Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7705 del 18/03/2021

Cassazione civile sez. II, 18/03/2021, (ud. 01/12/2020, dep. 18/03/2021), n.7705

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe (da remoto) – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27289/2019 proposto da:

D.A., rappresentato e difeso dall’Avvocato MARIO

CAVICCHIOLI, ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in

BIELLA, VIA REPUBBLICA 43;

– ricorrente –

contro

MINISTERO dell’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

rappresentato e difeso ope legis dall’Avvocatura Generale dello

Stato, presso i cui uffici in ROMA, VIA dei PORTOGHESI 12 è

domiciliato;

– controricorrente –

avverso il decreto n. 5109/2019 del TRIBUNALE di TORINO pubblicata il

5/08/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

01/12/2020 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

D.A. proponeva opposizione avverso il provvedimento di diniego della protezione internazionale emesso dalla competente Commissione Territoriale, chiedendo il riconoscimento della protezione sussidiaria o, in subordine, della protezione umanitaria.

Sentito dalla Commissione Territoriale, il richiedente aveva dichiarato di essere nato nella regione del Casamance in Senegal; di aver studiato per due anni e di aver trovato in seguito lavoro come autista, ma di aver perso la patente; di non essere sposato; che i genitori erano stati uccisi dai ribelli; che vi era stato uno scontro con feriti tra musulmani e cattolici a causa di una moschea che doveva essere costruita; che cercavano dei giovani per portarli in prigione e che per paura fuggiva dal Paese raggiungendo prima la Guinea Bissau, la Libia e infine l’Italia.

Con Decreto n. 5109 del 2019, depositato in data 5.8.2019, il Tribunale di Torino rigettava il ricorso, ritenendo di condividere la valutazione di non credibilità del racconto espressa dalla Commissione Territoriale, data la genericità della narrazione, priva di elementi di dettaglio riguardo alla guerra (o meglio lo scontro) tra musulmani e protestanti a causa della costruzione di una moschea, e data l’incoerenza della stessa (timore di essere arrestato solo perchè giovane, senza che fosse stato neppure presente allo scontro e senza che avesse mai partecipato a iniziative a sfondo religioso). Inoltre, dalle fonti internazionali risultava che nella regione di provenienza del ricorrente (Casamance) non sussistesse una violenza indiscriminata in una situazione di conflitto armato: per il terzo anno consecutivo proseguiva la tregua di fatto tra le forze di sicurezza e i separatisti armati. Pertanto la domanda di concessione della protezione sussidiaria non poteva essere accolta, così come anche quella relativa alla protezione umanitaria, in quanto il racconto non era considerato credibile, per cui si doveva escludere che il ricorrente corresse alcun rischio di persecuzione o di danno grave in caso di rientro nel Paese d’origine; inoltre, la situazione socio-politica del Senegal non appariva così grave da porre tutti i suoi cittadini in condizioni di vulnerabilità così significativa da giustificare il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari. Invero, non si evidenziava una condizione riconducibile al concetto di “serio motivo umanitario” tale da rendere doveroso il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari. Era, infine, da escludere che la mera partecipazione a corsi di lingua, corsi formativi, attività di volontariato, potesse documentare la stabile e rilevante condizione di avvenuto inserimento nel contesto nazionale, condizione che sarebbe stata lesa in caso di rimpatrio.

Avverso detto decreto propone ricorso per cassazione D.A. sulla base di due motivi. Resiste il Ministero dell’Interno con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Preliminarmente, il ricorrente chiede di “sollevare questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, introdotto dalla L. n. 46 del 2017, art. 6, comma 1, lett. g), per violazione dell’art. 3 Cost., comma 1; art. 24 Cost., commi 1 e 2; art. 111 Cost., commi 1, 2 e 5; art. 117 Cost., comma 1, quest’ultimo parametro così come integrato dall’art. 46, paragrafo 3 della Direttiva n. 32/2013 e dagli artt. 6 e 13CEDU, per quanto concerne la previsione del rito camerale ex artt. 737 e segg. e relative deroghe, nelle controversie in materia di protezione internazionale. Vizio rilevante ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4”.

