Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7705 del 06/04/2020

Cassazione civile sez. lav., 06/04/2020, (ud. 19/12/2019, dep. 06/04/2020), n.7705

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TORRICE Amelia – Presidente –

Dott. MAROTTA Caterina – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19754/2014 proposto da:

CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE C.N.R., in persona del legale

rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia ex lege in ROMA,

alla VIA DEI PORTOGHESI n. 12;

– ricorrente –

contro

B.S., P.A., R.C., RI.MI., tutte

domiciliate in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE

SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentate e difese dall’avvocato STEFANO

TADDIA;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 109/2014 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 30/01/2014 R.G.N. 366/2012.

Fatto

RILEVATO

che:

1. la Corte di appello di Firenze, decidendo sull’impugnazione proposta dal Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), confermava la sentenza del locale Tribunale che aveva riconosciuto il diritto di B.S. ed altre, ricercatrici già dipendenti del medesimo Consiglio come “precarie” e poi stabilizzate ex L. n. 296 del 2006, all’anzianità maturata sin dalla prima assunzione a termine anche a fini economici con ricostruzione della relativa posizione stipendiale;

2. la Corte territoriale considerava applicabile il principio di non discriminazione previsto dall’Accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, attuato dalla direttiva 1999/70 CE, osservando che il dipendente che aveva lavorato per Da stessa Amministrazione in un arco temporale con contratti a tempo determinato non poteva essere trattato in maniera deteriore, in carenza di ragioni oggettive, rispetto all’altro lavoratore che avesse lavorato nello stesso periodo in forza di un’assunzione a tempo indeterminato;

riteneva, in particolare, che il CNR si fosse limitato a prospettare la sussistenza di tali ragioni oggettive in modo meramente tautologico, solo riconnesso al pregresso status di precariato, di per sè inidonee a giustificare la diversità di trattamento di lavoratori che – a parità di condizioni – abbiano prestato in passato lavoro a termine;

3. per la cassazione della sentenza il CNR ha proposto ricorso affidato a due motivi;

4. le lavoratrici hanno resistito con controricorso.

Diritto

RILEVATO

che:

1. con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione della direttiva n. 1999/70/CE e dell’Accordo Quadro del lavoro a tempo determinato in allegato, dell’art. 4, comma 5, del c.c.n.l. Comparto Ricerca 5/3/1998; dell’art. 20 del c.c.n.l. Comparto Ricerca 21/2/2002 relativo al quadriennio 1998-2001; dell’art. 4 del c.c.n.l. Comparto Ricerca (quadrienni normativo 2006-2009 e 1^ biennio economico) 24/2/2009; della L. n. 296 del 2006, art. 1, commi 519 e 520; D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 36, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3;

2. con il secondo motivo il ricorrente denuncia nullità della sentenza per omessa motivazione o motivazione apparente;

censura la sentenza impugnata per avere ritenuto sussistente una discriminazione tra i lavoratori laddove il regime previsto dalla contrattazione collettiva tra le due categorie di personale (ricercatore/tecnologo a termine e a tempo indeterminato) non disattende affatto la normativa dell’Unione Europea, essendo la diversità di trattamento ampiamente giustificata da ragioni oggettive alla luce delle peculiarità riscontrabili nel settore di riferimento, profili che escludono, in capo al lavoratore a tempo determinato, il diritto ad una progressione economica nei sensi statuiti dai giudici territoriali;

sostiene che nella specie è da escludere che il ricercatore/tecnologo a termine e quello a tempo indeterminato si trovino in “situazioni comparabili” e che quindi l’anzianità maturata possa considerarsi “equivalente” a quella svolta nell’ambito del rapporto a tempo indeterminato e ciò con particolare riferimento alla circostanza che il lavoro svolto dagli indicati tecnici in virtù di un contratto a termine è ancorato allo sviluppo di un determinato progetto scientifico e non può ritenersi identico e nemmeno simile a quello dei dipendenti a tempo indeterminato, in ragione delle diverse qualifiche e competenze richieste nei due casi dalla legge per poter accedere alle due diverse posizioni;

