Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7709 del 18/03/2021

Cassazione civile sez. II, 18/03/2021, (ud. 15/12/2020, dep. 18/03/2021), n.7709

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – rel. Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25723/2019 proposto da:

M.S., rappresentato e difeso dall’avv. NICOLA VISCANTI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), IN PERSONA DEL MINISTRO PRO

TEMPORE;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di POTENZA, depositata il

25/07/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

15/12/2020 dal Consigliere Dott. SERGIO GORJAN.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

M.S. – cittadino del (OMISSIS) – ebbe a proporre ricorso avanti il Tribunale di Potenza avverso la decisione della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Bari, che aveva rigettato la sua istanza di protezione in relazione a tutti gli istituti previsti dalla relativa normativa.

Il ricorrente deduceva d’essersi dovuto allontanare dal suo Paese poichè i parenti della moglie – sposata di nascosto – osteggiavano il loro matrimonio tanto da aggredirlo violentemente e ripetutamente; precisava altresì di temere in caso di rimpatrio nuove aggressioni dei parenti poichè la moglie ritornata a vivere con la sua famiglia d’origine e segnalava che le sue denunzie alla Polizia erano rimaste senza esito.

Il Tribunale di Potenza ebbe a rigettare l’opposizione, ritenendo non credibile il racconto reso dal M.; osservando che non concorreva situazione socio-politica di violenza generalizzata in Bangladesh e ritenendo che, nemmeno con riguardo alla protezione umanitaria, il ricorrente aveva fornito elementi fattuali che consentivano l’accoglimento di detto tipo di protezione – non vulnerabile e l’attività lavorativa, svolta part time ed in prova, elemento ex se non sufficiente – Avverso detto decreto il M. ha proposto ricorso per cassazione articolato su cinque motivi.

Il Ministero degli Interni non è costituito.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il ricorso svolto dal M. appare inammissibile a sensi dell’art. 360 bis c.p.c. – siccome la norma è stata ricostruita ex Cass. SU n. 7155/17 -.

In limine deve rilevare la Corte come la notifica del ricorso al Ministero degli Interni sia nulla in quanto effettuata presso l’Avvocatura dello Stato di Bari, anzichè come dovuto presso l’Avvocatura Generale di Roma – Cass. SU n. 608/15 -.

Tuttavia non appare necessario disporre il rinnovo della notificazione nulla del ricorso, in ossequio al canone del giusto processo in tempi ragionevoli, poichè il ricorso comunque va dichiarato inammissibile.

Con il primo mezzo d’impugnazione il ricorrente pone questione di legittimità costituzionale della norma del D.L. n. 13 del 2017, ex art. 35, commi 9 e 10 – rectius D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, commi 9 e 10, come inserito D.L. n. 13 del 2017, ex art. 6 – per contrasto con i principi posti ex artt. 3,24 e 111 Cost..

Reputa il ricorrente che il nuovo modello processuale previsto dalle norme indicate siccome costituzionalmente illegittime siano lesive della pari dignità sociale e dell’uguaglianza e della possibilità di adeguata difesa in giudizio, poichè risulta limitato ad un solo grado di merito la cognizione delle questioni afferenti la protezione internazionale.

Quindi – nel medesimo contesto in via subordinata al rigetto della questione di costituzionalità – il M. lamenta che il Collegio lucano non ebbe a considerare che egli era comunque stato oggetto di persecuzione, ancorchè posta in esser da soggetto privato – la famiglia della moglie -, a non adeguatamente valutare l’effettiva situazione socio-politica del suo Paese in effetti connotata da violenza diffusa e ad erroneamente ritenere non credibile il suo narrato.

La censura articolata risulta patentemente priva di fondamento sotto ambedue i profili proposti.

Quanto all’eccezione di illegittimità costituzionale del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis – così esattamente individuata la norma – la questiona appare manifestamente infondata poichè è costante insegnamento del Giudice delle Leggi che il grado d’appello non ha copertura costituzionale, sicchè la previsione di un giudizio in grado unico di merito non lede in alcun modo il dettato costituzionale.

Inoltre questo Supremo Collegio – Cass. sez. 1 n. 27708/18, Cass. sez. 1 n. 22950/20 – ha già posto in evidenza come il rito camerale non limiti in alcun modo l’esplicazione dell’attività difensiva in giudizio e tanto meno sia discriminatorio verso i soggetti interessati, posto che ha superato anche il vaglio di legittimità della Corte Europea.

Con relazione all’argomentazione critica svolta in via subordinata la stessa s’appalesa astratta ed apodittica, posto che si limita ad evocare i lineamenti astratti dell’istituto della persecuzione che trova tutela con la disciplina in tema di protezione internazionale ed a riaffermare fatti, esaminati dal Collegio lucano e ritenuti non credibili con apposita motivazione, senza lo svolgimento di specifica censura al riguardo.