Anche a prescindere dalla assenza di argomentazione in ordine alla rilevanza di entrambe le questioni nel giudizio a quo, va rilevato che l’eccezione è già stata ritenuta manifestamente infondata da questa Corte (con giudizio che questo collegio fa proprio), giacchè la disposizione transitoria – che differisce di 180 giorni dall’emanazione del decreto l’entrata in vigore del nuovo rito – è connaturata all’esigenza di predisporre un congruo intervallo temporale per consentire alla complessa riforma processuale di entrare a regime (v., ex plurimis, Cass. n. 17717 del 2018; Cass. n. 28119 del 2018).

Può, dunque, richiamarsi il principio costantemente affermato dalla Corte Costituzionale secondo cui in tema di disciplina del processo e di conformazione degli istituti processuali il legislatore dispone di un’ampia discrezionalità, con il solo limite della manifesta irragionevolezza o arbitrarietà delle scelte compiute (ex plurimis: sentenze n. 17 del 2011; n. 229 e n. 50 del 2010; n. 221 del 2008; ordinanze n. 43 del 2010, n. 134 del 2009, n. 67 del 2007). La non irragionevolezza della soluzione adottata dal legislatore evidenzia la manifesta infondatezza della questione di costituzionalità non sussistendo in alcun modo quel livello di manifesta irragionevolezza o di arbitrarietà che unicamente consente di rimettere alla Corte Costituzionale la questione relativa all’esercizio della discrezionalità legislativa in tema di disciplina di istituti processuali (ex plurimis, ordinanze n. 138 del 2012, n. 141 del 2011).

1.1. – E, sempre in via preliminare, il ricorrente richiede altresì “di sollevare questione di legittimità costituzionale del combinato disposto del D.L. n. 13 del 2017, art. 6, comma 1, lett. g) e art. 21, comma 1, così come convertito nella L. n. 46 del 2017, per violazione dell’art. 3 Cost., comma 1 e art. 77 Cost., comma 2, per mancanza dei presupposti di necessità e urgenza nell’emanazione dello stesso Decreto Legge, per quanto concerne il differimento dell’efficacia temporale e, quindi, dell’entrata in vigore del nuovo rito in materia di protezione internazionale. Vizio rilevante ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4”.

Altrettanto manifestamente infondata risulta la questione di legittimità costituzionale del D.L. n. 13 del 2017, art. 21, comma 1, conv. con modifiche in L. n. 46 del 2017, per difetto dei requisiti della straordinaria necessità ed urgenza poichè la disposizione transitoria – che differisce di 180 giorni dall’emanazione del decreto l’entrata in vigore del nuovo rito – è connaturata all’esigenza di predisporre un congruo intervallo temporale per consentire alla complessa riforma processuale di entrare a regime (v. nn. 17717/18 e 28119/18).

2. – Con il primo motivo, il ricorrente lamenta la “Violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, comma 1, lett. c) e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”. Nel ricorso introduttivo il richiadente aveva evidenziato che in tutto il territorio nazionale della Nigeria la situazione fosse talmente degenerata e violenta da comportare un grave pericolo per le persone che risiedono sul territorio, legittimante il riconoscimento della protezione sussidiaria. Sicchè il Tribunale avrebbe dovuto confutare la tesi del ricorrente con contrastanti argomenti di fatto, tramite la doverosa attività istruttoria officiosa e acquisendo le informazioni elaborate dalla Commissione Nazionale per il Diritto di Asilo o dal Ministero per gli Affari Esteri. Inoltre, le pagine Internet citate nel decreto del Tribunale si riferiscono agli anni 2014, 2015 e 2016, non risultando aggiornate.

2.1. – Il motivo non è fondato.

