Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7711 del 06/04/2020
Cassazione civile sez. I, 06/04/2020, (ud. 20/11/2019, dep. 06/04/2020), n.7711
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –
Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –
Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –
Dott. RUBINO Lina – rel. Consigliere –
Dott. PACILLI Giuseppina Anna Rosaria – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 13659/2018 proposto da:
Z.M.K., elettivamente domiciliato in Roma Piazza San
Salvatore In Campo 33, presso lo studio dell’avvocato Muccio
Nicolina Giuseppina, che lo rappresenta e difende unitamente
all’avvocato Nappi Noemi;
– ricorrente –
contro
Ministero Dell’interno, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in Roma
Via Dei Portoghesi 12 Avvocatura Generale Dello Stato, che lo
rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso il decreto del TRIBUNALE di TRIESTE, depositato il
20/03/2018;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del
20/11/2019 dal Consigliere Dott. Lina RUBINO.
Fatto
FATTI DI CAUSA
Z.M.K. (o K.), cittadino (OMISSIS), propone ricorso per Cassazione articolato in tre motivi nei confronti del Decreto n. 714/2018 del Tribunale di “Trieste – Sezione specializzata in materia di immigrazione e protezione Internazionale – in data 20 marzo 2018, con il quale veniva confermato il rigetto della propria domanda di riconoscimento dello status di rifugiato, in subordine di protezione internazionale o in subordine di protezione sussidiaria presentata alla Commissione territoriale di Gorizia.
Resiste il Ministero dell’Interno con controricorso.
Dalla sentenza si evince che il ricorrente dichiarava di aver avuto una relazione con la cugina, che rimaneva incinta non a causa sua e veniva in ragione di ciò uccisa dalla famiglia, che poi, ritenendolo responsabile, ne uccideva il fratello, picchiava il padre e gli dava la caccia, determinandolo alla fuga.
Richiedeva il riconoscimento dello status di rifugiato e in via gradata le altre forme di protezione minori.
Il Tribunale di Trieste rilevava che mancassero elementi concreti da cui inferire un pericolo di persecuzione per motivi di razza i religione, nazionalità, appartenenza a un determinato gruppo sociale o opinione politica, idonei a legittimare la concessione dello stato di rifugiato.
In ordine alla domanda di riconoscimento della protezione sussidiaria, riteneva che non sussistessero fondati motivi per ritenere che, ove fosse tornato al paese d’origine, il ricorrente sarebbe stato esposto al pericolo di subire un grave danno.
Escludeva la sussistenza dei presupposti per la protezione umanitaria.
Riteneva che il richiedente non avesse adeguatamente spiegato perchè a fronte delle minacce ricevute dalla famiglia della ragazza non si fosse rivolto alle autorità di polizia locali per avere protezione.
Il ricorso, formalmente articolato in tre motivi, è totalmente inammissibile per la completa mancanza della sommaria esposizione dei fatti di causa, in violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 3: esso non richiama, nè in un apposito paragrafo precedente alla trattazione dei motivi, e neppure all’interno della esposizione dei tre motivi, la vicenda personale e processuale del ricorrente. Solo dalla lettura della sentenza è stato possibile ricostruirla con i limiti della selezione dei fatti operata in sede di valutazione.
Ciò contrasta con il principio di diritto più volte espresso da questa Corte, secondo il quale nel ricorso per cassazione è essenziale il requisito, prescritto dall’art. 366 c.p.c., n. 3, dell’esposizione sommaria dei fatti sostanziali e processuali della vicenda, da effettuarsi necessariamente in modo sintetico, con la conseguenza che la relativa mancanza determina l’inammissibilità del ricorso, essendo la suddetta esposizione funzionale alla comprensione dei motivi nonchè alla verifica dell’ammissibilità, pertinenza e fondatezza delle censure proposte (Cass. n. 10072 del 2018).
L’inammissibilità del ricorso rende superfluo l’esame ed anche la sommaria esposizione dei motivi.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come al dispositivo. Sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso, in favore del controricorrente, delle spese sostenute per questo giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 2.100,00, oltre alle spese prenotate a debito, dichiarando, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, che sussistono i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.
Così deciso in Roma, il 20 novembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 6 aprile 2020