Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7703 del 18/03/2021

Cassazione civile sez. II, 18/03/2021, (ud. 01/12/2020, dep. 18/03/2021), n.7703

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe (da remoto) – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27265/2019 proposto da:

O.S., rappresentato e difeso dall’Avvocato MARIO

CAVICCHIOLI, ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in

BIELLA, VIA REPUBBLICA 43;

– ricorrente –

contro

MINISTERO dell’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

rappresentato e difeso ope legis dall’Avvocatura Generale dello

Stato, presso i cui uffici in ROMA, VIA dei PORTOGHESI 12 è

domiciliato;

– controricorrente –

avverso il decreto n. 5090/2019 del TRIBUNALE di TORINO pubblicata il

2/08/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

01/12/2020 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

O.S. proponeva opposizione avverso il provvedimento di diniego della protezione internazionale emesso dalla competente Commissione Territoriale, chiedendo il riconoscimento dello status di rifugiato o, in subordine, della protezione sussidiaria o, in ulteriore subordine, dell’asilo ex art. 10 Cost., comma 3, o della protezione umanitaria.

Sentito dalla Commissione Territoriale, il richiedente aveva riferito di essere (OMISSIS); di essere coniugato e di avere tre figlie; di svolgere attività di venditore di autovetture; che il (OMISSIS) aveva venduto un’auto a credito e di aver più volte sollecitato il pagamento; di essersi recato la sera del (OMISSIS) a casa del debitore per riscuotere il credito, ma che questi aveva avuto un malore ed era deceduto la sera stessa; che era stato informato da un amico che la moglie del deceduto lo accusava della morte del marito; che, dietro suggerimento di un amico poliziotto, si era recato alla stazione di polizia, ma avendo visto tanta gente si era spaventato e non era entrato; che si era recato con la famiglia a Lagos presso un amico, dal quale apprendeva che sia il debitore che il fratello maggiore erano membri del culto (OMISSIS); che decideva di andare a (OMISSIS) presso la zia della moglie, assieme alla famiglia; che il (OMISSIS) la casa della madre era stata incendiata e la madre era morta poco dopo; ottenuti dei soldi dalla suocera, partiva il (OMISSIS).

Con decreto n. 5090/2019, depositato in data 2.8.2019, il Tribunale di Torino rigettava il ricorso, condividendo la valutazione della Commissione Territoriale in merito alla mancanza di credibilità del racconto, in quanto in sede di impugnazione non erano state colmate le lacune probatorie già segnalate in sede amministrativa. In particolare, alcune incongruenze inficiavano l’attendibilità del richiedente (difformità della data di nascita, inizialmente indicata nel 23.12.1988 e poi nel 23.12.1976; affermazione di essere coniugato e di avere tre figlie solo in sede di Commissione). Inoltre, risultava inverosimile che il ricorrente avesse abbandonato moglie e figlie a fronte del mero rischio di essere rintracciato da soggetti non identificati, senza essersi adoperato, anche negli anni successivi, per comprendere se fosse ancora (o fosse mai stato) ricercato. Pertanto, tenuto conto della mancanza di credibilità del racconto, non poteva essere accolta nè la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato. Quanto alla protezione sussidiaria, le ipotesi di rischio di condanna a morte o di trattamento inumano o degradante (D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a e b) il ricorrente si richiamava la giurisprudenza della Corte di Giustizia, secondo la quale il rischio effettivo di subire un danno grave in caso di rimpatrio doveva essere riferito alla particolare situazione del richiedente, requisito che nella fattispecie non risultava integrato. Quanto all’ipotesi di cui alla lett. c) della suddetta norma (violenza indiscriminata in una situazione di conflitto armato), la non credibilità del ricorrente era ragione sufficiente per negare la protezione sussidiaria. Il diritto di asilo ex art. 10 Cost., comma 3, risultava ormai interamente regolato attraverso la previsione dei tre istituti di protezione, per cui non sussisteva più alcun margine di residuale applicazione del disposto di cui all’art. 10 Cost., comma 3. Infine, anche la domanda di protezione umanitaria non poteva essere accolta, sia per l’inattendibilità del racconto, sia in quanto il ricorrente non aveva fornito elementi a supporto di tale domanda.

