Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7708 del 02/04/2014


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 7708 Anno 2014
Presidente: RUSSO LIBERTINO ALBERTO
Relatore: DE STEFANO FRANCO

SENTENZA

sul ricorso 2814-2012 proposto da:
BALESTRUCCI RUGGIERO BLSRGR47D18A669B, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA L SPALLANZANI 22/A, presso lo
studio dell’avvocato NUZZO ANTONIO, che lo rappresenta
e difende unitamente all’avvocato FATTORI ANDREA
giusta procura speciale a margine;
– ricorrente –

2014
contro

299

COLOMBO DANTE, BANCA LEGNANO SPA , CONDOMINIO VIA
FRATELLI DI DIO NOVATE MILANESE , EQUITALIA ESATRI
SPA ;

1

Data pubblicazione: 02/04/2014

- intimati

avverso la sentenza n. 10106/2011 del TRIBUNALE di
MILANO, depositata il 27/07/2011, R.G.N. 10512/2010;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 04/02/2014 dal Consigliere Dott. FRANCO DE

udito l’Avvocato ANDREA FATTORI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. CARMELO SGROI che ha concluso per il
rigetto del ricorso;

2

STEFANO;

Svolgimento del processo

1. Ruggiero Balestrucci ricorre, affidandosi ad un unico
motivo, per la cassazione della sentenza del tribunale di
Milano ex art.

281-sexies cod. proc. civ. e pubblicata il

27.7.11 col n. 10106, con la quale è stata dichiarata
inammissibile – per violazione del termine di decadenza –

la sua domanda di nullità, per totale diversità del bene
trasferito rispetto a quello descritto nel bando, del
decreto di trasferimento in suo favore emesso il 5.8.08 nel
corso della procedura esecutiva immobiliare n. 931/04
r.g.e. di quell’ufficio, intentata nei confronti di Dante
Colombo e ad istanza della Banca Popolare di Legnano, nella
quale erano intervenuti altresì il Condominio di via
Fratelli di Dio di Novate Milanese e l’Equitalia Esatri
spa.
Nessuno degli intimati – neppure dopo la rinnovazione
della notifica del ricorso al debitore esecutato, disposta
con ordinanza resa all’adunanza in camera di consiglio
della sesta sezione civile di questa corte in data 6.3.13,
con fissazione di termine di trenta giorni ed a tanto
avendo provveduto il ricorrente con atto notificato il
5.4.13 – dispiega attività difensiva in questa sede.
Motivi della decisione

2. Giova ricostruire le vicende del processo esecutivo
cui si riferisce la presente controversia.
Dopo una prima relazione di stima del 28.2.06 – eseguita
W ‘

/

(ben singolarmente) sulla base della semplice ispezione
dall’esterno dei beni staggiti – ed una sua (di
conseguenza, indispensabile) integrazione del 17.10.06, il
3

t

bene offerto in vendita era indicato come costituito da:
piccolo ufficio di un locale, disimpegno e servizio, al
primo piano, senza ascensore, luce ed aria da cavedio,
ancora da realizzare; ampio ufficio al secondo piano
ammezzato, di tre locali, balconata e servizio, da
condonare per gran parte della superficie; un vano
ripostiglio pertinenziale al primo piano ammezzato; un box
auto singolo pertinenziale al piano terra.
All’esito della delega delle operazioni di vendita e del
bando contenente tale descrizione, il professionista
delegato aggiudicò, al prezzo base in C 110.500, a Ruggiero
Balestrucci, a cui non era stato previamente consentito
l’accesso per acquisire diretta conoscenza delle sue
condizioni, il bene per tale prezzo in data 7.3.08; seguì
il decreto di trasferimento il 5.8.08.
L’aggiudicatario poté avere accesso al bene soltanto in
data 11.8.08 (erroneamente indicata in ricorso la relativa
data nel dì 11.8.11), dopo espressa istanza al g.e. di
sostituzione della serratura; ed in tale frangente ebbe
modo di avvedersi di sostanziali gravissime difformità del
bene stesso rispetto alla descrizione datane nel bando di
vendita e nel decreto di trasferimento, tali da renderlo
inutilizzabile per l’uso cui era destinato: risultando
dalla perizia da lui affidata ad un tecnico, in
particolare, risolversi l’ampio ufficio al secondo piano
ammezzato in un terrazzo coperto accessoriato da un locale
di sgombero e da un servizio igienico, recuperabile con
sensibili interventi edilizi del costo di almeno C 90.000,
mentre il piccolo ufficio al primo piano era in realtà
4

I

inidoneo ad alloggiare persone e a conseguire l’abitabilità
per difetto dei requisiti minimi sia dimensionali che di
aeroilluminazione.
Disposta,

su

segnalazione

del

23.10.08

dell’aggiudicatario e su istanza 24.11.08 del
professionista delegato al g.e., da quest’ultimo la

prosecuzione delle attività delegate, il Balestrucci
depositò – senza che risultino, dagli atti legittimamente
esaminabili da questa Corte, atti intermedi – il 20.7.09
atto di reclamo

ex art. 591-ter cod. proc. civ. avverso

tale provvedimento del giudice, contestando le risultanze
della relazione del c.t.u. poste a base di bando di vendita
e decreto di trasferimento e chiedendo accertarsi la
nullità del decreto di trasferimento e la restituzione del
prezzo versato, pari ad

e

115.000.

Il g.e., con ordinanza resa all’esito dell’udienza del
15.1.10, qualificò il reclamo come opposizione agli atti
esecutivi, sospese la procedura esecutiva per la
configurabilità, nella specie, di vendita di allud pro alio
e assegnò termine perentorio all’opponente per instaurare
il giudizio di merito.
Nel corso dell’istruttoria fu disposta consulenza
tecnica di ufficio, che confermò nella sostanza le
difformità già riscontrate

dal

tecnico di parte

dell’aggiudicatario; ma il giudice dell’adito tribunale
ambrosiano rigettò la domanda, ritenendo che essa, sussunta
entro il paradigma dell’opposizione agli atti esecutivi,
andasse proposta entro il termine perentorio di venti
giorni dalla conoscenza dei vizi del bene.
5

