Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7712 del 05/04/2011

Cassazione civile sez. III, 05/04/2011, (ud. 15/02/2011, dep. 05/04/2011), n.7712

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FINOCCHIARO Mario – Presidente –

Dott. CARLEO Giovanni – Consigliere –

Dott. ARMANO Uliana – Consigliere –

Dott. LANZILLO Raffaella – Consigliere –

Dott. CARLUCCIO Giuseppa – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 2325-2009 proposto da:

ARREDA DI CESANA ANTONIO & C. SAS, in persona del

legale

rappresentante pro tempore Sig. C.A., (OMISSIS),

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA SIMON BOCCANEGRA 8, presso lo

studio dell’avvocato GIULIANI FABIO, che la rappresenta e difende in

virtù di procura notarile dr. Franz Savastano di Andora

dell’11.12.2008 (rep. n. 66070);

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO SIRCAF DI STETTINI STELVIO SAS;

– intimata –

avverso la sentenza n. 517/2008 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

Prima Sezione Civile, emessa il 19/3/2008, depositata il 26/04/2008

(R.G. 941/2006);

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/02/2011 dal Consigliere Dott. GIUSEPPA CARLUCCIO;

udito l’Avvocato FABIO GIULIANI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

APICE Umberto che ha concluso per l’accoglimento dei primi quattro

motivi del ricorso, assorbiti gli altri.

Fatto

RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO

1. Il Fallimento Sircaf s.a.s. di Stettini Stelvio chiedeva al Tribunale la condanna della Arreda s.a.s. di Cesana Antonio & C. al pagamento del residuo del prezzo, pari a circa L. 30 milioni, dovuto per la cessione di azienda; la domanda veniva accolta. La decisione era confermata dalla Corte di appello (sentenza 26 aprile 2008).

Avverso la suddetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione la società Arreda, con otto motivi corredati da quesiti. Il Fallimento, ritualmente intimato, non si è difeso.

2. Il processo di primo e secondo grado si è incentrato, attraverso prove documentali e testimoniali, intorno a due profili essenziali.

Il primo concerne l’eccezione di prescrizione decennale del credito, sollevata dalla società convenuta in primo grado. Il secondo il valore della quietanza firmata da S.S. il 25 giugno 1984.

2.1. In ordine alla prescrizione, la questione concerne l’atto interruttivo, costituito dalla lettera del 27 agosto 1984 della Sircaf, contenente costituzione in mora. Lettera, che il giudice ha ritenuto idoneo atto interruttivo, per essere stata spedita (talloncino di accettazione su modulo delle Poste) e dovendosi presumere la ricezione, pur in mancanza di A.R., senza che potesse sorgere l’onere per il mittente di provarne la ricezione, stante la mancanza di tempestiva contestazione della ricezione da parte del destinatario.

2.2. In ordine alla quietanza firmata dallo S., entrambi i giudici l’hanno ritenuta, valutate le testimonianze, idoneo documento probatorio relativamente alla sola somma di cui attesta la ricezione (L. due milioni), senza che la dizione “a saldo” valesse come liberatoria degli altri importi dovuti per la cessione di azienda.

3. I motivi di ricorso sono esaminabili a blocchi, concernendo i primi quattro l’atto interruttivo, gli altri quattro la quietanza.

3.1. Con i primi due la società ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto non tempestiva la contestazione della spedizione-ricezione della lettera interruttiva della prescrizione. Con il primo, sostenendo che può considerarsi tempestiva la contestazione perchè ricompresa nel riconoscimento dell’effetto interruttivo riferito esclusivamente ad una successiva lettera inviata dal curatore fallimentare; riconoscimento contenuto nella comparsa di costituzione.

Con il secondo, sostenendo che può considerarsi tempestiva la contestazione perchè effettuata, specificamente rispetto alla lettera del 1984, nella comparsa conclusionale di primo grado, e riproposta in appello.

Entrambi sono inammissibili. Le censure suddette, entrambe incentrate – per quel che può intendersi dalla parte motiva e dai quesiti – sulla tardività, ritenuta dal giudice, della contestazione della lettera, sono state poste attraverso la prospettazione, in rubrica, della violazione degli artt. 112, 115, 116 e 167 c.p.c., in riferimento all’art. 360, n. 4 c.p.c, e non delle norme concernenti le preclusioni processuali. Tale divaricazione tra argomentazioni, quesiti e rubrica, non rendendo chiara ed inequivoca la censura alla sentenza impugnata, determina l’inammissibilità dei motivi ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 4, e art. 366 bis c.p.c..

