Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7711 del 18/03/2021

Cassazione civile sez. II, 18/03/2021, (ud. 15/12/2020, dep. 18/03/2021), n.7711

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – rel. Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25725/2019 proposto da:

H.M.M., rappresentato e difeso dall’avv. NICOLA VISCANTI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), IN PERSONA DEL MINISTRO PRO

TEMPORE;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di POTENZA, depositata il

24/07/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

15/12/2020 dal Consigliere Dott. SERGIO GORJAN.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

H.M.M. – cittadino del (OMISSIS) – ebbe a proporre ricorso avanti il Tribunale di Potenza avverso la decisione della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Bari, che aveva rigettato la sua istanza di protezione in relazione a tutti gli istituti previsti dalla relativa normativa.

Il ricorrente deduceva d’essersi dovuto allontanare dal suo Paese nel 2016 – dapprima verso la Libia e quindi verso l’Italia – poichè doveva aiutare economicamente la famiglia, anche privata della casa a causa d’alluvione, ed inoltre perchè stato minacciato dal fratello della ragazza, con la quale aveva allacciato relazione sentimentale, poi invece sposatasi con altro giovane già nel (OMISSIS).

Il Tribunale di Potenza ebbe a rigettare l’opposizione, ritenendo che in base al racconto reso dal richiedente asilo non si configurava alcuna fattispecie concreta rientrante nelle ipotesi disciplinate dalla normativa sulla protezione internazionale; osservando che non concorreva situazione socio-politica di violenza generalizzata in Bangladesh e ritenendo che, nemmeno con riguardo alla protezione umanitaria, il ricorrente aveva dedotto elementi fattuali che consentivano l’accoglimento di detto tipo di protezione – non vulnerabile ed attività lavorativa svolta, elemento ex se non sufficiente -.

Avverso detto decreto l’ H. ha proposto ricorso per cassazione articolato su quattro motivi.

Il Ministero degli Interni non è costituito.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il ricorso svolto dall’ H. appare inammissibile a sensi dell’art. 360 bis c.p.c. – siccome la norma è stata ricostruita ex Cass. SU n. 7155/17.

In limine deve rilevare la Corte come la notifica del ricorso al Ministero degli Interni sia nulla in quanto effettuata presso l’Avvocatura dello Stato di Bari anzichè, come dovuto, presso l’Avvocatura Generale di Roma – Cass. SU n. 608/15 -.

Tuttavia non appare necessario disporre la nuova notificazione del ricorso, a sanatoria della nullità rilevata, in ossequio al canone del giusto processo in tempi ragionevoli, poichè il ricorso comunque va dichiarato inammissibile.

Con il primo mezzo d’impugnazione il ricorrente pone questione di legittimità costituzionale della norma del D.L. 13 del 2017, ex art. 35, commi 9 e 10 – rectius D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, commi 9 e 10, siccome innovato D.L. n. 13 del 2017, ex art. 6 – per contrasto con i principi posti ex artt. 3,24 e 111 Cost..

Reputa il ricorrente che il nuovo modello processuale previsto dalle norme, indicate siccome costituzionalmente illegittime, sia lesiva della pari dignità sociale, dell’uguaglianza e della possibilità di difesa in giudizio, limitando ad un solo grado di merito la cognizione delle questioni afferenti la protezione internazionale.

Quindi – nel medesimo contesto, in via subordinata al rigetto della questione di costituzionalità – l’ H. lamenta che il Collegio lucano non ebbe a considerare che egli era comunque stato oggetto di persecuzione, ancorchè posta in esser da soggetto privato – la famiglia della moglie – e l’effettiva situazione socio-politica del suo Paese in effetti connotata da violenza diffusa.

La censura articolata risulta patentemente priva di fondamento sotto ambedue i profili proposti.

Quanto all’eccezione di illegittimità costituzionale del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, la questiona appare manifestamente infondata poichè è costante insegnamento del Giudice delle Leggi che il grado d’appello non ha copertura costituzionale, sicchè la previsione di un giudizio in grado unico di merito non lede in alcun modo il dettato costituzionale.

Inoltre questo Supremo Collegio – Cass. sez. 1 n. 27708/18, Cass. sez. 1 n. 22950/20 – ha già posto in evidenza come il rito camerale non limiti in alcun modo l’esplicazione dell’attività difensiva in giudizio e tanto meno sia discriminatorio versoi soggetti interessati, posto che ha superato anche il vaglio di legittimità della Corte Europea.

Con relazione all’argomentazione critica svolta in via subordinata, la stessa s’appalesa astratta ed apodittica, posto che il ricorrente si limita ad evocare i lineamenti astratti dell’istituto della persecuzione tutelabile secondo la disciplina in tema di protezione internazionale ed a prospettare fatti nuovi – esser stato aggredito violentemente dai parenti della moglie, mentre nelle dichiarazioni rese in sede amministrativa ed in sede giudiziale riferiva solo di minacce da parte del fratello della ragazza, con la quale ebbe relazione ma che ebbe a sposare altro giovane, per altro sei anni prima del suo espatrio -.

Con la seconda ragione di doglianza l’ H. lamenta violazione della norma ex art. 127 c.p.c., per non aver il Giudice istruito il procedimento così violando norme processuale e di convenzioni internazionali.