/7

3. Questi i termini della controversia.
3.1. Il Balestrucci, che propone un unitario motivo,
sostiene la “falsa applicazione e violazione dell’art. 617
c.p.c. per avere il Tribunale di Milano erroneamente
rigettato la domanda di accertamento della nullità del

oltre il termine di cui all’art. 617, secondo comma,
c.p.c.; non applicabilità di detto termine nel caso di
vendita di c.d. aliud pro alio; imprescrittibilità
dell’azione di nullità ex art. 1422 c.c.”.
3.2. Deve premettersi:
da un lato, il carattere pacifico dell’affermazione,
nella sentenza impugnata, della sensibile differenza delle
condizioni reali del bene oggetto del decreto di
trasferimento rispetto a quelle descritte nel bando di
vendita posto a base del relativo procedimento; e della
qualificazione di tale differenza in termini di

aliud pro

alio;
– dall’altro lato, la totale carenza di idonee
contestazioni dell’unico interessato, cioè l’odierno
ricorrente, alla riqualificazione della doglianza
dell’aggiudicatario da reclamo ai sensi dell’art. 591-ter
cod. proc. civ. ad opposizione agli atti esecutivi ai sensi
dell’art. 617 cod. proc. civ.; e tanto, nonostante la
disposizione per prima richiamata preveda proprio il
reclamo (neppure sottoposto, almeno di per sé solo e col
solo limite dell’esaurimento delle attività contestate e
dell’intera fase cui esso si riferisce, a chiari termini
decadenziali di proposizione: Cass. 18 aprile 2011, n.
6

decreto di trasferimento dell’immobile perché promossa

8864), come impugnativa dei decreti del g.e. nell’ambito
delle procedure delegate e come oggetto di opposizione agli
atti esecutivi soltanto l’ordinanza – quindi, instaurato
sul punto idoneo contraddittorio – che il g.e. stesso è
tenuto a pronunciare sul reclamo (sul secondo aspetto,

professionista delegato, v. la cit. Cass. n. 8864 del 2011,
oppure Cass., ord. 20 gennaio 2011, n. 1335).
Pertanto,

nessuno avendo mai reso oggetto di

impugnazione tali due qualificazioni (dell’oggetto della
domanda dell’aggiudicatario come nullità da

ali:11d pro alío

e della riqualificazione della stessa da reclamo ad
opposizione), esse risultano non più utilmente suscettibili
di contestazione, neppure ad opera di questa Corte.
3.3. La rilevante questione sottoposta all’esame di
questa Corte attiene allora non solo e non tanto alla
configurabilità astratta di una doglianza di trasferimento
di a/lud pro alío nella vendita giudiziaria, ma pure e
soprattutto all’individuazione dei mezzi, interni al
processo esecutivo, idonei a farla valere: e, in
particolare, dell’ammissibilità di una opposizione agli
atti esecutivi e, in tal caso, della sua soggezione, o
meno, ai termini ordinariamente per essa previsti.
3.4. Il motivo di ricorso, benché sorretto da
argomentazioni approfondite, intrinsecamente coerenti e
sistematicamente rigorose, non può – ad avviso del Collegio
– peraltro trovare accoglimento.

7

quanto meno in ordine ai reclami avverso atti del

4.

Per

l’inquadramento della

fattispecie,

pare

indispensabile una premessa sulla natura della vendita
forzata.
4.1. Questa può definirsi il – normale, anche se non
indefettibile (basti pensare all’assegnazione o al

denaro) – momento conclusivo o terminale delle attività
procedimentali tese a trasformare il bene del debitore,
reso oggetto del processo di espropriazione, in denaro, al
fine della sua successiva distribuzione ai creditori aventi
diritto, a soddisfazione, totale o parziale a seconda
dell’entità del ricavato e di quella dei crediti, delle
ragioni di costoro: con la vendita forzata si attua in via
definitiva l’espropriazione del bene, cioè la sua coattiva
estrazione dal patrimonio del debitore e, ad un tempo, il
suo trasferimento ad un terzo estraneo ed il suo
tramutamento nel bene fungibile per eccellenza e quindi nel
denaro. Ai fini che qui interessano, non rileva la
precisazione che anche quest’ultimo rimane però nella
formale titolarità del debitore – come del resto, anche in
questo caso formalmente, era rimasto il bene pignorato fino alla conclusione del processo esecutivo.
4.2. Sebbene si affermi correntemente che non vi sia
alcuna differenza, dal punto di vista economico, tra la
vendita forzata e la vendita volontaria, poiché la funzione
e lo scopo della prima sono comunque la trasformazione di
un bene fungibile, appartenente al patrimonio del debitore,
in denaro, la differenza è invece sensibile dal punto di
vista giuridico, non potendo assimilarsi la vendita forzata
8

pignoramento abbia avuto ab origine ad oggetto una somma di

all’incontro

di

due

volontà

negoziali,

quali

si

estrinsecano nel contratto di compravendita, visto che – al
contrario – essa si articola nell’incontro della volontà
negoziale di una sola parte, cioè dell’acquirente, con una
disposizione coattiva emessa dall’organo giurisdizionale

Nel vigore del codice di rito del 1942 si sono
progressivamente sopite le pluridecennali accese dispute
dottrinali sulla natura della vendita forzata, in
precedenza dovute ad un vuoto di normativa positiva ed
incentrate sulla contrapposizione tra le teorie
contrattualistiche

e

quelle

processualistiche

o

autoritative, che non giova in questa sede ricordare.
4.3. Come esito di tale dibattito e secondo l’opinione
ormai prevalente, che valorizza la terzietà ed imparzialità
del giudice ed il ruolo svolto dai provvedimenti giudiziali
nella vicenda traslativa anche ai fini dell’individuazione
della controparte del trasferimento, la vendita forzata,
realizzando congiuntamente l’interesse pubblico (connesso a
ogni processo giurisdizionale) e l’interesse privato (dei
creditori concorrenti e dell’aggiudicatario), costituisce
un’ipotesi del tutto sui generis di trasferimento coattivo,
che si distingue dall’espropriazione per pubblica utilità
per la diversità degli scopi: da una parte, conseguire una
somma di denaro per destinarlo coattivamente al
soddisfacimento di un credito non onorato e, dall’altra,
procurare un bene ad un estraneo alle vicende del credito
stesso a fronte del versamento, da parte di lui, del

9

che procede alla vendita.

corrispettivo più equo possibile in relazione alle
circostanze.
Si tratta, in definitiva, di un istituto complesso, che
possiede tuttora una «doppia natura», affine alla vendita
solo per gli effetti, invece propria del processo per la

E, benché si riaffermi, anche di recente, la natura
prevalentemente giurisdizionale dell’istituto, può
concludersi per l’irrilevanza pratica di ogni ulteriore
sforzo di razionalizzazione sistematica: dopo la compiuta
regolamentazione, da parte del codice civile nel 1942,
degli effetti della vendita forzata, può ora sostenersi che
la vendita forzata partecipa della natura pubblicistica del
procedimento, nel corso del quale convergono e
reciprocamente si completano atti i quali, in relazione
alla diversità dei loro autori, sono regolati da differenti
discipline.
4.4. Se il ruolo del debitore – titolare del diritto da
trasferire e quindi formalmente dante causa nella struttura
della vendita forzata – rimane assorbito dalla
giurisdizione riconosciuta all’organo procedente e quindi
nell’esercizio di un potere per definizione originario e
prevalente, è soltanto la scelta del terzo acquirente – e,
cioè, dell’avente causa – ad essere regolata con un
subprocedimento di rilevanza pubblicistica.
Pertanto, coerente con la disciplina positiva può dirsi
la conclusione per la quale la vendita forzata non è altro
che un (sub-)procedimento che si inserisce nel processo
esecutivo: il suo nucleo essenziale è costituito dalla
10

struttura.

combinazione tra un provvedimento dell’organo esecutivo ed
un atto giuridico unilaterale di natura privata (offerta
del terzo acquirente). La vendita forzata non può essere
regolata

sic

et

simpliciter

dalla disciplina di quella

volontaria (a cominciare da quella in tema di

vizi della volontà o validità del vincolo negoziale): i
suoi stessi effetti restano regolati da una disciplina
speciale, nella quale si ravvisano soltanto alcuni dei
principi generali della vendita volontaria, assorbiti e
coordinati in vista delle esigenze pubblicistiche del
procedimento – esecutivo – in cui essa si inserisce.
Nello stesso senso è la consolidata giurisprudenza di
questa Corte, secondo cui la vendita forzata, costituendo
una fattispecie complessa, avviene indipendentemente dalla
volontà del debitore esecutato, ricollegandosi al
provvedimento del giudice dell’esecuzione (Cass. 9 giugno
2010, n. 13824; Cass. 27 febbraio 2004, n.
febbraio 1995, n.