3.2. I motivi terzo e quarto sono assorbiti.

Infatti, entrambi presuppongono che siano state accolte le censure svolte con i primi due motivi concernenti l’erroneità della sentenza in ordine alla tardività delle contestazioni sulla lettera interruttiva della prescrizione. Il primo, denunciando la violazione di norme di diritto (artt. 1219, 1355, 2943 e 2697 c.c), deduce la violazione del principio di diritto, riconosciuto dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui, in caso di contestazione, non basta la spedizione perchè si possa presumere la ricezione, dovendosi provare l’avvenuta ricezione, nonchè l’erronea valutazione delle prove documentali in ordine alla spedizione. Il secondo, sulla stessa linea difensiva, lamenta omessa e insufficiente motivazione sulla, prova della spedizione, laddove il giudice di appello aveva ritenuto nuova tale contestazione.

4. Il secondo gruppo di motivi riguarda la quietanza.

Con il quinto e il sesto, la ricorrente lamenta omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione, nella parte in cui la sentenza ha confermato, valutando le prove, il giudizio del primo giudice, secondo cui la quietanza è riferibile solo ai due milioni e non ha valore liberatorio per il restante debito.

Si tratta della riproposizione di una valutazione diversa, rispetto a quella fatta propria dal giudice – sulla base di univoche testimonianze, di elementi indiziari e delle generiche eccezioni di pagamento della società convenuta – con motivazione logicamente ineccepibile e appropriata.

I motivi, sono pertanto, inammissibili, chiedendosi sostanzialmente una valutazione di merito al giudice di legittimità.

5. Con il settimo motivo, la ricorrente si lamenta (art. 116 c.p.c. e art. 2697 c.c.) che la testimonianza de relato, rispetto al legale rappresentante della società convenuta, rilasciata dalla moglie dello stesso, sia stata considerata priva di qualsiasi valore, senza apprezzarla unitamente ad altre risultanza probatorie.

Il motivo va rigettato.

Il giudice d’appello ha fatto corretta applicazione del principio secondo cui “La deposizione “de relato ex parte actoris”, se riguardata di per sè sola, non ha alcun valore probatorio, nemmeno indiziario; può tuttavia assurgere a valido elemento di prova quando sia suffragata da circostanze oggettive e soggettive ad essa intrinseche o da risultanze probatorie acquisite al processo che concorrano a confortarne la credibilità”. (cass. n. 11844 del 2006).

Infatti ha negato rilievo alla testimonianza della B. per essere la stessa coniuge del soggetto illimitatamente responsabile della società convenuta, oltre che per essere tale testimonianza de relato actoris, provenendo le notizie dal legale rappresentante (marito) della società convenuta, così valutando altre circostanze.

Tanto più la sentenza deve ritenersi corretta se si considera che, successivamente, la giurisprudenza di legittimità si è dimostrata ancor più rigorosa, ammettendo la valutazione di altre circostanze solo quando i testi depongono su circostanze apprese da persone estranee al giudizio (de relato in genere) e non quando (de relato actoris) depongono su circostanza di cui sono stati informati dal soggetto medesimo che ha proposto il giudizio (o è convenuto) (Cass. n. 8358 del 2007).

6. L’ottavo motivo, è inammissibile, censurando un passaggio della sentenza che, per essere ipotetico – secondo l’ammissione dello stesso ricorrente – è ininfluente rispetto alla decisione. Infatti, si lamenta (art. 342 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4) la inidoneità dei motivi di appello relativi alla valutazione delle prove, inidoneità ritenuta in sentenza con la premessa “anche a tacere dal rilievo”, poi seguita dalla compiuta rivalutazione delle prove da parte del giudice, conseguente ad aver considerato specifici i motivi di appello.

Nulla per le spese.

P.Q.M.

LA CORTE DI CASSAZIONE Rigetta il ricorso. Nulla per le spese.

Così deciso in Roma, il 15 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 5 aprile 2011

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