Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7713 del 06/04/2020

Cassazione civile sez. I, 06/04/2020, (ud. 22/11/2019, dep. 06/04/2020), n.7713

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

Dott. SCORDAMAGLIA Irene – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 31948/2018 proposto da:

R.A.S., elettivamente domiciliato in Roma, piazza

Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione,

rappresentato e difeso dall’avvocato Carla Mannetti, come da procura

in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’interno in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1585/2018 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 03/09/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

22/11/2019 da Dott. FALABELLA MASSIMO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – E’ impugnata per cassazione la sentenza della Corte di appello di L’Aquila, pubblicata il 3 settembre 2018, con cui è stato respinto il gravame proposto da R.A.S. nei confronti dell’ordinanza ex art. 702 ter c.p.c., comma 5, del Tribunale del capoluogo abruzzese. La nominata Corte ha negato che il ricorrente potesse avere accesso sia alla protezione sussidiaria che a quella umanitaria.

2. – Il ricorso per cassazione si fonda su due motivi (ma il secondo è numerato come terzo). Il Ministero dell’interno, intimato, non ha svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Il primo motivo deduce: violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8,D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2,3,4,5 e 6. Secondo l’istante la Corte di merito non avrebbe valutato la domanda di protezione sussidiaria alla luce delle previsioni dell’art. 14, lett. a) e lett. b), e avrebbe mancato di motivare avendo riguardo a tali fattispecie di “danno grave”. Con riferimento all’ipotesi di cui alla lett. c) del cit. art. 14, poi, il ricorrente richiama il principio per cui non è necessario che lo straniero fornisca la prova di essere interessato a una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona.

Il motivo non è fondato.

Con riferimento al primo profilo, la Corte di appello ha osservato come l’odierno istante non fosse esposto ad alcun rischio concreto ed effettivo, non appartenendo ad alcuna delle categorie (quali oppositori politici, giornalisti, blogger, studenti, operatori umanitari) esposte al rischio di danni gravi. Tale accertamento in fatto, nemmeno contestato in ricorso, assume rilievo dirimente: infatti al fine d’integrare i presupposti di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), è sufficiente, ma pure necessario, che risulti provato, con un certo grado di individualizzazione, che il richiedente, ove la tutela gli fosse negata, rimarrebbe esposto a rischio di morte o a trattamenti inumani e degradanti (Cass. 20 giugno 2018, n. 16275).

Per quel che concerne la fattispecie di cui all’art. 14, lett. c), poi, la sentenza impugnata non contiene alcuna affermazione contraria al principio per cui, ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria di cui al cit. art. 14, lett. c), si richiede che il livello del conflitto armato in corso sia tale che l’interessato, rientrando nel paese o nella regione di origine correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio di questi ultimi, un rischio effettivo di subire la detta minaccia (in tema: Corte giust. 17 febbraio 2009, C-465/07, Elgafaji, richiamata da Corte giust. 30 gennaio 2014, C-285/12, Diakitè; per la giurisprudenza nazionale cfr. pure, di recente: Cass. 13 maggio 2018, n. 13858; Cass. 23 ottobre 2017, n. 25083; Cass. 21 luglio 2017, n. 18130).

La Corte di appello ha poi motivatamente escluso, sulla base delle informazioni acquisite al processo, che il Bangladesh, ove avrebbe dovuto far ritorno il ricorrente,, fosse interessato alla situazione di cui all’art. 14, lett. c). Per il resto, è opportuno ricordare come l’accertamento della situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale” che sia causa, per il richiedente, di una sua personale e diretta esposizione al rischio di un danno grave, quale individuato dalla citata disposizione, implichi un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito (Cass. 21 novembre 2018, n. 30105).

2. – Col secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32. Assume il ricorrente che la Corte di merito, nello scrutinio della censura relativa alla protezione umanitaria, avrebbe omesso di considerare che la violazione degli obblighi costituzionali e internazionali che gravano sullo Stato italiano, e che riflettono i diritti inviolabili dell’uomo, comporta una grave condizione di vulnerabilità. L’istante deduce di aver diritto alla protezione richiesta in considerazione delle gravissime condizioni del paese di origine, del livello di integrazione raggiunto in Italia e della sua permanenza in Libia.

Il motivo va disatteso.

La situazione di vulnerabilità deve necessariamente correlarsi alla vicenda personale del richiedente, perchè altrimenti si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti in contrasto col parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 (Cass. 23 febbraio 2018, n. 4455, in motivazione; Cass. 2 aprile 2019, n. 9304; cfr. pure la recentissima Cass. Sez. U. 13 novembre 2019, n. 29460, sempre in motivazione). Nè può attribuirsi rilievo esclusivo ad aspetti della vita del ricorrente che siano indicativi del suo inserimento nel tessuto sociale del nostro paese: e ciò perchè non può essere riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari, di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, considerando, isolatamente ed astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia (Cass. 28 giugno 2018, n. 17072; ora anche Cass. Sez. U. 13 novembre 2019, n. 29460 cit., in motivazione). Quanto al dato della “permanenza in Libia”, non è chiarito se e come tale circostanza sia stata posta a fondamento della domanda di protezione umanitaria nel corso del giudizio di merito: e a fronte di tale assenza di specificità della censura la questione attinente a tale profilo di vulnerabilità non può avere ingresso nella presente sede (Cass. 9 agosto 2018, n. 20694; Cass. 13 giugno 2018, n. 15430).

3. – In conclusione, il ricorso è respinto.

4. – Non deve pronunciarsi alcunchè in punto di spese.

PQM

La Corte:

rigetta il ricorso; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale e del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 22 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 6 aprile 2020

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