Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7709 del 19/03/2019

Cassazione civile sez. I, 19/03/2019, (ud. 21/02/2019, dep. 19/03/2019), n.7709

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 16652/2015 proposto da:

Reti Televisive Italiane S.p.a., in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via Cicerone n. 60,

presso lo studio dell’avvocato Previti Stefano, che la rappresenta e

difende unitamente agli avvocati Assumma Giorgio, La Rosa

Alessandro, Lepri Fabio, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Yahoo Italia S.r.l., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Piazza Campitelli n. 3,

presso lo studio dell’avvocato Colella Domenico, che la rappresenta

e difende unitamente agli avvocati Consonni Marco, Lavagnini Simona,

Orsingher Matteo, giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 11295/2014 del TRIBUNALE di MILANO, pubblicata

il 25/09/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

21/02/2019 dal cons. Dott. NAZZICONE LOREDANA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

RENZIS Luisa, che ha concluso per l’accoglimento;

uditi, per la ricorrente, gli Avvocati Assumma, La Rosa, Previti e

Lepri che hanno chiesto l’accoglimento;

uditi, per la controricorrente, gli Avvocati Consonni e Lavagnini che

hanno chiesto il rinvio alla Corte di Giustizia.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza del 25 settembre 2014, n. 11295, il Tribunale di Milano ha respinto la domanda, proposta da R.T.I. s.p.a. contro Yahoo Italia s.p.a., volta all’accertamento della violazione dell’inibitoria, concessa dallo stesso Ufficio con la sentenza del 9 settembre 2011, relativa all’ulteriore diffusione sul proprio “portale video” di filmati tratti da vari programmi televisivi in titolarità dei R.T.I. s.p.a., quale produttore di opere audiovisive e di sequenze di immagini in movimento su cui vanta diritti esclusivi ed esercente l’attività di emissione radiofonica o televisiva, inibendone la diffusione, con le domande accessorie.

Ha disatteso, altresì, le domande subordinate, volte all’accertamento della condotta illecita di diffusione, mediante il servizio denominato YahooSearch, attraverso i meccanismi di linking, embedding e suggest search, di contenuti protetti dai diritti esclusivi di privativa industriale e diritti autoriali connessi, all’inibitoria ed diverndndzione dell’ordine di disabilitazione all’accesso, oltre alla condanna al risarcimento del danno, al pagamento di una penale per ogni violazione e per ogni giorno di protrazione dell’illecito ed alla pubblicazione su quotidiani o periodici.

Ha ritenuto il Tribunale che il servizio Yahoo Italia Search sia del tutto distinto da quello inizialmente svolto di Yahoo Italia video, in quanto riconducibile alla mera attività di caching regolata dal D.Lgs. 9 aprile 2003, n. 70, art. 15 e che le condizioni di esenzione da responsabilità del prestatore dei servizi siano state rispettate.

La Corte d’appello di Milano, adita dalla soccombente, con ordinanza del 24 aprile 2015 resa ai sensi dell’art. 348-bis c.p.c. ha dichiarato inammissibile l’impugnazione.

Propone ricorso avverso la decisione di primo grado, ai sensi dell’art. 348-ter c.p.c., R.T.I. s.p.a., sulla base di cinque motivi.

Resiste con controricorso l’intimata.

Le parti hanno depositato le memorie di cui all’art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Il ricorso articola avverso la sentenza impugnata cinque motivi d’impugnazione, che possono essere come di seguito riassunti:

1) violazione e falsa applicazione degli artt. 2043 ss., 2598 e 2599 c.c., artt. 78-ter, 79,156,163 e 169 L. aut., art. 20 c.p.i., D.Lgs. 9 aprile 2003, n. 70, artt. 14, 15, 16 e 17, artt. 12, 13, 14 e 15 direttiva 2000/31/CE e considerando 42-45, per avere il tribunale ritenuto trattarsi di lecita attività di ottimizzazione del servizio di ricerca.

Invece, la figura del caching e la relativa responsabilità sono ben delineate dalle norme richiamate, le quali prevedono, in primo luogo, limitate offerte del gestore e, in secondo luogo ed in collegamento con quelle, specifiche esenzioni da responsabilità, altrimenti regolata dalle norme comuni, solo per il prestatore di servizi che non eserciti “l’autorità o il controllo” sulle informazioni memorizzate, nozioni per le quali il tribunale avrebbe dovuto fare corretto riferimento al considerando 42 della direttiva, che si riferisce a colui che abbia un ruolo meramente “tecnico, automatico e passivo”, onde egli “non conosce nè controlla le informazioni trasmesse o memorizzate”.

