Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 770 del 13/01/2017

Cassazione civile, sez. II, 13/01/2017, (ud. 18/10/2016, dep.13/01/2017),  n. 770

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

LA FINANZIARIA TRENTINA s.p.a., in persona del legale rappresentante

pro tempore, B.L. e F.M., rappresentati e

difesi, in forza di procura speciale in calce al ricorso, dagli Avv.

Eutimio Monaco e Francesco Tedeschini, con domicilio eletto nello

studio di quest’ultimo in Roma, via XXIV Maggio, n. 43;

– ricorrenti –

contro

COMMISSIONE NAZIONALE PER LE SOCIETA’ E LA BORSA – CONSOB, in persona

del presidente pro tempore, rappresentata e difesa, in forza di

procura speciale a margine del controricorso, dagli Avv. Salvatore

Providenti e Gianfranco Randisi, con domicilio eletto presso la

propria sede in Roma, via G.B. Martini, n. 3;

– controricorrente –

e nei confronti di:

LADURNER FINANCE s.r.l. e INIZIATIVE GESTIONE INVESTIMENTI SGR

s.p.a., in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore;

– intimate –

avverso il decreto della Corte d’appello di Trento in data 3 aprile

2013;

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 18

ottobre 2016 dal Consigliere relatore Dott. Alberto Giusti;

uditi gli Avv. Francesco Scansano, per delega dell’Avv. Francesco

Tedeschini, Salvatore Providenti e Simona Zagaria, quest’ultima per

delega dell’Avv. Gianfranco Randisi;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale dott. RUSSO Rosario Giovanni, che ha concluso per

l’integrazione del contraddittorio, in subordine per il rigetto del

ricorso e la condanna alle spese e la statuizione sul contributo

unificato.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – In data 7 giugno 2010 la Ladurner Finance s.r.l., la Finanziaria Trentina s.p.a. e la Iniziative Gestione Investimenti s.p.a. acquistavano dal Banco Popolare Luxembourg, rispettivamente, n. 400.000, n. 500.000 e n. 100.000 azioni della Greenvision Ambiente s.p.a., società quotata in borsa, per il prezzo di Euro 6,20 cadauna; il successivo 11 giugno si teneva l’assemblea di Greenvision per il rinnovo delle cariche sociali e il trasferimento della sede sociale, il cui capitale, per effetto degli acquisti predetti, risultava detenuto dalle tre acquirenti nella complessiva misura del 44,519%; all’esito delle votazioni venivano eletti i sei membri della lista proposta dalla Ladurner (con il voto favorevole anche de La Finanziaria Trentina) e un membro della lista proposta dalla Greenholding s.p.a. (precedente azionista di maggioranza), così realizzandosi il passaggio del controllo della stessa Greenholding alla Ladurner, che per effetto dell’acquisto predetto aveva visto lievitare la propria partecipazione dal 6,828% al 27,449%.

A seguito di tali eventi la CONSOB disponeva, ai sensi del D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, art. 115 – TUF, una verifica ispettiva sia del Gruppo Ladurner che della Finanziaria Trentina, verifica che si concludeva con la contestazione delle seguenti violazioni: 1) art. 122, comma 5, lett. c) e d) TUF, per il ritenuto patto tra le tre società volto all’acquisto congiunto delle azioni della Greenvision al fine di esercitare un’influenza dominante sulla stessa società e in spregio all’obbligo di comunicazione di cui al medesimo art. 122; 2) art. 106, commi 1, lett. b), e art. 109, comma 1 TUF per avere le tre società, con detti acquisti, superato la soglia del 30% del capitale della società quotata in assenza di offerta pubblica; 3) art. 122, comma 4, e art. 110, comma 1 TUF per l’esercizio del diritto di voto, in occasione delle assemblee 11 giugno 2010 e 23 maggio 2011, in presenza di un patto parasociale non comunicato.

Successivamente, all’esito della procedura prevista dal TUF, con provvedimento di data 10 ottobre 2012, la CONSOB comminava a B.L., legale rappresentante della Finanziaria Trentina, e a F.M., nella qualità di direttore generale della stessa società, la sanzione di Euro 135.000 ciascuno, ingiungendo alla Finanziaria Trentina s.p.a., quale soggetto responsabile in solido, il pagamento del complessivo importo di Euro 270.000.