rileva, in particolare, che le controricorrenti avevano operato, durante lo svolgimento di contratti di lavoro a termine, in settori ed ambiti del tutto circoscritti e particolari tali da integrare una ragione oggettiva per l’operatività di una deroga al principio di non discriminazione;

sostiene che i giudici di merito non avrebbero tenuto alcun conto delle deduzioni dell’ente, volte a dimostrare la esistenza di ragioni oggettive, rinvenibili nella natura dell’attività di ricerca per specifici programmi e con specifici requisiti professionali, della L. 7 agosto 1997, n. 266, ex art. 5, comma 2, tali da escludere l’applicabilità al caso di specie della normativa comunitaria;

evidenzia, ai fini della giustificazione di un differente trattamento e dell’insussistenza di situazioni comparabili, anche la diversità delle modalità di selezione per accedere all’interno della struttura organizzativa dell’ente;

3. i motivi, da trattarsi congiuntamente, in quanto intrinsecamente connessi, sono infondati;

3.1. vanno, infatti, richiamati i principi già espressi da questa Corte nelle numerose pronunce in materia di contratti a tempo determinato nel settore scolastico (ex plurimis, Cass. n. 22558/2016) oltre che di contratti a tempo determinato stipulati con gli Enti di Ricerca Cass. 2795/2017; Cass. n. 7112/2018, Cass. n. 3473/2019; Cass. n. 6146/2019);

3.2. con le indicate pronunce si è premesso che la clausola 4 dell’Accordo Quadro sul lavoro a tempo determinato allegato alla Direttiva 1999/70/CE, nella parte in cui stabilisce che “per quanto riguarda le condizioni di impiego, i lavoratori a tempo determinato non possono essere trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili per il solo fatto di avere un contratto o rapporto di lavoro a tempo determinato, a meno che non sussistano condizioni oggettive”, è stata più volte interpretata dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, la quale ha evidenziato che: a) la clausola 4 dell’Accordo esclude in generale ed in termini non equivoci qualsiasi disparità di trattamento non obiettivamente giustificata nei confronti dei lavoratori a tempo determinato, sicchè la stessa ha carattere incondizionato e può essere fatta valere dal singolo dinanzi al giudice nazionale, che ha l’obbligo di applicare il diritto dell’Unione e di tutelare i diritti che quest’ultimo attribuisce, disapplicando, se necessario, qualsiasi contraria disposizione del diritto interno (Corte Giustizia 15.4.2008, causa C- 268/06, Impact; 13.9.2007, causa C307/05, Del Cerro Alonso; 8.9.2011, causa C-177/10 Rosado Santana); b) il principio di non discriminazione non può essere interpretato in modo restrittivo, per cui la riserva in materia di retribuzioni contenuta nell’art. 137 n. 5 del Trattato (oggi 153 n. 5), “non può impedire ad un lavoratore a tempo determinato di richiedere, in base al divieto di discriminazione, il beneficio di una condizione di impiego riservata ai soli lavoratori a tempo indeterminato, allorchè proprio l’applicazione di tale principio comporta il pagamento di una differenza di retribuzione” (Del Cerro Alonso, cit., punto 42); c) le maggiorazioni retributive che derivano dall’anzianità di servizio del lavoratore, costituiscono condizioni di impiego ai sensi della clausola 4, con la conseguenza che le stesse possono essere legittimamente negate agli assunti a tempo determinato solo in presenza di una giustificazione oggettiva (Corte di Giustizia 9.7.2015, in causa C177/14, Regojo Dans, punto 44, e giurisprudenza ivi richiamata); d) a tal fine non è sufficiente che la diversità di trattamento sia prevista da una norma generale ed astratta, di legge o di contratto, nè rilevano la natura pubblica del datore di lavoro e la distinzione fra impiego di ruolo e non di ruolo, perchè la diversità di trattamento può essere giustificata solo da elementi precisi e concreti di differenziazione che contraddistinguano le modalità di lavoro e che attengano alla natura ed alle caratteristiche delle mansioni espletate (Regojo Dans, cit., punto 55 e con riferimento ai rapporti non di ruolo degli enti pubblici italiani Corte di Giustizia 18.10.2012, cause C302/11 e C305/11, Valenza; 7.3.2013, causa C393/11, Bertazzi);