Al contrario, nella specie si è in presenza non di mero caching legittimo, quale archiviazione temporanea di informazioni in rete, reso dal motore di ricerca mediante il linking (semplice offerta di collegamenti ipertestuali), ma anche delle ulteriori attività di embedding (che permette di visionare un brano audiovisivo restando fisicamente connesso al portale Yahoo), di preview (che permette di vedere piccole porzioni dei contenuti ricercati in anteprima), del suggest search (suggerimenti di ricerca) e dei video correlati, esulanti dal primo e mediante i quali Yahoo Italia s.p.a. compie un intervento selettivo dei contenuti, per nulla transitorio e necessario alla normale operatività del motore di ricerca (criterio discriminante, secondo la giurisprudenza comunitaria), perdendo ogni neutralità e nei quali si ravvisa il controllo dei dati: ed invece ritenuti dal tribunale pertinenti ad una normale e lecita attività di ottimizzazione del servizio di ricerca, per non aver considerato rilevanti anche le condizioni della mancanza di conoscenza, controllo e modifica delle informazioni;

2) violazione e falsa applicazione degli artt. 2043 ss., 2055,2082,2598 e 2599 c.c., artt. 70 e 156 ss. L. aut., D.Lgs. n. 70 del 2003, artt. 15 – 17, art. 1315 direttiva2000/31/CE, perchè, anche a volere seguire la tesi della sentenza impugnata, secondo cui il prestatore del servizio avrebbe fornito una mera attività neutrale di caching, quando però, reso edotto di specifici contenuti illeciti, non li ha rimossi, non si parla più di un generale ed insussistente obbligo di vigilanza preventiva, ma della violazione dell’obbligo di ponderare la richiesta ricevuta dal terzo titolare del diritto, assumendone le conseguenze, quale imprenditore ex art. 2082 c.c., in termini di responsabilità, ove la richiesta sia fondata ed egli non si sia attivato per rimuovere i contenuti illeciti, dovendo essere perfettamente in grado di valutare i limiti ex art. 70 L. aut. per il libero utilizzo; onde ha errato il tribunale nel ritenere il prestatore del servizio tenuto solo a “passare le carte” alla pubblica autorità;

3) violazione e falsa applicazione degli artt. 1219,1337 e 1338 c.c., D.Lgs. 9 aprile 2003, n. 70, artt. 15 – 17, artt. 13-15 direttiva 2000/31/CE, avendo errato la sentenza impugnata a ritenere che la diffida stragiudiziale non sarebbe stata idonea a fondare l’obbligo di controparte di rimuovere i contenuti illeciti, in quanto non sufficientemente specifica nell’indicare i singoli filmati mediante il loro posizionamento tramite gli “urls” dei video; e ciò, sebbene tali elementi siano stati anche indicati con l’atto di citazione introduttivo: ma si tratta di onere non desumibile dalle norme, potendo la costituzione in mora non rivestire forma solenne e comunque sussistendo l’altrui responsabilità anche per la mera conoscibilità dell’illecito contenuto dei video;

4) violazione dell’art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia sul fatto che perlomeno la precedente sentenza n. 10893/2011 e la domanda giudiziale proposta nel 2012 fossero idonee ad integrare l’altrui dovere di attivarsi;

5) violazione dell’art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia sulla domanda volta ad ordinare alla controparte la disabilitazione o deindicizzazione all’accesso a tutti i siti internet estranei ad essa attrice: domanda che, peraltro, una volta affermata l’idoneità dell’azione giudiziale (se non a mettere in mora controparte, almeno) ad ottenere l’intervento dell’autorità, non avrebbe potuto essere disattesa.

2. – Il primo motivo è infondato.

La sentenza impugnata ha esaminato l’ampio materiale probatorio, giungendo alla conclusione secondo cui il ruolo del prestatore dei servizi nella specie non ha varcato i limiti della prestazione di mero caching.

Essa ha, invero, affermato che il servizio di ricerca denominato Yahoo Italia Search, che costituisce il contestato veicolo per l’abusiva diffusione dei filmati segnalati da R.T.I. s.p.a., si limita a svolgere la funzione di semplice “motore di ricerca”, consistente nel “cercare e organizzare in un elenco i siti pertinenti ai criteri di ricerca indicati dall’utente interrogante fornendo i link che consentono la connessione con ciascuno di essi. Per svolgere tale attività il motore di ricerca procede ad eseguire una copia di ogni sito che viene memorizzata temporaneamente in una cache, attività che consente di fornire per le chiavi di ricerca più frequentemente utilizzate i risultati della ricerca stessa in tempi estremamente rapidi. Tale “memorizzazione automatica, intermedia e temporanea” delle informazioni – eseguita “al solo scopo di rendere più efficace il successivo inoltro ai destinatari a loro richiesta” – caratterizza dunque ai sensi del D.Lgs. n. 70 del 2003, art. 15l’attività in questione”.