1730;

3970;

Cass. 17

Cass. 30 luglio 1980, n.

4899;

Cass. 5 aprile 1977, n. 1299).
5. Fatta questa premessa sulla natura o qualificazione
della vendita forzata come trasferimento coattivo, il suo
oggetto va ricostruito non già secondo l’ermeneutica
contrattuale, ma in base ai contenuti degli atti del
processo esecutivo, primo fra tutti il decreto di
trasferimento di cui all’art. 586 cod. proc. civ. e, solo
sussidiariamente, degli atti presupposti (Cass. 21 luglio
1988, n. 4732; Cass. 19 settembre 1975, n.

3067;

dicembre 1966, n. 2884; Cass. 7 agosto 1963, n.

Cass. 9
2216):

11

interpretazione, ma per proseguire con quella in tema di

oggetto che quindi si identifica nel bene prima staggito,
poi stimato, descritto nel bando e con questo posto in
vendita, quindi aggiudicato ed infine oggetto del decreto
di trasferimento.
5.1. La stabilità della vendita forzata e, in generale,

significativamente dal codice civile e non da quello di
rito. Tra i principali effetti della qualificazione della
vendita forzata come trasferimento coattivo, si segnala
l’inapplicabilità ad essa delle norme di cui agli artt.
1460, 1481 e 1482 cod. civ., le quali non sono mai
invocabili dall’aggiudicatario che non abbia versato il
prezzo nel termine impostogli al fine di escludere la
confisca della cauzione e la decadenza dall’aggiudicazione
(Cass. 28 gennaio 2000, n. 959; Cass. 19 giugno 1995, n.
6940). Si è escluso pure che la nullità delle clausole
contrattuali per contrarietà a norme imperative (artt. 1418
e 1419 cod. civ.) e la loro sostituzione ex lege possano
essere fatte valere dal debitore proprietario con un’azione
di accertamento, dovendo essere esperito, invece, il
rimedio dell’opposizione agli atti esecutivi (Cass. 6
giugno 2001, n. 7659).
Ma

la

giurisprudenza,

evidentemente

influenzata

dall’oscillazione tra la qualificazione processualistica e
quella sostanzialistica dell’istituto e dalla non
compiutamente risolta disputa sulla sua natura, ritiene poi
che alcune norme del

contratto di vendita, nonostante il

mancato richiamo o la carenza di espressa disciplina negli
artt. 2919 a 2929 cod. civ., non siano incompatibili con la

12

gli effetti sostanziali della stessa, sono regolati

natura dell’espropriazione forzata, tanto da trovare
applicazione anche alla vendita forzata: sono stati ad
esempio ritenuti applicabili, da una parte, l’art. 1477
cod. civ., concernente l’obbligo di consegna della cosa da
parte del venditore (Cass. 17 febbraio 1995, n. 1730; Cass.

civ., relativo agli interessi compensativi (Cass. 4 agosto
1975, n. 2971).
5.2. Infatti, normativamente si esclude, allo scopo di
attribuire stabilità al trasferimento coattivo compiuto con
la vendita forzata, con l’art. 2922 cod. civ. la stessa
applicabilità delle regole dettate per la compravendita in
tema di tutela dell’acquirente: è, in particolare, esclusa
l’operatività delle norme sulla garanzia per i vizi della
cosa (art. 1490 cod. civ.) e sulla rescissione per lesione
(art. 1448 cod. civ.) e sono espressamente precluse pure
sia l’actio redhíbitoría,

l’actio quanti minoris,

di risoluzione del contratto, sia
di riduzione del prezzo (art. 1492

cod. civ.), sia l’azione di risarcimento del danno (art.
1494 cod. civ.).
Ora,

nel

silenzio

dell’art.

2922

cod.

civ.

sull’applicabilità alla vendita forzata della garanzia per
mancanza di qualità essenziali e di quella per vendita di

aliud pro allo

(le quali nella pratica sono difficilmente

distinguibili tra loro e dall’ipotesi di vizi della cosa),
la dottrina è pervenuta a conclusioni contrastanti: ora ne
è stata negata l’applicabilità (talvolta sostenendosi che
l’aggiudicatario che si veda consegnare cosa diversa da
quella indicata nel bando, restando irrilevante la mera

13

16 febbraio 1968, n. 549), e, dall’altra, l’art. 1499 cod.

mancanza di qualità, potrebbe esperire sia un’azione
risarcitoria nei confronti degli organi della procedura sia
un’azione per la ripetizione del prezzo versato in analogia
di quanto stabilito dall’art. 2921 cod. civ.); ora ne è
stata affermata (talora specificandosi che tale vizio debba

contratti, ma con i rimedi processuali esperibili avverso
il provvedimento di vendita; ora ritenendosi che, nel caso
di trasferimento di

aliud pro alio, è

ammissibile

l’impugnazione della vendita per vizi del volere, non del
debitore espropriato o del creditore, ma
dell’aggiudicatario, ai sensi dell’art. 1429, n . 1,

cod.

civ.).
5.3. La giurisprudenza di questa Corte di legittimità si
orienta per il riconoscimento di tutela all’ipotesi di
vendita di aliud pro alio,

pur non essendo univoca quanto

alla mancanza di qualità essenziali.
In linea di massima (Cass. 21 dicembre 1994, n. 11018,
che richiama: Cass. 25 maggio 1971 n. 1521; Cass. 17
gennaio 1978 n. 206; Cass. 24 marzo 1981, n. 1698; Cass. 3
dicembre 1983, n. 7233; Cass. 31 marzo 1987 n. 3093; Cass.
10 dicembre 1991 n. 13268; Cass. 15 febbraio 1992 n. 1866),
l’acquirente risulta tutelato in tutti i casi in cui il
bene oggetto dell’ordinanza di vendita non coincide con
quello oggetto dell’aggiudicazione; il relativo concetto
viene poi esteso tanto alle ipotesi in cui la cosa
appartenga ad un genere del tutto diverso da quello
indicato nell’ordinanza, ovvero manchi delle particolari
qualità necessarie per assolvere la sua funzione economico-

