Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7712 del 06/04/2020

Cassazione civile sez. I, 06/04/2020, (ud. 22/11/2019, dep. 06/04/2020), n.7712

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

Dott. SCORDAMAGLIA Irene – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 30130/2018 proposto da:

U.Z., elettivamente domiciliato in Roma, piazza Cavour, presso

la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e

difeso dall’avvocato Antonino Ciafardini, come da procura in calce

al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’interno, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso la sentenza n. 612/2018 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 30/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

22/11/2019 da Dott. FALABELLA MASSIMO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

appello di L’Aquila, pubblicata il 30 marzo 2018, con cui è stato respinto il gravame proposto da U.Z. nei confronti dell’ordinanza ex art. 702 ter c.p.c., comma 5, del Tribunale del capoluogo abruzzese. La nominata Corte ha ritenuto inammissibile l’appello con riguardo al mancato riconoscimento dello status di rifugiato ed ha altresì escluso che l’istante potesse essere ammesso alla protezione sussidiaria e a quella umanitaria.

2. – Il ricorso per cassazione si fonda su quattro motivi. Il Ministero dell’interno, intimato, non ha svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Col primo motivo sono lamentati violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 4,5,6 e 14, D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 27, artt. 2 e 3 CEDU, nonchè difetto di motivazione, travisamento dei fatti e omesso esame di fatti decisivi. Sostiene il ricorrente che, diversamente da quanto dedotto dalla Corte di appello, la narrazione della propria vicenda, incentrata su fatti gravi di persecuzione e minaccia alla propria vita e incolumità, era precisa e chiara.

Il motivo è inammissibile.

La Corte di merito ha disatteso la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato ritenendo inammissibile il relativo motivo di appello, che non era stato svolto in modo specifico e pertinente: con riferimento a tale statuizione andava perciò proposta una censura per denunciare l’error in procedendo in cui sarebbe incorso il giudice del gravame nel fare applicazione dell’art. 342 c.p.c..

L’istante non prospetta, di contro, il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 4; nei suoi contenuti la censura si risolve, poi, in una sterile negazione della genericità della prospettazione ritenuta dalla Corte di merito, senza fornire alcuna indicazione, quanto alla vicenda rappresentata in giudizio, che sconfessi il giudizio formulato dal giudice di appello in punto di inammissibilità del motivo di gravame.

2. – Il secondo mezzo imputa alla sentenza impugnata la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 5: ci si duole che la Corte di appello non abbia applicato il principio dell’onere probatorio attenuato, nè valutato la credibilità del richiedente alla luce di quanto disposto dall’art. 3, comma 5, del citato D.Lgs..

Il motivo è inammissibile.

Il tema della non credibilità del racconto è affrontato, nel ricorso, alquanto sbrigativamente, denunciandosi che il giudice di appello non avrebbe verificato la sussistenza delle ragioni personali palesate dall’istante: si tratta, in realtà, di una censura che non mostra aderenza al provvedimento impugnato; infatti, con riguardo allo status di rifugiato è assorbente il dato processuale della nominata inammissibilità dell’appello, mentre il rigetto della domanda di protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c), non si fonda su alcun giudizio di credibilità del narrato; quanto alla protezione umanitaria, essa è stata negata sulla base della insussistenza di condizioni di vulnerabilità. E’ qui appena il caso di ricordare che le censure prive di specifica attinenza al decisum della sentenza impugnata sono inammissibili, integrando motivi che non possono rientrare nel paradigma normativo di cui all’art. 366 c.p.c., n. 4 (Cass. 18 febbraio 2011, n. 4036; Cass. 3 agosto 2007, n. 17125).

Il motivo deplora, poi, il mancato impiego dei poteri istruttori officiosi da parte dei giudici di merito. Una tale doglianza appare tuttavia fuori bersaglio, in quanto la Corte di merito ha puntualmente indicato i report che documentavano la situazione del Pakistan, da cui proviene il ricorrente (cfr. pag. 6 della sentenza impugnata).

3. – Il terzo motivo oppone la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c). Lamenta l’istante che la Corte di appello non abbia riconosciuto la sussistenza di una minaccia grave alla vita del cittadino straniero derivante da una situazione di violenza indiscriminata; osserva, in particolare, che ai fini della richiamata norma di protezione, non è necessario che il richiedente fornisca la prova di essere oggetto di minaccia a motivo di elementi peculiari della sua situazione personale.

Il motivo è infondato.

La sentenza impugnata non contiene alcuna affermazione contraria al principio per cui situazione in cui ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria di cui al cit. art. 14, lett. c), si richiede che il livello del conflitto armato in corso sia tale che l’interessato, rientrando nel paese o nella regione di origine correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio di questi ultimi, un rischio effettivo di subire la detta minaccia (in tema: Corte giust. 17 febbraio 2009, C465/07, Elgafaji, richiamata da Corte giust. 30 gennaio 2014, C-285/12, Diakitè; per la giurisprudenza nazionale cfr. pure, di recente: Cass. 13 maggio 2018, n. 13858; Cass. 23 ottobre 2017, n. 25083; Cass. 21 luglio 2017, n. 18130).

Vero è, invece, che la Corte di appello ha motivatamente escluso, sulla base delle informazioni acquisite al processo, che il Punjab, ove avrebbe dovuto far ritorno il ricorrente, fosse interessato a una tale situazione. Per il resto, è opportuno ricordare come l’accertamento della situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, di cui all’art. 14, lett. c), che sia causa, per il richiedente, di una sua personale e diretta esposizione al rischio di un danno grave, quale individuato dalla medesima disposizione, implichi un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito (Cass. 21 novembre 2018, n. 30105).

4. – Il quarto motivo prospetta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 5, comma 6. Viene rilevato che la Corte di appello avrebbe denegato il riconoscimento della protezione umanitaria con motivazione contraddittoria o apparente.

Il vizio denunciato è insussistente.

Il giudice distrettuale ha escluso che al richiedente fosse riferibile una condizione di particolare vulnerabilità e ha precisato che, in difetto di elementi individuali circostanziali, non poteva assumere rilievo il generico riferimento alla generale situazione del paese di origine; ha pure negato che le condizioni economiche precarie potessero giustificare la protezione richiesta, dovendo essere esaminate dall’autorità amministrativa nell’ambito della gestione del politiche migratorie, e ha del pari negato che potesse assumere un qualche significato, ai fini indicati, la dichiarata disponibilità di U. a svolgere un lavoro.

Tale motivazione è tutt’altro che contraddittoria o apparente.

Ma la decisione risulta pure corretta in punto di diritto, risultando conforme al principio per cui la situazione di vulnerabilità deve necessariamente correlarsi alla vicenda personale del richiedente, perchè altrimenti si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti, in contrasto col parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 (Cass. 23 febbraio 2018, n. 4455, in motivazione; Cass. 2 aprile 2019, n. 9304; ora anche Cass. Sez. U. 13 novembre 2019, n. 29460, in motivazione).

5. – Il ricorso è respinto.

6. – Nulla deve statuirsi in punto di spese processuali.

P.Q.M.

La Corte:

rigetta il ricorso; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale e del controricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 22 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 6 aprile 2020

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