Avverso detto provvedimento il B., il F. e la Finanziaria Trentina ricorrevano con atto depositato il 7 dicembre 2012. Si costituiva la CONSOB, resistendo.

2. – Con decreto depositato il 3 aprile 2013 la Corte d’appello di Trento, in parziale accoglimento dell’opposizione, ha ridotto ad Euro 100.000 la sanzione comminata a F.M. e, per l’effetto, ad Euro 235.000 l’importo al cui pagamento è solidalmente tenuta La Finanziaria Trentina s.p.a., respingendo nel resto il ricorso.

La Corte d’appello ha escluso la denunciata nullità del provvedimento sanzionatorio con riferimento a tre distinti profili procedurali: (a) vizio del procedimento derivante da violazione del contraddittorio e del diritto di difesa; (b) violazione del termine di 180 giorni contemplato dall’art. 195 del TUF per la contestazione degli addebiti a far data dall’accertamento delle violazioni; (c) difetto di legittimazione passiva a rendersi destinatari del provvedimento CONSOB del B. e del F..

Nel merito, la Corte di Trento ha rilevato che la sussistenza del patto appare provata a mezzo di plurimi e convergenti elementi, che consentono di risalire al fatto ignoto e dunque all’accordo per l’acquisto convergente delle azioni Greenvision per poterla poi controllare attraverso una quota maggioritaria così realizzata, acquisto perfezionato contestualmente dal creditore pignoratizio di tutto il pacchetto necessario a modificare, per la sua consistenza, gli equilibri della Greenvision e nell’imminenza della già convocata assemblea per la nomina del consiglio di amministrazione.

Ritenuta ampiamente provata l’attività del F. nella preparazione dell’accordo e nella sua concreta esecuzione, la Corte territoriale ha ritenuto congrua, in relazione alla sanzione comminata al medesimo, la riduzione nel minimo edittale, anche in relazione ai ruoli, ben diversi, rivestiti dai due incolpati.

3. – Per la cassazione del decreto della Corte d’appello la Finanziaria Trentina, il B. ed il F. hanno proposto ricorso, con atto notificato l’8 giugno 2013, sulla base di sei motivi.

La CONSOB ha resistito con controricorso.

In prossimità dell’udienza entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo i ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione dell’art. 195, comma 1 TUF e della L. 24 novembre 1981, n. 689, artt. 12 e 14. Avrebbe errato la Corte d’appello a ritenere che la contestazione degli addebiti del 25 ottobre 2011 sia avvenuta nel rispetto del termine di legge di 180 giorni rispetto al momento in cui, non prima del 28 aprile 2011, risulterebbe ragionevolmente concluso il procedimento di accertamento delle violazioni contestate. Ad avviso dei ricorrenti, sarebbe dimostrato per tabulas che la CONSOB già alla fine di ottobre 2010 aveva acquisito tutti gli elementi, le dichiarazioni e i documenti che sei mesi dopo sono stati riportati nella relazione ispettiva datata 18 aprile 2011 e, un anno dopo, sono stati posti a fondamento della lettera di contestazione degli addebiti datata 25 ottobre 2011. Tutti gli elementi elencati nella lettera di contestazione – si sostiene – sono stati acquisiti dalla CONSOB nel corso delle attività ispettive svolte presso le sedi delle società tra il 25 e il 29 ottobre 2010. Al di fuori di questi elementi, nessun’altra significativa risultanza fattuale o documentale arebbe stata successivamente raccolta. La CONSOB avrebbe impiegato ben sei mesi per elaborare il contenuto di questi elementi ed addivenire alla relazione ispettiva, ritardando di ulteriori dieci giorni prima di procedere all’effettiva ricognizione degli stessi. In ogni caso, ad avviso dei ricorrenti l’accertamento delle condotte sanzionabili dovrebbe considerarsi raggiunto, al più tardi, al momento del deposito della relazione ispettiva e, quindi, in data 18 aprile 2011. La relazione ispettiva sarebbe sufficiente ad integrare l’accertamento e a determinare la decorrenza del termine per la contestazione, venuto a scadenza il 15 ottobre 2011. L’assemblea del 23 maggio 2011, invocata dalla CONSOB nell’intendimento di superare la censura di tardività della contestazione, si collocherebbe al di fuori del perimetro temporale dei fatti oggetto di ispezione e delle condotte oggetto di valutazione.