14

essere fatto valere, non con le impugnative proprie dei

sociale, tanto a quelle in cui risulti del tutto
compromessa la destinazione del bene all’uso preso in
considerazione nell’ordinanza di vendita quale elemento
determinante per la formulazione dell’offerta di acquisto.
5.4. In definitiva, quando la cosa oggetto della vendita

sensibilmente diversa da quella sulla quale è caduta
l’offerta dell’aggiudicatario, nonché da quella indicata
negli atti del procedimento ed in particolare nell’atto
finale di trasferimento, viene meno il nucleo essenziale e
l’oggetto stesso della vendita forzata, quale specificato e
determinato dall’offerta dell’aggiudicatario e dalla stessa
volontà dell’organo giurisdizionale, conseguendone la
sostanziale nullità della vendita ed il diritto
dell’aggiudicatario a ripetere ciò che finisce col trovarsi
versato senza adeguata ragione giustificatrice.
Del resto, sia pure con ogni cautela ed a fini soltanto
descrittivi, il bando di vendita – e, prima di esso,
l’ordinanza del giudice che pone in vendita il bene, a sua
volta fondata sulla descrizione datane nel pignoramento
prima e nella relazione dell’esperto poi – corrisponde a
quella che, nella vendita volontaria, sarebbe una proposta
contrattuale di compravendita; e, comunque, è l’atto
riguardo al quale l’aggiudicatario forma il suo consenso o
deve potere fare affidamento per formarlo, anche in quanto
proveniente da un ufficio giudiziario all’esito di
un’attività che si presume la più corretta – oltre che
imparziale – possibile, siccome disinteressatamente volta
alla attuazione oggettiva di un diritto per esigenze
15

forzata risulta, successivamente al trasferimento, essere

superiori di corretto funzionamento dello schema di
trasformazione di un cespite del patrimonio del debitore
nel denaro necessario al soddisfacimento dei suoi debiti.
Risulta naturale allora che la formazione della volontà
stessa dell’aggiudicatario, cioè la sua determinazione ad

a dire non dipendere da ciò, che egli sarebbe stato indotto
senza sua colpa in errore sulla struttura o sulla natura
stesse della cosa oggetto del trasferimento, per causa
dipendente da atti della procedura espropriativa, quali la
sua descrizione nel bando.
5.5. La conclusione si estende ad ogni tipo di vendita
coattiva, in sede di esecuzione individuale o concorsuale,
mobiliare e immobiliare, dal momento che questa attua un
trasferimento coattivo in virtù di un provvedimento
giurisdizionale, rispetto al quale la domanda
dell’aggiudicatario si pone soltanto come presupposto
(Cass. 25 febbraio 2005, n.
n.

11018;

4085;

Cass. 21 dicembre 1994,

Trib. Torino 24 maggio 2002, in Giur. It.,

2003,

525).

Di fatto, una tale lata concezione di

aliud pro alio

tende a comprendere in questo istituto, così estendendo la
relativa tutela, le ipotesi di mancanza di qualità
essenziali, se ed in quanto determinanti per la
formulazione dell’offerta; e, in un certo senso,
compensando la rigorosa esclusione delle garanzie ordinarie
della vendita.
6. Se non rileva, atteso il carattere pacifico della
configurabilità di un

aliud pro alio

nella specie, la
16

offrire alla vendita forzata, non deve essere viziata, vale

disamina delle non poche fattispecie in cui esso è stato
ammesso od escluso dalla giurisprudenza di questa Corte in
tema di esecuzione forzata individuale o fallimentare, la
conclusione esige però la soluzione del problema dei rimedi
a disposizione dell’aggiudicatario per fare valere la
aliud pro alio,

anche a costo di una

rimeditazione di insegnamenti tralatici.
La giurisprudenza di questa Corte, al riguardo, non è
del tutto univoca.
6.1. Essa ammette, ad esempio, per l’aggiudicatario
un’azione generale – cioè, con tutta evidenza svincolata
dai rimedi endoesecutivi tipici, vale a dire l’opposizione
agli atti esecutivi per l’esecuzione individuale ed il
reclamo al collegio per quella fallimentare di
annullamento ai sensi degli artt. 1427-1429 cod. civ.
(ritenendovi legittimata ognuna delle due parti della
vendita e, quindi, nella specie, anche il curatore
fallimentare, nel caso di vendita di un bene come terreno
edificabile quando esso, in realtà, già edificato e quindi
di valore enormemente superiore: Cass. 14 ottobre 2010, n.
21249). E l’annullamento era già stato prospettato come
rimedio generale in caso di aliud pro allo anche da Cass. 9
ottobre 1998, n. 10015 (sia pure per escluderla, nella
fattispecie concreta, ove sussisteva la mera differenza
quantitativa del bene aggiudicato, riconoscendo altro
rimedio all’aggiudicatario).
6.2. In altra occasione ha escluso semplicemente
ma n
/9
riconoscendo all’aggiudicatario stesso il diritto di fare
l’esperibilità

di

una

garanzia per

evizione,

17

fattispecie di

valere le garanzie di cui all’art. 1489 cod. civ. secondo
le regole comuni, tenuto conto che tali regole incontrano
una deroga nella vendita forzata solo con riguardo alla
garanzia per vizi, esclusa dall’art. 2922, primo comma,
cod. civ.; altrettanto valendo con riferimento al caso in

personale (nella specie, locazione), sottoposto dall’art.
1489 cod. civ. allo stesso trattamento dei diritti reali
(Cass. 4 novembre 2005, n. 21384).
6.3. Altra volta questa Corte pare aver presupposto
l’esperibilità di un’azione generale di nullità parziale
del

“negozio

di vendita” in dipendenza dell’incolpevole

ignoranza, da parte dell’aggiudicatario, della reale
situazione di fatto dell’immobile, che avesse determinato
un vizio della sua conoscenza di questo e della sua libera
determinazione ad offrire (Cass. 3 ottobre 1991, n. 10320).
6.4. Più di recente (Cass. 20 marzo 2012, n. 4378), si è
affermato che i soggetti del processo esecutivo, diversi
dall’aggiudicatario, possono fare valere la diversità del
bene venduto rispetto a quello staggito soltanto con una
(tempestiva) opposizione agli atti esecutivi avverso il
provvedimento di aggiudicazione e gli atti successivi e
conseguenti; e si è ribadito che altro e diverso da questo
è il rimedio esperibile per

l’aliud pro alio

in favore

dell’acquirente aggiudicatario in sede esecutiva
(riconosciuto configurabile ove la cosa appartenga a un
genere del tutto diverso da quello indicato nell’ordinanza,
ovvero manchi delle particolari qualità necessarie per
assolvere la sua naturale funzione economico-sociale,