Ha aggiunto che, nella predetta funzione, è rispettata la condizione che il prestatore del servizio non modifichi le informazioni e che sia rimasto in una situazione di neutralità.

Ciò, anche quanto alle attività diverse dal mero linking segnalate dall’attrice: e cioè l’embedding, quale strumento che consente all’utente di visionare direttamente sul motore di ricerca Yahoo immagini presenti su siti di terzi, ed il suggest search, che offre suggerimenti per completare automaticamente le chiavi della ricerca sulla base delle combinazioni più utilizzate dal complesso degli utenti.

Entrambe giudicate come non derogare le condizioni di neutralità, fondate sul carattere automatico e temporaneo della memorizzazione delle immagini presenti sui siti di terzi, non essendo allegato e provato nessun intervento da parte della odierna controricorrente su tali informazioni, al di là di una più efficiente modalità di ricerca dei contenuti, che non travalicano la posizione di neutralità del prestatore del servizio.

Ha, quindi, ribadito che l’attrice non ha fornito nessuna prova circa l’assunto dello svolgimento di un ruolo non neutrale rispetto ai contenuti evidenziati nei risultati della ricerca.

Ha concluso che il servizio svolto si inquadra in pieno nell’esenzione stabilita dal D.Lgs. n. 70 del 2003, art. 15.

Orbene, reputa il collegio che la realtà concreta – così come ricostruita dall’esame compiuto dal tribunale, in base alla sua prudente valutazione circa l’interferenza e l’apporto della condotta del prestatore del servizio con riguardo al finali contenuti digitali diffusi sia stata correttamente sussunta nella fattispecie della norma menzionata, non avendo il giudice del merito errato nella riconduzione di tali elementi fattuali, oggetto del suo prudente accertamento, all’interno della categoria normativa predetta, con conseguente rigetto del motivo.

3. – I rimanenti motivi debbono essere trattati congiuntamente, in quanto il percorso logico del loro esame è il medesimo.

3.1. – Il D.Lgs. n. 70 del 2003, art. 15, che ricalca l’art. 13 della direttiva2000/31/CE, si occupa della prestazione del servizio della società dell’informazione consistente nel cd. caching, ovvero “trasmettere, su una rete di comunicazione, informazioni fornite da un destinatario del servizio”, mediante la “memorizzazione automatica, intermedia e temporanea di tali informazioni effettuata al solo scopo di rendere più efficace il successivo inoltro ad altri destinatari a loro richiesta”.

Il cacher è esonerato dalla responsabilità per i contenuti immessi da altri, qualora: a) “non modifichi le informazioni”, divenendo allora concorrente attivo; b) “si conformi alle condizioni di accesso alle informazioni”, quindi ad esempio ometta di rendere disponibili al pubblico nella memoria cache delle informazioni che invece non sono tali nel sito di provenienza; c) “si conformi alle norme di aggiornamento delle informazioni”, secondo le regole del settore; d) “non interferisca con l’uso lecito di tecnologia riconosciuta ed utilizzata nel settore per ottenere dati sull’impiego delle informazioni”; e) “agisca prontamente per rimuovere le informazioni che ha memorizzato, o per disabilitare l’accesso, non appena venga effettivamente a conoscenza del fatto che le informazioni sono state rimosse dal luogo dove si trovavano inizialmente sulla rete o che l’accesso alle informazioni è stato disabilitato oppure che un organo giurisdizionale o un’autorità amministrativa ne ha disposto la rimozione o la disabilitazione”, provvedendo, dunque, a cancellare i documenti dal medesimo archiviati in memoria, qualora essi siano stati rimossi dal sito di provenienza, l’accesso sia stato disabilitato ad opera del titolare, o sia intervenuto un provvedimento giurisdizionale o amministrativo ad ordinare tale rimozione o disabilitazione.

Il comma 2 dell’art. 15 attiene all’ordine dell’autorità, rivolto direttamente al prestatore, con il quale gli venga imposto di impedire o far cessare le violazioni commesse: “L’autorità giudiziaria o quella amministrativa aventi funzioni di vigilanza può esigere, anche in via d’urgenza, che il prestatore, nell’esercizio delle attività di cui al comma 1, impedisca o ponga fine alle violazioni commesse”.