3.3. la stessa Corte di Giustizia, chiamata a pronunciare in fattispecie nelle quali veniva in rilievo il mancato riconoscimento dell’anzianità di servizio maturata in epoca antecedente alla procedura di stabilizzazione prevista dalla L. n. 296 del 2006, ha evidenziato che la clausola 4 “osta ad una normativa nazionale, quale quella controversa nei procedimenti principali, la quale escluda totalmente che i periodi di servizio compiuti da un lavoratore a tempo determinato alle dipendenze di un’autorità pubblica siano presi in considerazione per determinare l’anzianità del lavoratore stesso al momento della sua assunzione a tempo indeterminato, da parte di questa medesima autorità, come dipendente di ruolo nell’ambito di una specifica procedura di stabilizzazione del suo rapporto di lavoro, a meno che la citata esclusione sia giustificata da ragioni oggettive ai sensi dei punti 1 e/o 4 della clausola di cui sopra. Il semplice fatto che il lavoratore a tempo determinato abbia compiuto i suddetti periodi di servizio sulla base di un contratto di un rapporto di lavoro a tempo determinato non configura una ragione oggettiva di tal genere” (Corte di Giustizia 18.10.2012 in cause riunite da C- 302/11 a C-305/11, Valenza e negli stessi termini Corte di Giustizia 4.9.2014 in causa C 152/14 Bertazzi);

3.4. i richiamati principi sono stati ribaditi dalla Corte di Giustizia nella recente sentenza 20 settembre 2018 in causa C-466/17, Motter, con la quale si è, in sintesi, osservato che al fine di “raggiungere un equilibrio tra i legittimi interessi dei lavoratori a tempo determinato e quelli dei lavoratori a tempo indeterminato” e di evitare “discriminazioni alla rovescia” è consentito, nel rispetto del principio del pro rata temporis, tener conto dei periodi di servizio prestati in misura non integrale, fermo però restando che al momento dell’assunzione come dipendente pubblico di ruolo deve essere valorizzata ai fini dell’anzianità anche la carriera pregressa del lavoratore a tempo determinato; in tale pronuncia, peraltro, il ricorso al principio del pro rata temporis trova giustificazione nella ritenuta necessità di “(..) rispecchiare le differenze tra l’esperienza acquisita dai docenti assunti mediante concorso e quella acquisita dai docenti assunti in base ai titoli, a motivo della diversità delle materie, delle condizioni e degli orari in cui questi ultimi devono intervenire, in particolare nell’ambito di incarichi di sostituzione di altri docenti” (così, Corte di Giustizia, 20/09/2018, causa C-466/17, Motter);

3.5. l’interpretazione delle norme Eurounitarie è riservata alla Corte di Giustizia, le cui pronunce hanno carattere vincolante per il giudice nazionale perchè a tali sentenze, siano esse pregiudiziali o emesse in sede di verifica della validità di una disposizione, va attribuito il valore di ulteriore fonte del diritto della Unione Europea, non nel senso che esse creino ex novo norme comunitarie, bensì in quanto ne indicano il significato ed i limiti di applicazione, con efficacia erga omnes nell’ambito dell’Unione (cfr. Cass. n. 22558/2016);