18

cui l’immobile espropriato sia gravato da un diritto

oppure risulti del tutto compromessa la destinazione della
cosa all’uso che, preso in considerazione nell’ordinanza di
vendita, abbia costituito elemento determinante per
l’offerta di acquisto), espressamente identificato con
quello esperibile in caso di vendita volontaria. Questo

meramente incidentale,

aggiungersi,

in favore solamente

dell’aggiudicatario, agli ordinari rimedi endoesecutivi a
disposizione di ognuno dei soggetti del processo: il primo
rimedio, cioè un’azione ordinaria fondata sul vizio della
vendita come se fosse volontaria, gli va riconosciuto in
quanto, a questi limitati fini, egli va equiparato
all’acquirente volontario.
7. Certo, è in astratto possibile argomentare, da tali
premesse, che:
7.1. la vendita forzata, benché integrante un istituto
sui generis

connotato da una disciplina del tutto

peculiare, rimane pur sempre fondata sullo scambio di cosa
contro prezzo: pertanto, essa deve poter recepire, per
tutto quanto non espressamente derogato o caratterizzato
dalla natura procedimentale degli atti in cui si scompone
il subprocedimento in cui si articola, la disciplina
propria della vendita volontaria;
7.2. se, con la radicale o sostanziale diversità della
cosa oggetto della vendita, questa risulta essere diversa
da quella sulla quale è incolpevolmente caduta l’offerta
dell’aggiudicatario, viene effettivamente meno il nucleo
essenziale e l’oggetto stesso della vendita forzata, quale
risulta specificato e determinato dall’offerta

19

tipo di rimedio si ritiene, ma con un’affermazione

dell’aggiudicatario

e

dalla

stessa

determinazione

dell’organo giudicante (in tal senso, già Cass. 3 dicembre
1983, n. 7233);
7.3. non si tratta, in particolare, di un errore nella
formazione della volontà (cosa che comporterebbe

tale ultimo caso l’acquirente sarebbe pur sempre convinto
di acquistare una cosa corrispondente a quella offertagli,
ma la sua volontà di acquistare sarebbe viziata
dall’imperfetta o viziata valutazione degli elementi a sua
disposizione: nel caso di aliud pro alio,
formato in relazione ad una
concretamente esistente

il consenso si è

res che è diversa da quella

in rerum natura

ed oggetto

materiale del trasferimento; si è offerto in vendita,
aggiudicato e trasferito un bene X, con determinate
caratteristiche, mentre ciò che in concreto il venditore
offriva era un bene Y, con caratteristiche sensibilmente
diverse; non si tratta quindi di un errore, ma di carenza
di consenso sul secondo bene, che era l’unico che parte
venditrice poteva vendere e che è stato l’unico che parte
acquirente ha potuto conseguire: in effetti, quando una
delle parti di un negozio di vendita pone in vendita un
determinato bene e la controparte è incolpevolmente
convinta di acquistare un bene diverso, deve ritenersi che
il consenso non si sia affatto formato sull’oggetto del
negozio e che, in difetto di tale elemento essenziale della
autoregolamentazione contrattuale, questa sia nulla (in tal
senso, v. Cass. 10 febbraio 1993, n. 9127, ripresa – di
recente – da Cass. 12 marzo 2013, n. 6116);
20

l’annullamento del contratto e non la nullità), perché in

7.4. di conseguenza, ammettere l’aggiudicatario di aliud

pro alio ad un’azione perfino di nullità e quindi esterna
al processo esecutivo e da esso indipendente significa, da
un lato, riconoscergli un diritto prevalente pure su
qualunque eventuale preclusione interna al processo e,

previsti dall’art. 617 cod. proc. civ. equivarrebbe a
condannare il processo esecutivo ad un esito solo
formalmente giusto o corrispondente a quello atteso (la
trasformazione in denaro di uno dei beni del debitore al
fine del trasferimento del denaro stesso ad uno o più
creditori in conto del loro credito insoddisfatto), ma
esposto inesorabilmente all’esito invalidante della
successiva e sempre possibile azione di nullità concessa
all’aggiudicatario;
7.5. si infrangerebbe contro elementari ed intuitive
esigenze di speditezza o di economia processuale la
soluzione di negare all’aggiudicatario un’azione interna al
processo se non l’ha dispiegata entro un certo termine e
riconoscergliene comunque altra, estranea al processo,
praticamente in ogni tempo;
7.6. l’ordinaria operatività della limitazione temporale
dell’opposizione agli atti esecutivi, estesa a questa
ipotesi eccezionale, neppure risponderebbe a quelle
esigenze di tutela dell’aggiudicatario, che la
giurisprudenza di questa Corte ritiene uno degli assi
portanti della riforma del processo esecutivo a partire
dalle novelle del 2005/06 (Cass. 28 novembre 2012, n.
21110; Cass. 6 dicembre 2011, n. 26202; Cass. Sez. Un., 12

21

dall’altro, che rifiutargli tutela anche oltre i termini

gennaio 2010, n.

262;

Cass. 14 giugno 2011, n. 12960):

esporre cioè un aggiudicatario, il quale abbia
incolpevolmente ignorato la diversità del bene in concreto
trasferitogli rispetto a quanto offerto in vendita con le
garanzie del processo esecutivo gestito da un organo terzo
e imparziale come il g.e., al rischio di vedersi

irrimediabilmente trasferito un bene non voluto e per di
più per un prezzo completamente diverso da quello che egli
si era legittimamente prefigurato come conveniente in
relazione alla descrizione datane, comporterebbe una
locupletazione ingiusta della procedura e quindi di
creditori e debitore – in danno di un estraneo ed avrebbe,
oltretutto, un sicuro effetto deterrente o dissuasivo per
il rischio conseguente;
7.7. in conclusione, dovrebbe ammettersi, pendente il
processo esecutivo, l’aggiudicatario ad un’opposizione agli
atti esecutivi, siccome rimedio avverso i singoli snodi
provvedimentali del processo stesso, diretta contro gli
atti che hanno ad oggetto un bene diverso da quello
pignorato, stimato, offerto in vendita, aggiudicato e
trasferito col decreto ex art. 586 cod. proc. civ.; ma che
tale facoltà non gli sia concessa col termine perentorio
peculiare di ogni opposizione ad atti esecutivi, visto che
egli potrebbe pur sempre agire, senza alcuno di tali
limiti, con ordinaria azione al di fuori della procedura
stessa.
7.8. Tale ricostruzione non è però, ad avviso del
(r1

Collegio, accettabile.

22

8. In primo luogo, opposizioni agli atti esecutivi
svincolate dal termine decadenziale debbono qualificarsi
francamente eccezionali.
8.1.

