da:

B.A., B.E., elettivamente domiciliate in

ROMA, VIA ORAZIO 30, presso lo studio dell’avvocato STEFANO PUCCI,

che le rappresenta e difende;

– ricorrenti –

contro

VILLA DAFNE MAJESTIC SRL;

– intimata –

avverso la sentenza n. 3505/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 05/06/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 22/11/2018 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVIERI.

IL COLLEGIO:

Fatto

PREMESSO IN FATTO

La Corte d’appello di Roma, con sentenza in data 5.6.2015 n. 3505, ha confermato la decisione di prime cure e rigettato la domanda di risarcimento danni proposta da G.G. – e proseguita dopo il decesso dell’attrice dalle eredi B.E. ed B.A. – nei confronti di Villa Dafne Majestic s.r.l., per essere la prima caduta sui gradini delle scale che conducevano dalla piscina alla sala ristorante della struttura ricettiva gestita dalla predetta società.

Il Giudice di appello ha ritenuto che difettasse la prova del nesso di causalità tra la “res” (gradini) e le lesioni personali subite dalla danneggiata, non essendo stato dimostrato che la situazione presentasse un pericolo occulto e non evitabile, atteso che nessuna altra persona delle numerose presenti per l’evento era caduta sui medesimi gradini, dovendo pertanto concludersi per la imputabilità esclusiva del sinistro alla condotta negligente della danneggiata che non aveva usato la comune attenzione richiesta ad una persona nel salire le scale.

La sentenza di appello è stata impugnata con quattro motivi dalle eredi di G.G..

Non ha svolto difese la società intimata con atto ritualmente notificato presso il difensore domiciliatario in data 4.7.2016.

La causa è stata ritenuta definibile mediante procedimento in camera di consiglio, in adunanza non partecipata, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., comma 1, nn. 1) e 5), e dell’art. 380 bis c.p.c., essendo formulata proposta di manifesta infondatezza del ricorso.

La parte ricorrente ha depositato memorie illustrative ex art. 380 bis c.p.c.

Diritto

OSSERVA

Il primo motivo con il quale si denuncia la nullità della sentenza per carenza assoluta di motivazione (violazione art. 132 c.p.c., comma 1, (recte 2), nn. 3 e 4 e art. 161 c.p.c.; art. 111 Cost., comma 6, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) è fondato.

La sentenza impugnata, infatti, reca una motivazione “per relationem” -in quanto integralmente confermativa della decisione di “prime cure”, della quale condivide gli argomenti svolti a sostegno del rigetto della pretesa risarcitoria – che non può ritenersi soltanto estremamente stringata, non pervenendo ad assolvere al requisito minimo costituzionale richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, e dall’art. 132c.p.c., comma 2, n. 4), e dall’art. 118 disp. att. c.p.c., comma 1, per rappresentare la relazione logica istituita tra la premessa di fatto e la regola giuridica applicata.

La mera affermazione a) del difetto del nesso di causalità tra “res” ed “eventum damni”, b) della assenza di insidiosità della “res”, non è ex se esplicativa della “ratto decidendi” in quanto tale affermazione in null’altro si risolve che nella asserzione della insussistenza dei fatti costitutivi della pretesa come delineati nell’art. 2051 c.c., difettando quindi del tutto la indicazione delle linee essenziali – in fatto e diritto – attraverso le quali si è svolto il percorso logico che conduce al “decisum”, ossia delle ragioni per le quali la sequenza causale che individua la cosa quale fatto idoneo a generare l’evento lesivo debba ritenersi interrotta dal fatto sopravvenuto individuato nella condotta della danneggiata.

Non è dubbio che, anche nella fattispecie di responsabilità oggettiva ex art. 2051 c.c., gravi sul danneggiato la prova del nesso eziologico tra la condizione della “res” in custodia (quale causa agente) e l'”eventum damni” inteso quale conseguenza attesa del la normale serie causale, ossia quale evento normalmente prevedibile -in base a regole statistiche od a leggi fisiche – derivante dalla interrelazione della cosa in custodia con il soggetto che, appunto, viene in contatto con essa. E del pari non è dubitabile che laddove “la situazione, comunque ingeneratasi sia superabile mediante l’adozione di un comportamento ordinariamente cauto da parte dello stesso danneggiato, va allora escluso che il danno sia stato cagionato dalla cosa, ridotta al rango di mera occasione dell’evento, e ritenuto integrato il fortuito”, la condotta del danneggiato assurge a causa esclusiva dell’evento e “viene meno appunto il nesso causale tra la cosa custodita e quest’ultimo e la fattispecie non può più essere sussunta entro il paradigma dell’art. 2051 c.c., anche quando la condotta possa essere stata prevista o sia comunque prevedibile, ma esclusa come evenienza ragionevole od accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale” (cfr. Corte cass. Sez. 3 -, Ordinanza n. 2481 del 01/02/2018, in motivazione, par. 5.11, 5.12, 5.35 e 5.36). Ma è proprio in relazione allo specifico comportamento tenuto dal danneggiato che deve rivolgersi, in tal caso, l’argomento giuridico a sostegno della esclusione del nesso eziologico, argomento che deve, pertanto, necessariamente risultare dalla motivazione della sentenza, con la indicazione degli elementi che hanno giustificato il convincimento al quale il Giudice è pervenuto.