4. fatte tali premesse, occorre rilevare l’inammissibilità della questione – non specificamente trattata dalla sentenza impugnata ed introdotta per la prima volta con il ricorso per cassazione – relativa alle specifiche tipologie (e alla relativa disciplina giuridica) dei contratti a termine intercorsi prima della assunzione in ruolo delle odierne controricorrenti, contratti che sarebbero stati ancorati allo sviluppo di un determinato progetto scientifico in settori ed ambiti del tutto circoscritti e particolari (così che lo svolgimento di un certo programma o ricerca non possa fornire un’esperienza spendibile in una ricerca diversa) e quella relativa alla diversità delle qualifiche e competenze richieste dalla legge per poter accedere a tali contratti a tempo determinato rispetto a quelli a tempo indeterminato;

sono, quindi, inammissibili tutte le questioni di diritto che muovono da assunti fattuali che non trovano riscontro nell’accertamento compiuto dai giudici di merito, tanto più che non è neppure prospettato un vizio processuale di omessa pronuncia su specifici motivi di appello (in ipotesi) formulati dal CNR avverso la sentenza di primo grado in ordine alla natura dei rapporti a termine intercorsi tra le parti prima dell’assunzione in ruolo;

peraltro in ricorso si fa riferimento ad atti (contratti a tempo determinato intercorsi tra le parti) che non sono trascritti nel loro contenuto nè depositati in questa sede e non è neppure specificato dove, quando e da chi gli stessi siano stati prodotto nel giudizio di merito;

va, al riguardo, ribadito il principio ripetutamente affermato da questa Corte, condiviso dal Collegio, secondo cui, ove vengano in rilievo atti processuali ovvero documenti o prove orali la cui valutazione debba essere fatta ai fini dello scrutinio di un vizio di violazione di legge, ex art. 360 c.p.c., n. 3, di carenze motivazionali, ex art. 360 c.p.c., n. 5, o anche di un “error in procedendo”, è necessario non solo che il contenuto dell’atto o della prova orale o documentale sia riprodotto in ricorso, ma anche che ne venga indicata l’esatta allocazione nel fascicolo d’ufficio o in quello di parte, rispettivamente acquisito o prodotto in sede di giudizio di legittimità, senza che possa attribuirsi rilievo al fatto che nell’indice si indicano come allegati i fascicoli di parte di primo e secondo grado (Cass., SS.UU., nn. 8077/2012 e 22726/2011; Cass. n. 13713/2015; Cass. n. 19157/2012; Cass. n. 6937/2010);

5. per il resto la Corte territoriale si è correttamente attenuta ai principi sopra richiamati laddove, come evidenziato nello storico di lite, ha affermato (sulla base di un accertamento in fatto non suscettibile di riesame in questa sede) che nel passaggio dal precariato alla stabilizzazione non vi era stato alcun mutamento delle condizioni lavorative delle lavoratrici (odierne controricorrenti), sicchè l’unico elemento differenziazione era costituito dalla natura, a termine e non a tempo indeterminato, del rapporto;

6. anche in questa sede l’Ente ricorrente, al netto delle questioni nuove di cui sopra si è detto, pur affermando l’esistenza di ragioni oggettive a suo dire idonee a giustificare la diversità di trattamento, fa leva su circostanze che prescindono dalle caratteristiche intrinseche delle mansioni, le quali sole avrebbero potuto legittimare la disparità, insiste sulla natura non di ruolo del rapporto di impiego e sulla novità del contratto a tempo indeterminato rispetto al precedente nonchè sulle modalità di reclutamento del personale nel settore della ricerca e sulle esigenze che il sistema mira ad assicurare ossia su circostanze che, alla luce della richiamata giurisprudenza della Corte di Giustizia, non sono idonee a giustificare la totale esclusione dei periodi di lavoro a tempo determinato ai fini del calcolo dell’anzianità attenendo, invece, le “ragioni oggettive” richiamate nella clausola 4 alle condizioni di lavoro che contraddistinguono i due tipi di rapporto in comparazione;

7. il ricorso va, pertanto, rigettato con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo;

8. ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, deve darsi atto della ricorrenza delle condizioni previste dalla legge per il raddoppio del contributo unificato dovuto dal ricorrente.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento, in favore delle controricorrenti, delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge e rimborso forfetario in misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza Camerale, il 19 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 6 aprile 2020

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