Infatti,

il processo esecutivo si presenta

strutturato non già come una sequenza continua di atti

schema proprio del processo di cognizione – bensì come una
successione di subprocedimenti, cioè in una serie autonoma
di atti ordinati a distinti provvedimenti successivi; tale
autonomia di ciascuna fase rispetto a quella precedente
comporta che le situazioni invalidanti, che si producano in
una determinata fase, sono suscettibili di rilievo nel
corso ulteriore del processo – mediante opposizione agli
atti esecutivi proponibile anche dopo l’atto del giudice
conclusivo della fase in cui si sono prodotte ed in deroga
ai termini di decadenza previsti – solo in quanto
impediscano che il processo consegua il risultato che ne
costituisce lo scopo, e cioè l’espropriazione del bene
pignorato come mezzo per la soddisfazione dei creditori; al
contrario, ogni altra situazione invalidante, di per sé non
preclusiva del conseguimento dello scopo del processo, va
eccepita con l’opposizione agli atti esecutivi nei termini
di decadenza previsti (Cass. Sez. Un., 27 ottobre 1995, n.
11178; tra le molte successive: Cass. 17 dicembre 1996, n.
11251; Cass. 19 luglio 1997, n. 6665; Cass. 26 gennaio
1998, n. 724; Cass. 7 maggio 1999, n. 4584; Cass. 15
novembre 2000, n. 14821; Cass. 8 gennaio 2001, n. 190;
Cass. 16 gennaio 2007, n. 837; Cass., ord, 22 febbraio
2008, n. 4652; Cass. 28 aprile 2011, n. 9451; Cass. 20

23

ordinati ad un unico provvedimento finale – secondo lo

luglio 2011, n. 15903; Cass., ord. 16 gennaio 2013, n.
1012; Cass., ord. 28 maggio 2013, n. 13281; Cass. Sez. Un.,
17 maggio 2013, n. 12101; Cass. Sez. Un., 29 luglio 2013,
n. 18185): e con opportuno ulteriore richiamo alla
distinzione tra atti del procedimento in senso stretto e
atti procedimentali veri e propri, per i quali ultimi

soltanto si può parlare di propagazione del vizio dell’atto
precedente a quello successivo, con la conseguenza che il
termine per proporre opposizione agli atti esecutivi
decorre dalla chiusura della fase del processo esecutivo in
cui detta nullità si è verificata (Cass. 29 settembre 2009,
n. 20814).
8.2. Tali situazioni invalidanti sono però, con tutta
evidenza, quelle derivanti da vizi intrinseci dell’atto ed
attinenti – in concreto – a rilevanti profili formali,
ovvero a presupposti indefettibili dell’esecuzione, quali
la riferibilità degli atti di impulso al creditore
utilmente rappresentato; ma non si è mai, se non altro
finora, in modo chiaro o convincente estesa la propagazione
anche di altri tipi di nullità per così dire sostanziali,
prima fra le quali quelle relative all’oggetto dell’atto.
9. In secondo luogo, la connotazione della vendita
forzata come (sub-)procedimento

sui generis

che si

inserisce nel processo esecutivo, il cui nucleo essenziale
è costituito dalla combinazione tra un provvedimento
dell’organo esecutivo ed un atto giuridico unilaterale di
natura privata (offerta del terzo acquirente), di cui si è
discorso sopra al paragrafo 4.4, non rende affatto
immediatamente esperibili, riguardo ad essa, le azioni a

24

I

!i

presidio della validità della vendita negoziale o
volontaria: dovendo piuttosto di volta in volta verificarsi
se, accanto agli effetti sostanziali della vendita forzata
(significativamente disciplinati dal codice civile ai suoi
artt. 2919 ss.), si colleghino o meno deroghe all’ordinaria

cui si inserisce la vendita forzata medesima.
Sta qui, con ogni probabilità, l’equivoco indotto dalla
non compiuta risoluzione delle questioni circa la natura
della vendita forzata e dalla compresenza di imponenti
elementi sostanzialistici o negoziali ed altri, però con
ogni probabilità prevalenti in ragione della collocazione
sistematica e della sua funzione, di natura processuale:
equivoco che neppure la soluzione pragmatica della finale
configurazione della vendita forzata come sub-procedimento
sui generis,

soggetto ad una disciplina sua propria ed in

ogni caso speciale, finisce con il dissipare, vista la non
contenibile tendenza a riferire nuovamente alla vendita
forzata non solo gli istituti propri di quella negoziale,
ma pure le azioni ordinarie per quelli previste.
Ma, se una tale estensione od applicazione analogica può
ammettersi – finché non siano dettate (come non lo sono per
il caso di aliud pro alio)

discipline ad hoc o derogatorie

rispetto a quelle generali sulla vendita – per le
situazioni giuridiche sostanziali e cioè per gli istituti
di tutela del contraente in relazione all’oggetto del
trasferimento del bene dietro il versamento del
corrispettivo del suo valore, non può giungersi ad analoga

25

disciplina del contesto indiscutibilmente processuale in

conclusione per l’individuazione delle azioni a presidio di
quegli stessi istituti.
Infatti, una volta ricondotta la vendita forzata nella
nozione di sub-procedimento inserito nell’ambito del
processo, occorre, ad avviso del Collegio, coerentemente

da riconoscere in relazione a quegli istituti di diritto
sostanziale sono poi quelli – e solo quelli – apprestati
dal processo: e tanto, almeno finché il processo pende o
purché sia data al soggetto tutelato la facoltà di
esperirli, nel rispetto delle norme procedurali dettate per
quelli.
9.1. A tale riguardo, l’argomento dirimente, ad avviso
del Collegio, nel senso dell’estensione anche all’azione di
aliud pro alio

intentata dall’aggiudicatario del regime

ordinario dell’opposizione agli atti esecutivi e del
relativo ordinario termine decadenziale, si ravvisa
peraltro nell’assunzione, ad opera di quegli, della qualità
di parte di un processo – quale quello esecutivo

caratterizzato da un sistema chiuso, tipizzato ed
inderogabile, di rimedi interni.
Infatti, colui che presenta offerte nella vendita
forzata non è una delle parti del processo esecutivo, se
non dal momento in cui si manifesti un contrasto – ancorché
non formalizzato in opposizione agli atti esecutivi – in
cui egli sia coinvolto e per il quale sia richiesto
l’intervento regolatore del giudice dell’esecuzione (Cass.
Sez. Un., 11 aprile 2012, n. 5701, sia pure ai fini
dell’applicazione dell’art. 51 cod. proc. civ., comma
26

riconoscere che i mezzi tecnici – o le azioni – di tutela

primo, n. 3, in relazione all’obbligo di astensione
disciplinarmente sanzionato). E tuttavia, proprio una volta
che sia contestato – da lui o nei di lui confronti – uno o
più atti del processo, egli assume tale veste e diviene
parte del processo esecutivo, titolare di autonome

processuali, suscettibili di essere contrapposte a quelle
di altri soggetti del processo esecutivo che già hanno
assunto la medesima qualità.
9.2. Se, come nessuno ha mai dubitato, quello esecutivo
non cessa di essere un ordinario processo, esso deve allora
restare assoggettato, al fine di assicurarne l’intrinseca
intima coerenza e la stessa funzionalità e garantire
adeguatamente tutti i soggetti coinvolti, esclusivamente ad
un sistema chiuso e rigido di rimedi interni suoi propri.
Il processo esecutivo ha invero, quale scopo e di norma,
non già l’accertamento di diritti, ma l’attuazione di
quelli già accertati, né dà luogo a statuizioni assistite
dalla forza del giudicato, visto che quell’accertamento e
quest’ultima sono propri della giurisdizione cognitiva e
presuppongono una controversia.
Se il giudicato risponde ad un’esigenza di certezza,
quale indefettibile connotato della tutela del diritto
azionato in giudizio, è giocoforza ammettere che anche il
processo esecutivo esige la stabilità dei suoi atti. Se è
vero, infatti, che la giurisdizione esecutiva e è sì
ancillare o servente rispetto a quella cognitiva, essa – ed
il processo esecutivo con cui si estrinseca ne