Avverso detto decreto propone ricorso per cassazione O.S. sulla base di un motivo. Il Ministero dell’Interno non ha svolto idonee difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Preliminarmente, il ricorrente chiede di “sollevare questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, introdotto dalla L. n. 46 del 2017, art. 6, comma 1, lett. g), per violazione dell’art. 3 Cost., comma 1; art. 24 Cost., commi 1 e 2; art. 111 Cost., commi 1, 2 e 5; art. 117 Cost., comma 1, quest’ultimo parametro così come integrato dall’art. 46, paragrafo 3 della Direttiva n. 32/2013 e dagli artt. 6 e 13CEDU, per quanto concerne la previsione del rito camerale ex artt. 737 e segg. e relative deroghe, nelle controversie in materia di protezione internazionale. Vizio rilevante ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4”.

Anche a prescindere dalla assenza di argomentazione in ordine alla rilevanza di entrambe le questioni nel giudizio a quo, va rilevato che l’eccezione è già stata ritenuta manifestamente infondata da questa Corte (con giudizio che questo collegio fa proprio), giacchè la disposizione transitoria – che differisce di 180 giorni dall’emanazione del decreto l’entrata in vigore del nuovo rito – è connaturata all’esigenza di predisporre un congruo intervallo temporale per consentire alla complessa riforma processuale di entrare a regime (v., ex plurimis, Cass. n. 17717 del 2018; Cass. n. 28119 del 2018).

Può, dunque, richiamarsi il principio costantemente affermato dalla Corte Costituzionale secondo cui in tema di disciplina del processo e di conformazione degli istituti processuali il legislatore dispone di un’ampia discrezionalità, con il solo limite della manifesta irragionevolezza o arbitrarietà delle scelte compiute (ex plurimis: sentenze n. 17 del 2011; n. 229 e n. 50 del 2010; n. 221 del 2008; ordinanze n. 43 del 2010, n. 134 del 2009, n. 67 del 2007). La non irragionevolezza della soluzione adottata dal legislatore evidenzia la manifesta infondatezza della questione di costituzionalità non sussistendo in alcun modo quel livello di manifesta irragionevolezza o di arbitrarietà che unicamente consente di rimettere alla Corte Costituzionale la questione relativa all’esercizio della discrezionalità legislativa in tema di disciplina di istituti processuali (ex plurimis, ordinanze n. 138 del 2012, n. 141 del 2011).

1.1. – E, sempre in via preliminare, il ricorrente richiede “di sollevare questione di legittimità costituzionale del combinato disposto del D.L. n. 13 del 2017, art. 6, comma 1, lett. g) e art. 21, comma 1 così come convertito nella L. n. 46 del 2017, per violazione dell’art. 3 Cost., comma 1 e art. 77 Cost., comma 2, per mancanza dei presupposti di necessità e urgenza nell’emanazione dello stesso Decreto Legge, per quanto concerne il differimento dell’efficacia temporale e, quindi, dell’entrata in vigore del nuovo rito in materia di protezione internazionale. Vizio rilevante ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4”.

Altrettanto manifestamente infondata risulta la questione di legittimità costituzionale del D.L. n. 13 del 2017, art. 21, comma 1, conv. con modifiche in L. n. 46 del 2017, per difetto dei requisiti della straordinaria necessità ed urgenza poichè la disposizione transitoria – che differisce di 180 giorni dall’emanazione del decreto l’entrata in vigore del nuovo rito – è connaturata all’esigenza di predisporre un congruo intervallo temporale per consentire alla complessa riforma processuale di entrare a regime (v. nn. 17717/18 e 28119/18).

2. – Con il motivo, il ricorrente lamenta la “Violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, comma 1, lett. c) e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”. Nel ricorso introduttivo il richiedente aveva evidenziato che in tutto il territorio nazionale della Nigeria la situazione fosse talmente degenerata e violenta da comportare un grave pericolo per le persone che risiedono sul territorio, legittimante il riconoscimento della protezione sussidiaria. Sicchè il Tribunale avrebbe dovuto confutare la tesi del ricorrente con contrastanti argomenti di fatto, tramite la doverosa attività istruttoria officiosa e acquisendo le informazioni elaborate dalla Commissione Nazionale per il Diritto di Asilo o dal Ministero per gli Affari Esteri. Inoltre, le pagine Internet citate nel decreto del Tribunale si riferiscono agli anni 2014, 2015 e 2016, non risultando aggiornate.

