Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7725 del 18/03/2021

Cassazione civile sez. I, 18/03/2021, (ud. 18/12/2020, dep. 18/03/2021), n.7725

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – rel. Consigliere –

Dott. PACILLI Giuseppina Anna Rosaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 22948/2018 proposto da:

A.I., elettivamente domiciliato presso l’avv. Andrea Maestri,

il quale lo rappres. e difende, con procura speciale in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro p.t., elettivamente

domiciliato in Roma, in via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1643/2018 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 18/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

18/12/2020 dal Cons. Dott. CAIAZZO ROSARIO.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

Con sentenza emessa il 18.6.18, la Corte d’appello di Bologna, decidendo sull’appello proposto da A.I., cittadino del (OMISSIS), avverso l’ordinanza emessa il 25.10.16 dal Tribunale di Bologna che aveva respinto le domande dirette ad ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato, e delle protezioni sussidiaria ed umanitaria, ha rigettato l’impugnazione, osservando che: non era credibile la vicenda narrata dal ricorrente come ragione giustificativa della decisione di espatriare (secondo il ricorrente il padre svolgeva attività di tassista alle dipendenze di un noto esponente politico locale il quale, a seguito del danneggiamento di un taxi, sospettando che il padre avesse volontariamente cagionato il sinistro, lo avrebbe minacciato; a causa di tale minacce, il padre dell’istante avrebbe lasciato il Bangladesh per recarsi dapprima in Libia e poi in Italia); non erano state circostanziate le altre vicende che lo avevano portato a ricongiungersi alla famiglia in Libia.

Avverso tale sentenza ha ricorso in cassazione l’ A. con tre motivi. Resiste il Ministero dell’Interno con controricorso.

Con ordinanza interlocutoria emessa il 12.7.19 questa Corte ha rinviato la causa a nuovo ruolo in attesa della decisione delle Sezioni Unite sulla questione inerente all’applicabilità del D.L. n. 113 del 2018, ai procedimenti in corso in tema di protezione umanitaria e sul quesito se, ritenuti applicabili i parametri normativi previgenti, sia da confermare il principio affermato dalla sentenza della Cass., emessa il 23.2.18, n. 4455, circa la riconoscibilità del permesso umanitario al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato d’integrazione sociale in Italia, sulla base di una comparazione della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al paese d’origine.

Diritto

RITENUTO

Che:

Con il primo motivo si denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 10 Cost., D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 14 e 17, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 e art. 32, comma 3, D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, comma 1 e art. 33 Convenzione di Ginevra, per il mancato riconoscimento della protezione sussidiaria ed umanitaria, avendo la Corte territoriale omesso la cooperazione istruttoria nella parte in cui la sentenza impugnata aveva escluso la credibilità del ricorrente, anche considerando che dal rapporto di Amnesty International si desumeva una situazione di violenza indiscriminata in Bangladesh.

Con il secondo motivo si denunzia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, comma 1 e art. 33 Convenzione di Ginevra, deducendo che la motivazione impugnata non avesse considerato la situazione del paese di transito del ricorrente al fine di valutare l’allegata condizione di vulnerabilità.

Il terzo motivo denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo circa la protezione umanitaria, avendo la Corte territoriale negato il riconoscimento della protezione umanitaria sulla sola base della ritenuta mancata credibilità delle dichiarazioni rese dal ricorrente innanzi alla Commissione territoriale.

A seguito della sentenza n. 29459/19 delle SU, la causa va dunque decisa.

Il primo e terzo motivo, esaminabili congiuntamente poichè tra loro connessi, vanno accolti.

Invero, la Corte d’appello non ha acquisito alcuna informazione sulla situazione generale del paese di provenienza del ricorrente riguardo alla situazione socio-politica, con specifico riferimento alla sussistenza di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato, ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria e umanitaria. Va osservato che, secondo l’orientamento di questa Corte, in tema di protezione internazionale, il principio in virtù del quale quando le dichiarazioni dello straniero sono inattendibili non è necessario un approfondimento istruttorio officioso, se è applicabile ai fini dell’accertamento dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato o di quelli per il riconoscimento della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), non può invece essere invocato nell’ipotesi di cui all’art. 14, lett. c), del medesimo decreto, poichè in quest’ultimo caso il dovere del giudice di cooperazione istruttoria sussiste sempre, anche in presenza di una narrazione non credibile dei fatti attinenti alla vicenda personale del richiedente, purchè egli abbia assolto il proprio dovere di allegazione (Cass., n. 10286/2020; n. 15794/19; n. 4892/19).

Al riguardo, nel caso concreto, la Corte territoriale ha ritenuto inattendibili le dichiarazioni del ricorrente, ma non ha assunto informazioni relative alla situazione socio-politica del Bangladesh, pur avendo il ricorrente allegato il timore connesso al rimpatrio, sia per gli eventi bellici del 2013, in cui sarebbe rimasto vittima il padre, sia per le minacce di essere ucciso dai persecutori del padre.

Invero, la Corte territoriale ha ritenuto che l’inattendibilità del racconto reso dal ricorrente precludesse il potere istruttorio d’ufficio, ma senza, appunto, tener conto della domanda di protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c) e dell’istanza di protezione umanitaria.

Il terzo motivo è, invece, inammissibile. In particolare, il ricorrente si duole che la Corte d’appello, ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, non abbia tenuto conto del suo transito in Libia, senza allegare la sua specifica condizione di vulnerabilità nella quale abbia versato nel paese di transito e la lesione dei diritti fondamentali che ivi avrebbe patito, con le riflesse conseguenze sull’attuale permanenza nel territorio italiano.

Per quanto esposto, in accoglimento del primo e terzo motivo, la sentenza impugnata va cassata, con rinvio alla Corte d’appello di Bologna, anche per il regime delle spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie il primo e terzo motivo del ricorso, inammissibile il terzo, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Bologna, in diversa composizione, anche per le spese del grado di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 18 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 18 marzo 2021

 

 

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