27

situazioni giuridiche soggettive, sostanziali e

costituisce però e pur sempre l’indefettibile complemento
ed anzi la garanzia di concreta effettività.
Ed una stabilità degli effetti, come nel processo
cognitivo è garantita – sul piano formale – dal sistema
chiuso delle relative impugnazioni e dalla preclusione
anche sostanziale derivante dal mancato o dal vano
esperimento delle medesime, così analoga stabilità degli
effetti propri e tipici del processo esecutivo – in quello
espropriativo: l’estrazione dal patrimonio del debitore di
uno dei suoi beni, al fine dell’acquisizione di un suo
controvalore in denaro da destinare al soddisfacimento dei
creditori va ricondotta alla tassatività dei rimedi
avverso gli atti di quello ed alla preclusione che deve
derivare dal mancato esperimento di essi.
9.3.

Sul punto,

“la definitività dei risultati

dell’esecuzione è insita nella chiusura di un
procedimento svoltosi con il rispetto di forme idonee a
salvaguardare gli interessi contrapposti delle parti, nel
quadro di un sistema di garanzie di legalità per la
soluzione di eventuali contrasti … ed è basata sul concetto
di preclusione, più ampio di quello di giudicato” (per
tutte: Cass. 3 luglio 1969, n. 2434; in sensi analoghi:
Cass. 9 giugno 1981, n. 3714; Cass. 9 aprile 2003, n. 5580;
Cass. 14 luglio 2009, n. 16369; Cass. 8 maggio 2003, n.
7036; dopo un’ampia ricognizione aggiornata delle
problematiche, perviene alle stesse conclusioni Cass. 18
agosto 2011, n. 17371).
Come rilevato, in particolare, da Cass. 8 maggio 2003,
n. 7036 (benché con riferimento alle azioni di ripetizione

28

.

dell’indebito o di arricchimento senza causa), “ammettere
la proposizione, dopo la conclusione dell’esecuzione e la
scadenza dei termini per le relative opposizioni, di azioni
… volte a contrastare gli effetti dell’esecuzione stessa
sostanzialmente ponendoli nel nulla o limitandoli – è in
contrasto sia con i principi ispiratori del sistema, sia
con le regole specifiche relativi ai modi e ai termini
delle opposizioni esecutive”.
9.4. Tanto pare agevolmente ricondursi all’esigenza di
legalità intrinseca dell’attività giurisdizionale, la quale
implica, a sua volta, che sia possibile e sufficiente, ma
al tempo stesso necessario, per i soggetti che se ne
ritengano lesi, reagire all’interno del processo e coi
mezzi apprestati dall’ordinamento, affinché il risultato
finale possa presumersi conforme a diritto.
Il sistema processuale,

in definitiva, non può

consentire neppure in astratto la sopravvivenza di pretese
di tutela dagli effetti pregiudizievoli dei suoi atti al di
fuori delle azioni tipiche a tanto destinate.
E deve concludersi nel senso che colui il quale intenda
contestare la legittimità di un atto del processo esecutivo
nel quale ultimo ha assunto la qualità di parte ha l’onere,
inteso in stretto senso tecnico, di dispiegare i relativi
strumenti processuali, con le forme e le modalità previste
dalla disciplina di rito; in mancanza, egli decade dalla
possibilità di fare valere le relative ragioni.
Soltanto nel caso eccezionale – e, per la verità, anche
solo in astratto di difficile configurabilità (quanto
all’a/iud pro alio, attesa la sua definizione come evidente
29

.

difformità del bene rispetto a quello descritto) – in cui
egli non abbia incolpevolmente avuto la possibilità di
azionare tempestivamente i rimedi endoprocessuali previsti
potrà ammettersi: se il processo esecutivo ancora pende e
purché ne ricorrano tutti i presupposti, una rimessione in

esecutivo più non pende, un’azione autonoma.
10. Alle argomentazioni in contrario ipotizzate al
paragrafo 7 può invero, ad avviso del Collegio,
adeguatamente ribattersi che:
– l’aliud pro alio configura un’ipotesi di vizio, vale a

dire di nullità, del decreto di trasferimento e cioè
dell’atto del processo esecutivo col quale solo, per
consolidata giurisprudenza (Cass. 19 luglio 2005, n. 15222;
Cass. 24 gennaio 2007, n. 1498; Cass. 16 settembre 2008, n.
23709), si perfeziona il trasferimento coattivo del bene
staggito;
– va rimeditata l’idea che all’aggiudicatario – tranne i
soli casi in cui sia espressamente prevista oppure quelli
in cui una disciplina positiva speciale, come quella
dell’art. 2929 cod. civ., comunque la presupponga – sia
data sempre un’azione di nullità e quindi esterna al
processo esecutivo, da esso indipendente e svincolata da
ogni intrinseco termine di decadenza;
– la conclusione sulla non spettanza all’aggiudicatario
di un’azione di nullità o comunque esterna al processo
esecutivo vale, se non altro, in materia di aliud pro alio,
attesa appunto la mancanza di disciplina positiva ed il

30

termini per proporre il rimedio tipico; se il processo

.

carattere

meramente

del

interpretativo

fondamento

dell’estensione dell’istituto alla vendita forzata;

la diversità strutturale della vendita forzata

rispetto a quella negoziale impedisce, se non altro (almeno
per quanto in questa sede rileva e senza pregiudizio di

esecutivo sia invece terminato,

ove un’incolpevole

ignoranza della diversità della cosa possa configurarsi o
divenire percepibile dopo tanto tempo) fin tanto che pende
il processo in cui la prima ha avuto luogo, la stessa
delle

operatività

regole

ordinarie

di

tutela

dell’acquirente in una normale vendita negoziale;
– è idonea tutela offerta all’aggiudicatario, anche nel
mutato – ed obiettivamente ispirato alla sua massima tutela
possibile (su cui v. le già richiamate: Cass. 28 novembre
2012, n. 21110; Cass. 6 dicembre 2011, n.

26202;

Cass. Sez.