2.1. – Il motivo non è fondato.

2.2. – Deve premettersi che questa Corte ha affermato il principio secondo il quale “in tema protezione internazionale, il dovere di cooperazione istruttoria del giudice, che è disancorato dal principio dispositivo e libero da preclusioni e impedimenti processuali, presuppone l’assolvimento da parte del richiedente dell’onere di allegazione dei fatti costitutivi della sua personale esposizione a rischio, a seguito del quale opera il potere-dovere del giudice di accertare anche d’ufficio se, ed in quali limiti, nel Paese di origine del richiedente, si verifichino fenomeni tali da giustificare l’applicazione della misura, mediante l’assunzione di informazioni specifiche, attendibili e aggiornate, non risalenti rispetto al tempo della decisione, che il giudice deve riportare nel contesto della motivazione, non potendosi considerare fatti di comune e corrente conoscenza quelli che vengono via via ad accadere nei Paesi estranei alla Comunità Europea” (cfr. Cass. 11096 del 2019; Cass. n. 25545 del 2020) Ed è stato altresì ribadito che “Nei giudizi aventi ad oggetto domande di protezione internazionale e di accertamento del diritto al permesso per motivi umanitari, la verifica delle condizioni socio politiche del paese di origine non può fondarsi su informazioni risalenti ma deve essere svolta, anche mediante integrazione istruttoria ufficiosa, all’attualità” (cfr. Cass. n. 28990 del 2018) ed in assoluta continuità, anche con riferimento al dovere officioso di integrazione istruttoria (Cass. 13897 del 2019; Cass. 9230 del 2020; Cass. 9231 del 2020).

Osserva infatti questa Corte che l’obbligo di acquisizione delle informazioni da parte della Commissione Territoriale e del giudice deve essere osservato in diretto riferimento ai fatti esposti ed ai motivi svolti in seno alla richiesta di protezione internazionale, non potendo, per contro, addebitarsi la mancata attivazione dei poteri istruttori officiosi alla ricorrenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione, riferita a circostanze non dedotte dal richiedente.

2.3. – Quanto al danno grave di cui dell’art. 14, lett. c), (minaccia grave ed individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale) in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2014, in causa C-285/12) deve essere interpretato nel senso che il conflitto armato interno rilevi solo se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria.

Il grado di violenza indiscriminata dovrebbe, dunque, raggiungere un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella Regione in questione, per la sua sola presenza nel territorio, correrebbe un rischio effettivo di subire detta minaccia (Cass. n. 13858 del 2018; Cass. n. 25083 del 2019).

2.4. – Vero, allora, che il dovere di cooperazione istruttoria, rappresenta una peculiarità processuale del giudizio di protezione internazionale che il giudice di merito deve adempiere d’ufficio, fondando la propria decisione su fonti informative attendibili (e cioè riconducibili a quanto predicato dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3), idonee allo scopo informativo rispetto alla vicenda narrata ed aggiornate alla data della decisione, in ragione della rapida mutevolezza delle condizioni sociopolitiche, economiche, climatiche e sanitarie dei paesi di provenienza dei richiedenti asilo. Vero è, del pari, che ove il giudice di merito non si attenga a tale principio in relazione all’aggiornamento delle fonti utilizzate, è sufficiente che la censura che il ricorrente prospetta in sede di legittimità evidenzi la non attualità delle fonti, in quanto la data di esse costituisce un elemento oggettivo che non necessita di ulteriori specificazioni critiche, “pur essendo necessario che venga allegata una condizione attuale del paese di origine diversa e più grave di quella rappresentata dalle informazioni (erroneamente) utilizzate” (il ricorrente, pertanto, non ha alcun onere di indicare specificamente, riportandone il contenuto, fonti alternative a quelle utilizzate, non essendo tenuto a supplire ad una carenza istruttoria che costituisce oggetto di uno specifico obbligo ex lege del giudice di merito).

3. – Il ricorso va rigettato. Nulla per le spese del Ministero dell’Interno, che non ha svolto idonea attività difensiva. Va emessa la dichiarazione D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1-quater.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Il D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 1 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 18 marzo 2021

 

 

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