2.2. – Deve premettersi che questa Corte ha affermato il principio secondo il quale “in tema protezione internazionale, il dovere di cooperazione istruttoria del giudice, che è disancorato dal principio dispositivo e libero da preclusioni e impedimenti processuali, presuppone l’assolvimento da parte del richiedente dell’onere di allegazione dei fatti costitutivi della sua personale esposizione a rischio, a seguito del quale opera il potere-dovere del giudice di accertare anche d’ufficio se, ed in quali limiti, nel Paese di origine del richiedente, si verifichino fenomeni tali da giustificare l’applicazione della misura, mediante l’assunzione di informazioni specifiche, attendibili e aggiornate, non risalenti rispetto al tempo della decisione, che il giudice deve riportare nel contesto della motivazione, non potendosi considerare fatti di comune e corrente conoscenza quelli che vengono via via ad accadere nei Paesi estranei alla Comunità Europea” (cfr. Cass. 11096 del 2019; Cass. n. 25545 del 2020) Ed è stato altresì ribadito che “Nei giudizi aventi ad oggetto domande di protezione internazionale e di accertamento del diritto al permesso per motivi umanitari, la verifica delle condizioni socio politiche del paese di origine non può fondarsi su informazioni risalenti ma deve essere svolta, anche mediante integrazione istruttoria ufficiosa, all’attualità” (cfr. Cass. 28990 del 2018 ed, in assoluta continuità, anche con riferimento al dovere officioso di integrazione istruttoria Cass. 13897 del 2019; Cass. 9230 del 2020; Cass. 9231 del 2020).

2.3. – Nel caso in esame, nella motivazione della sentenza impugnata, che risale alla metà del 2019, vengono richiamate le Country Origin Informations desunte dal rapporto Amnesty International del 2014/2015; dal World Report del 2016 dallo Human Rights Watch del 2016 (in senso contrario non risultando espliciti riferimenti a più specifiche e/o recenti fonti indicate dal richiedente).

2.4. – Vero, allora, che il dovere di cooperazione istruttoria, rappresenta una peculiarità processuale del giudizio di protezione internazionale che il giudice di merito deve adempiere d’ufficio, fondando la propria decisione su fonti informative attendibili (e cioè riconducibili a quanto predicato dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3), idonee allo scopo informativo rispetto alla vicenda narrata ed aggiornate alla data della decisione, in ragione della rapida mutevolezza delle condizioni sociopolitiche, economiche, climatiche e sanitarie dei paesi di provenienza dei richiedenti asilo. Vero è, del pari, che ove il giudice di merito non si attenga a tale principio in relazione all’aggiornamento delle fonti utilizzate, è sufficiente che la censura che il ricorrente prospetta in sede di legittimità evidenzi la non attualità delle fonti, in quanto la data di esse costituisce un elemento oggettivo che non necessita di ulteriori specificazioni critiche, “pur essendo necessario che venga allegata una condizione attuale del paese di origine diversa e più grave di quella rappresentata dalle informazioni (erroneamente) utilizzate” (il ricorrente, pertanto, non ha alcun onere di indicare specificamente, riportandone il contenuto, fonti alternative a quelle utilizzate, non essendo tenuto a supplire ad una carenza istruttoria che costituisce oggetto di uno specifico obbligo ex lege del giudice di merito).

3. – Con il secondo motivo, il ricorrente deduce la “Violazione dell’art. 183 c.p.c., comma 8 e dell’art. 115 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”, là dove il ricorrente assume di non esser stato posto nelle condizioni di contraddire le fonti di prova indicate dal tribunale a sostegno della decisione.

3.1. – Il motivo è inammissibile poichè del tutto generico in ordine alla compromissione del diritto al contraddittorio, giacchè il tribunale ha semplicemente e doverosamente provveduto alla verifica officiosa della situazione del paese di origine del richiedente, in base alla di lui allegazione, uniformandosi, così, all’orientamento consolidato di questa Corte (Cass. n. 24433 del 2020).

4. – Il ricorso va, pertanto, rigettato. Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza. Va emessa la dichiarazione D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1-quater.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente a rimborsare a controparte le spese processuali del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 2.100,00, a titolo di compensi, oltre eventuali spese prenotate a debito. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 1 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 18 marzo 2021

 

 

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