La motivazione della sentenza impugnata, peraltro, neppure riproduce l’accertamento in fatto compiuto dal primo Giudice, nè tanto meno gli argomenti da quello posti a fondamento del ragionamento che ha condotto alla conclusione secondo cui il danno deve ritenersi in via esclusiva imputabile alla condotta della danneggiata, in tal modo rimanendo impedito qualsiasi controllo di legittimità, tanto in relazione ad errori di fatto, quanto in relazione ad errori di diritto.

Questa Corte ha ripetutamente statuito che la sentenza di appello che si rifaccia alla motivazione della statuizione impugnata non è nulla, qualora le ragioni della decisione siano, in ogni caso, attribuibili all’organo giudicante e risultino in modo chiaro, atteso che il Giudice del gravame può aderire a quella motivazione senza necessità, ove la condivida, di ripeterne tutti gli argomenti o di rinvenirne altri (cfr. Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 642 del 16/01/2015; id. Sez. 1, Sentenza n. 10937 del 26/05/2016; id. Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 22562 del 07/11/2016). In tal caso la motivazione del precedente costituisce parte integrante della decisione, sicchè la parte che intenda impugnarla ha l’onere di compiere una precisa analisi anche delle argomentazioni che vi sono inserite mediante l’operazione inclusiva del precedente, alla stregua dei requisiti di specificità propri di ciascun modello di gravame, previo esame preliminare della sovrapponibilità del caso richiamato alla fattispecie in discussione (cfr. Corte cass. Sez. L, Sentenza n. 17640 del 06/09/2016).

E’ dunque consentito il rinvio agli argomenti giuridici svolti in altri atti processuali ed a precedenti provvedimenti giurisdizionali, ma affinchè sia assolto il requisito motivazionale di validità della sentenza, tali argomenti debbono in ogni caso risultare “in modo chiaro, univoco ed esaustivo” (cfr. Corte cass. Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 22562 del 07/11/2016), così da consentire il controllo di conformità legale del provvedimento impugnato (cfr. Corte cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 5209 del 06/03/2018).

Nel caso di specie l’assunto che “non vi è prova del nesso causalità tra l’asserita oscurità della scala, l’assenza di corrimano e la caduta” oltre ad esprimere un enunciato meramente assertivo non fornisce alcuna esplicazione della ragione per cui le peculiari condizioni dei luoghi (oscurità; assenza di corrimano) non avrebbero avuto alcuna rilevanza eziologica rispetto all’evento lesivo, e cioè la ragione per cui una scala priva di adeguata illuminazione e non dotata di corrimano (ove tale dispositivo debba ritenersi necessario) non determini una situazione di pericolo idonea a costituire fatto generatore di danno.

Manca in sostanza l’apparato argomentativo minimo idoneo a rappresentare quale sia la correlazione tra premessa in fatto e regola di diritto assunta a fondamento della decisione, dovendo in conseguenza ribadirsi il principio di diritto per cui, in tema di ricorso per cassazione, è nulla, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, la motivazione solo apparente, che non costituisce espressione di un autonomo processo deliberativo, quale la sentenza di appello motivata “per relationem” alla sentenza di primo grado, attraverso una generica condivisione della ricostruzione in fatto e delle argomentazioni svolte dal primo giudice, senza alcun esame critico delle stesse in base ai motivi di gravame: ed infatti la motivazione è solo apparente, e la sentenza è affetta da “error in procedendo”, quando, benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture. (cfr. Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014; id. Sez. U, Sentenza n. 22232 del 03/11/2016; id. Sez. L -, Sentenza n. 27112 del 25/10/2018; id. Sez. L -, Ordinanza n. 28139 del 05/11/2018).

In conclusione il ricorso deve essere accolto, relativamente al primo motivo, rimanendo assorbito l’esame degli altri motivi; la sentenza impugnata deve, pertanto, essere cassata con rinvio della causa alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione per nuovo esame. Il Giudice del rinvio provvederà anche alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

PQM

accoglie il primo motivo di ricorso; dichiara assorbiti gli altri motivi di ricorso; cassa la sentenza in relazione al motivo accolto; rinvia alla Corte di appello di Roma in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 22 novembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 20 marzo 2019

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