Un., 12 gennaio 2010, n. 262; Cass. 14 giugno 2011, n.
12960) – contesto normativo seguito alle riforme del 2006,
quella del rimedio generale dell’opposizione agli atti
esecutivi,

sebbene

soggetto

al

relativo

termine

decadenziale, purché questo sia fatto decorrere dal momento
in cui l’interessato si sia avveduto o potuto – con
diligenza ordinaria – avvedere del vizio (consistente nella
sensibile diversità del bene ivi descritto con quello
rerum natura

esistente)

in

di quello specifico atto

processuale per lui pregiudizievole;
– del resto, il termine sarebbe in concreto ancora più
ampio in caso di vendita delegata al professionista, visto
.

che – pur non essendo tanto avvenuto nella fattispecie,
31

ulteriori approfondimenti per il caso in cui il processo

senza peraltro doglianza di chicchessia – esso decorrerebbe
dalla comunicazione dell’ordinanza del giudice
dell’esecuzione sul reclamo dispiegato dall’interessato
avverso il decreto di quel giudice in merito alle istanze
dell’aggiudicatario medesimo;

agli atti esecutivi sarebbe poi in concreto riferibile alla
concreta acquisizione, secondo l’ordinaria diligenza, della
sensibile differenza tra bene trasferito e bene offerto in
vendita anche in applicazione dell’ormai generalizzata
disciplina della rimessione in termini, di cui all’art. 153
cpv. cod. proc. civ.;

pertanto, non implicherebbe alcuna violazione di

elementari esigenze di speditezza o di economia processuale
la negazione all’aggiudicatario di un’azione interna al
processo se non l’ha dispiegata entro un certo termine,
visto che non è affatto corretta – ed anzi, è probabilmente
essa stessa incoerente con quelle esigenze – la conclusione
di riconoscergliene comunque altra, estranea al processo,
praticamente in ogni tempo, idonea a metterne nel nulla gli
effetti a guisa di minaccia indefinitamente latente;
– in definitiva, anche la locupletazione della procedura
in danno di chi ad essa era in origine estraneo deriverebbe
soltanto dalla mancata attivazione dei poteri pure concessi
a quest’ultimo e perderebbe quindi qualsiasi connotato di
inevitabile ingiustizia ai suoi danni.
11. Pertanto,

l’aggiudicatario che faccia valere

un’ipotesi di aggiudicazione di

aliud pro alio – in quanto

parte del processo esecutivo, visto che contesta un atto
32

– e la decorrenza del termine per proporre l’opposizione

specifico (e, per la verità, in generale anche quelli da
esso presupposti) di quello, con effetti evidenti in ordine
alla prosecuzione ed all’esito del processo stesso – resta
assoggettato esclusivamente ai rimedi endoesecutivi tipi di
quello.

vendita forzata, della garanzia per vendita di

aliud pro

alio, anche in quanto derivato da un’operazione ermeneutica
e non dalla lettera delle legge, non toglie quindi, ad
avviso del Collegio, che tale garanzia possa essere fatta
valere con i soli strumenti tipici previsti dal processo
esecutivo, cioè con l’opposizione agli atti esecutivi.
In definitiva, ritiene il Collegio che correttamente è
stato applicato alla specie il seguente principio di
diritto:

l’aggiudicatario di un bene pignorato ha l’onere

di far valere l’ipotesi di allud pro alio

(che si configura

ove la cosa appartenga a un genere del tutto diverso da
quello indicato nell’ordinanza, ovvero manchi delle
particolari qualità necessarie per assolvere la sua
naturale funzione economico-sociale, oppure risulti del
tutto compromessa la destinazione della cosa all’uso che,
preso in considerazione nell’ordinanza di vendita, abbia
costituito elemento determinante per l’offerta di acquisto)
con il solo rimedio dell’opposizione agli atti esecutivi e
quest’ultima deve essere esperita

comunque – nel limite

temporale massimo dell’esaurimento della fase satisfattiva
dell’espropriazione forzata, costituito dalla definitiva
approvazione del progetto di distribuzione –

entro il

termine perentorio di venti giorni dalla legale conoscenza

33

Il riconoscimento, tra gli effetti sostanziali della

dell’atto viziato, ovvero dal momento in cui la conoscenza
del vizio si è conseguita o sarebbe stata conseguibile
secondo una diligenza ordinaria.

Tale ultima cautela introduce una sorta di flessibilità
del termine, la quale integra un idoneo adeguamento della

relazione alle peculiarità delle singole fattispecie di
manifestazione o di percepibilità della radicale diversità
tra le caratteristiche del bene.
12. In applicazione del principio suddetto alla specie,
il Balestrucci ha quindi torto a dolersi della diversità
sostanziale del bene trasferito rispetto alla sua
descrizione nel bando e nel decreto di trasferimento,
mediante una reazione successiva di quasi nove mesi (il
reclamo del

20.7.09)

all’acquisizione di affidabile

certezza sul punto (certezza resa manifesta dalla
comunicazione del suo c.t.p., posta poi a base di apposita
istanza al professionista delegato in data 23.10.08); e
resta assorbita la doglianza sulla pretesa di restituzione
del prezzo di aggiudicazione, tale restituzione potendo
conseguire soltanto alla caducazione del decreto di
trasferimento e quest’ultima essendo preclusa dalla
riconosciuta tardività della relativa impugnativa.
13. Esula dall’ambito delle questioni devolute a questa
Corte ogni altro rilievo, primo fra tutti quello sulla
sopravvivenza del potere di revoca, in capo al giudice
dell’esecuzione, degli atti comunque illegittimi – quale si
atteggia pur sempre un decreto di trasferimento di
pro alio

aliud

anche alla decadenza della parte direttamente
34

tutela dell’aggiudicatario effettivamente incolpevole, in

interessata dal potere di impugnarli con l’opposizione agli
atti esecutivi: revoca che, peraltro, incontra il limite
della non compiuta esecuzione dell’atto da revocare e,
nella specie, l’ulteriore problematica dell’individuazione
di tale evenienza quanto al decreto di trasferimento già

n. 24001 e, prima, Cass. 16 settembre 2008, n. 23709).
Ed esula pure l’ulteriore problema della persistenza di
una tutela non già recuperatoria, ma meramente risarcitoria
al di fuori del – o successivamente alla chiusura del processo esecutivo, di norma preclusa una volta che sia
stata dismessa, rinunziata o preclusa, per consapevole
inerzia di colui al quale era pur sempre accordata, la
tutela della situazione giuridica soggettiva primaria e non
vi sia stata la possibilità di attivare quest’ultima in via
endoprocessuale (come nel caso della responsabilità
processuale di cui all’art. 96 cod. proc. civ., tutelabile
esclusivamente all’interno del medesimo processo cui si
riferisce, salvo che la relativa domanda non possa essere
stata, per ragioni obiettive, proposta al giudice di
quello, unico munito della potestà di conoscere la relativa
pretesa risarcitoria: Cass., ord. 18 aprile 2007, n. 9297,
ovvero Cass. 6 agosto 2010, n. 18344, o ancora, a
contrario, Cass. Sez. Un., 23 marzo 2011, n. 6597).
Entrambe le questioni restano, pertanto, impregiudicate.
14. Il ricorso è rigettato.
Non vi è tuttavia luogo a provvedere sulle spese del
presente giudizio di legittimità, non avendo parte intimato
svolto in questa sede alcuna attività difensiva.
35

pronunciato (su cui, comunque, v. Cass. 16 novembre 2011,

P. Q. M.

La Corte rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della
terza sezione civile della Corte suprema di cassazione,

addì 4 febbraio 2014.

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