In particolare il ricorrente rileva come il Tribunale ebbe ad omettere “di fornire adeguata motivazione circa un punto decisivo della controversia prospetto dal ricorrente in sede di gravame ovvero la palese violazione da parte del Giudice di prime cure dell’art. 127 c.p.c.” ossia la mancata istruzione della causa e l’omessa attivazione del potere istruttorio officioso.

La censura dianzi ricordata appare incomprensibile posto che il Tribunale di Potenza giudicava quale Giudice di prime cure, sicchè non poteva rilevare omessa esame da parte di altro Giudice.

Nell’ipotesi che il denunziato difetto di istruttoria possa esser riferito al procedimento in sede amministrativa, va evidenziato – Cass. sez. 1 n. 17318/19, Cass. sez. 1 n. 20942/20 – come i vizi di detto procedimento non rilevano in sede giurisdizionale poichè il Giudice comunque esaminerà il diritto soggettivo dell’interessato alla protezione ed il richiedente asilo ben potrà svolgere tutte le difese ritenute a sè utili comprese la proposizione di istanze istruttorie.

Incomprensibile appare, poi, la denunzia di violazione del disposto ex art. 127 c.p.c., che regola la direzione dell’udienza da parte del Giudice.

Infine del tutto irrilevante risulta il richiamo alle linee guida in tema di rifugiati elaborati dall’Organismo preposto dell’Onu, posto che la materia risulta compiutamente regolata dalla disciplina Europea, trasfusa nella legislazione nazionale applicata dai Giudici lucani.

Con il terzo messo d’impugnazione l’ H. rileva violazione della norma D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 2, poichè il Collegio lucano non ha esaminato la situazione di palese violazione dei diritti umani esistente in Bangladesh siccome è dato desumere dalle informazioni presenti nel rapporto Amnesty del 2016, che viene ritrascritto. Inoltre il ricorrente lamenta violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 6, poichè non è stata valutata l’effettiva protezione offerta dallo Stato in caso di persecuzione da parte di privati che in realtà è assente, sicchè il “sig. M.S.” non godrebbe di alcuna protezione in caso di rimpatrio.

Con il quarto motivo d’impugnazione l’ H. deduce violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, poichè il Collegio lucano avrebbe disapplicato tale norma, non esaminando la sua specifica posizione alla luce delle previsioni contenute in detto articolo di legge.

I due motivi, in quanto collegati, possono essere esaminati unitariamente e s’appalesano siccome inammissibili.

Circa l’effettiva situazione socio-politica attuale del Bangladesh, i Giudici lucani hanno puntualmente operato richiamo ad informazioni desumibili da rapporti redatti da autorevoli Organismi internazionali all’uopo preposti per sottolineare come, se anche presenti elementi di difficoltà sociale e tensioni politiche, tuttavia la situazione del Bangladesh non può esser ritenuta connotata da violenza diffusa, secondo l’accezione data a tale concetto dalla Corte Europea.

La critica portata dall’ H. si limita ad enfatizzare le situazioni di difficoltà e tensione socio-politica esistenti in Bangladesh desunte dai medesimi rapporti utilizzati dal Collegio potentino e da questo valutate, per concludere apoditticamente che la valutazione del Tribunale era errata.

Consegue la genericità della censura anche perchè tesa a richiedere inammissibile valutazione di merito da parte di questa Corte.

Quanto poi alla mancata valutazione della situazione personale afferente la persecuzione subita, il Tribunale ha espresso la sua valutazione con relazione alle dichiarazioni rese dall’ H. in sede amministrativa e nel giudizio, mentre solo nel ricorso per cassazione la narrazione s’è arricchita di particolari lumeggianti la violenta aggressione subita dai famigliari di sua moglie – forse circostanze proprie della vicenda personale relativa ad altra persona, ossia il sig. M.S. menzionato alla fine dell’argomentazione critica a sostegno della terza censura nel ricorso – senza anche la precisazione – ai fini dell’autosufficienza – che tali particolari furono anche evidenziati al Giudice del merito.

Con la quinta ragione di doglianza il ricorrente deduce violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, in quanto il Tribunale lucano non ebbe ad accogliere la sua domanda tesa al riconoscimento della protezione umanitaria, svolgendo però un ragionamento critico totalmente astratto rispetto al suo specifico caso, poichè limitato ad illustrare l’istituto del divieto di respingimento regolato dall’articolo di legge invocato siccome violato.

Viceversa il Collegio potentino ha puntualmente esaminato la questione sia sotto il profilo della vulnerabilità che dell’inserimento sociale ed ha operato la prescritta valutazione comparativa, ricordando come il ricorrente in Patria può godere anche dell’appoggio della famiglia.

Pertanto il motivo di doglianza risulta inammissibile poichè non correlato alla motivazione esposta al riguardo dai Giudici lucani nel decreto impugnato.

Alla declaratoria d’inammissibilità dell’impugnazione non segue, ex art. 385 c.p.c., la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese di lite di questo giudizio di legittimità in favore dell’Amministrazione degli Interni poichè non costituita.

Concorrono in capo al ricorrente le condizioni processuali per l’ulteriore pagamento del contributo unificato.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nell’adunanza in Camera di consiglio, il 15 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 18 marzo 2021

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