Il regime di favore, così attuato, conduce ad un’indubbia minore responsabilità del prestatore rispetto alla figura del cd. hosting provider.

Al riguardo, giova ricordare il considerando 42 della direttiva, secondo cui le deroghe alla responsabilità stabilita dalla stessa riguardano proprio l’ipotesi in cui “l’attività di prestatore di servizi della società dell’informazione si limiti al processo tecnico di attivare e fornire accesso ad una rete di comunicazione sulla quale sono trasmesse o temporaneamente memorizzate le informazioni messe a disposizione da terzi al solo scopo di rendere più efficiente la trasmissione. Siffatta attività è di ordine meramente tecnico, automatico e passivo, il che implica che il prestatore di servizi della società dell’informazione non conosce nè controlla le informazioni trasmesse o memorizzate”.

All’attività di memorizzazione temporanea detta caching sono dedicati, altresì, i considerando 43 e 44, secondo i quali il prestatore del servizio beneficia delle deroghe di responsabilità quando “non è in alcun modo coinvolto nell’informazione trasmessa” e “non modifichi l’informazione che trasmette” (sebbene comunque tale requisito “non pregiudica le manipolazioni di carattere tecnico effettuate nel corso della trasmissione in quanto esse non alterano l’integrità dell’informazione contenuta nella trasmissione”) ed altresì non “deliberatamente collabori con un destinatario del suo servizio al fine di commettere atti illeciti”, vale a dire non ponga in essere un concorso attivo nell’illecito.

In sostanza, una netta distinzione tra i profili di responsabilità dell’hosting provider, da un lato, e del mero caching, dall’altro lato, permea l’intera disciplina eurounitaria, e, di conseguenza, quella nazionale.

Occorre, dunque, al riguardo enunciare il seguente principio di diritto:

“Nell’ambito dei servizi della società dell’informazione, la responsabilità del cd. caching, prevista dal D.Lgs. n. 70 del 2003, art. 15, sussiste in capo al prestatore dei servizi che non abbia provveduto alla immediata rimozione dei contenuti illeciti, pur essendogli ciò stato intimato dall’ordine proveniente da un’autorità amministrativa o giurisdizionale”.

3.2. – Nella specie, il tribunale ha affermato che il prestatore non risponde, perchè il prestatore non ha varcato i limiti della sua responsabilità ed ha assolto all’obbligo D.Lgs. n. 70 del 2003, ex art. 17, comma 2, di trasmettere la diffida del titolare del diritto d’autore alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano, competente per le ipotesi di reato connesse all’abusiva riproduzione e diffusione di materiali oggetto di diritto d’autore (ed ha aggiunto, ad abundantiam, che la notizia contenuta in tale diffida era generica, in quanto priva delle specifiche indicazioni dei singoli filmati contestati e del loro posizionamento tramite i rispettivi “urls”).

Dunque, per quanto sopra esposto, è infondato il secondo motivo, con conseguente assorbimento del terzo e parzialmente del quarto motivo.

Invero, alla stregua del sistema normativo come sopra ricostruito, al prestatore del servizio che fornisca una mera attività neutrale di caching la legge non richiede che, sol perchè reso edotto di specifici contenuti illeciti con una diffida extragiudiziale o perchè proponga una domanda giudiziale al riguardo, spontaneamente li rimuova.

Il quarto motivo è poi inammissibile, laddove denunzia l’omessa pronuncia circa l’ordine impartito dalla sentenza del Tribunale di Milano del 9 settembre 2011, n. 10893, ormai caducata dalla Corte d’appello di Milano con sentenza del 7 gennaio 2015, n. 38.

Infine, è infondato il quinto motivo, il quale denunzia la violazione dell’art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia sulla domanda volta ad ordinare al prestatore del servizio di disabilitare gli accessi ai contenuti illeciti, avendo al contrario il giudice del merito risposto negativamente ad essa. Il tribunale ha, infatti, esaminato anche tale domanda, laddove ha verificato l’insussistenza di una condotta illecita del prestatore del servizio di caching.

In tal modo, il tribunale ha risposto, dunque, alle domande di accertamento della illiceità dei contenuti e di inibitoria e disabilitazione degli stessi.

4. – Le spese vengono interamente compensate, attesa la novità delle questioni poste.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e compensa per intero le spese di lite.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 21 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 19 marzo 2019

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