Con la seconda ragione di doglianza il M. lamenta violazione della norma ex art. 127 c.p.c., per non aver il Giudice istruito il procedimento così violando norme processuali e di convenzioni internazionali.

In particolare il ricorrente rileva come il Tribunale ebbe ad omettere “di fornire adeguata motivazione circa un punto decisivo della controversia prospettato dal ricorrente in sede di gravame ovvero la palese violazione da parte del Giudice di prime cure dell’art. 127 c.p.c.” ossia la mancata istruzione della causa e l’omessa attivazione del potere istruttorio officioso.

La censura dianzi ricordata appare incomprensibile posto che il Tribunale di Potenza giudicava quale Giudice di prime cure, sicchè non poteva rilevare omesso esame da parte di altro Giudice.

Eventualmente il difetto di istruttoria può esser riferito al procedimento in sede amministrativa, i cui vizi però notoriamente non rilevano in sede giurisdizionale dove l’interessato può svolgere tutte le difese ritenute a sè utili comprese le istanze istruttorie.

Incomprensibile appare, poi, la denunzia della violazione del disposto ex art. 127 c.p.c., che regola la direzione dell’udienza da parte del Giudice.

Infine del tutto irrilevante risulta il richiamo alle linee guida in tema di rifugiati elaborate dall’Organismo preposto dell’Onu, posto che la materia risulta compiutamente regolata dalla disciplina Europea trasfusa nella legislazione nazionale in materia applicata dai Giudici lucani.

Con il terzo messo d’impugnazione il M. rileva violazione della norma D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 2, poichè il Collegio lucano non ha esaminato la situazione di palese violazione dei diritti umani esistente in Bangladesh, siccome è dato desumere dalle informazioni presenti nel rapporto Amnesty del 2016, che viene ritrascritto. Inoltre il ricorrente lamenta violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 6, poichè non è stata valutata l’effettiva protezione offerta dallo Stato in caso di persecuzione da parte di privati che in realtà è assente, sicchè egli non godrebbe di alcuna protezione in caso di rimpatrio.

Con il quarto motivo d’impugnazione il ricorrente deduce violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, poichè il Collegio lucano avrebbe disapplicato tale norma non esaminando la sua specifica posizione alla luce delle previsioni contenute in detto articolo di legge.

I due motivi in quanto collegati possono essere esaminati unitariamente e s’appalesano siccome inammissibili.

Circa l’effettiva situazione socio-politica attuale del Bangladesh, i Giudici lucani hanno puntualmente operato richiamo ad informazioni desumibili da rapporti redatti da autorevoli Organismi internazionali all’uopo preposti per sottolineare come, se anche presenti elementi di difficoltà sociale e tensioni politiche, tuttavia la situazione non può esser ritenuta connotata da violenza diffusa nell’accezione data a tale concetto dalla Corte Europea.

La critica portata dal ricorrente si limita ad enfatizzare le situazioni di difficoltà e tensione socio-politica esistenti in Bangladesh desunte dai medesimi rapporti utilizzati dal Collegio potentino, e da questo valutate, per concludere apoditticamente che la valutazione del Tribunale era errata.

Consegue la genericità della censura anche perchè tesa a richiedere inammissibile valutazione di merito da parte di questa Corte.

Quanto poi alla mancata valutazione della situazione personale afferente la persecuzione, il Tribunale ha espresso la sua valutazione in relazione alle dichiarazioni, rese dal M. in sede amministrativa e non modificate in corso di detto procedimento, che ha motivatamente ritenute non credibili e tale statuizione non risulta attinta con apposita specifica censura in questa sede di legittimità.

Con la quinta ragione di doglianza il ricorrente deduce violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, in quanto il Tribunale lucano non ebbe ad accogliere la sua domanda tesa al riconoscimento della protezione umanitaria, svolgendo però un ragionamento critico totalmente astratto senza concreto riferimento al suo caso concreto, poichè teso ad illustrare l’istituto del divieto di respingimento regolato dall’articolo di legge invocato siccome violato.

Viceversa il Collegio potentino ha puntualmente esaminato la questione sia sotto il profilo della vulnerabilità – non ritenuta concorrente anche in dipendenza della non credibilità del narrato reso dal richiedente asilo circa le ragioni del suo espatrio – che dell’inserimento sociale – ritenendo elemento ex se non sufficiente il lavoro svolto part time ed in prova -.

Pertanto il motivo di doglianza appare inammissibile poichè non correlato alla motivazione esposta al riguardo dai Giudici lucani nel decreto impugnato.

Alla declaratoria d’inammissibilità dell’impugnazione non segue, ex art. 385 c.p.c., la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese di lite di questo giudizio di legittimità in favore dell’Amministrazione degli Interni poichè non costituita.

Concorrono in capo al ricorrente le condizioni processuali per l’ulteriore pagamento del contributo unificato.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nell’adunanza in Camera di consiglio, il 15 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 18 marzo 2021

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