1.1. – Il motivo è infondato.

La Corte d’appello ha escluso che il dies a quo possa individuarsi nel 29 ottobre 2010, quando cioè è terminata l’ispezione delle società interessate, giacchè quell’attività era rivolta all’acquisizione di ogni necessario elemento, anche documentale, di valutazione, ed abbisognava, poi, di adeguata istruttoria per l’esame delle acquisizioni; ha altresì escluso che l’accertamento debba ritenersi ragionevolmente concluso con lo stesso deposito, il 18 aprile 2011, della relazione ispettiva, avendo ritenuto che – a prescindere della sostanziale identità del testo della relazione rispetto al provvedimento inviato agli interessati – la Commissione non si è limitata ad una mera acquisizione della relazione, ma ha invece svolto, prima di procedere, una autonoma e approfondita valutazione di quelle risultanze e della sufficienza degli elementi istruttori per la configurazione delle violazioni prospettate, nella specie conclusasi nel breve termine di dieci giorni.

La conclusione cui è pervenuta la Corte d’appello all’esito di una ponderata valutazione delle risultanze documentali è conforme alla giurisprudenza di questa Corte di legittimità.

Si è infatti statuito (Cass. n. 25836 del 2011) che, in tema di sanzioni amministrative previste per la violazione delle norme del TUF, il momento dell’accertamento, dal quale decorre il termine di decadenza per la contestazione degli illeciti da parte della CONSOB, non deve essere fatto coincidere, necessariamente e automaticamente, nè con il giorno in cui l’attività ispettiva è terminata, nè con quello in cui è stata depositata la relazione dell’indagine, nè con quello in cui la Commissione si è riunita per prenderla in esame, poichè la “constatazione” dei fatti non comporta di per sè il loro “accertamento”; ne consegue che, mentre la redazione della relazione ed il suo esame debbono essere compiuti nel tempo strettamente indispensabile, senza ingiustificati ritardi, occorre, invece, individuare, secondo le particolarità dei singoli casi, il momento in cui ragionevolmente la contestazione avrebbe potuto essere tradotta in accertamento, momento dal quale deve farsi decorrere il termine per la contestazione stessa.

Nella specie la Corte d’appello ha compiuto un’indagine diretta a stabilire, tenuto conto della complessità della materia e delle particolarità del caso concreto, il momento in cui ragionevolmente la constatazione si è tradotta, o si sarebbe potuta tradurre, in accertamento, ed ha ritenuto adeguato il breve lasso di tempo di dieci giorni intercorrente tra il deposito della relazione ispettiva e la valutazione della stessa da parte della Commissione.

Si tratta di una valutazione congrua e improntata a ragionevolezza.

Il motivo di ricorso finisce con il risolversi in una richiesta di rinnovata valutazione della adeguatezza del tempo impiegato dalla Commissione: il che fuoriesce dal sindacato del giudice di legittimità, appartenendo in pieno all’ambito del giudizio di fatto di competenza del giudice di merito.

2. – Con il secondo mezzo i ricorrenti denunciano violazione dell’art. 195, comma 2 TUF e conseguente illegittimità del decreto per violazione dei principi di piena partecipazione al procedimento, del contraddittorio, della conoscenza degli atti istruttori, della separazione tra fase istruttoria e fase decisoria, nonchè violazione della L. 28 dicembre 2005, n. 262, art. 24, comma 1, dell’art. 6 della CEDU e dell’art. 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Avrebbe errato la Corte d’appello a non dichiarare la nullità del provvedimento CONSOB per violazione del principio del contraddittorio derivante dalla omessa trasmissione agli interessati delle conclusioni dell’Ufficio sanzioni amministrative della CONSOB. Nel caso in cui non sia riconosciuto il contrasto del decreto con la L. n. 262 del 2005, art. 24, comma 1, i ricorrenti formulano istanza di rinvio pregiudiziale dinanzi alla Corte di giustizia, affinchè si esprima sulla compatibilità con il diritto dell’Unione di quanto previsto dalla normativa nazionale.

2.1. – Il motivo è infondato.

La Corte di Trento ha rigettato l’eccezione relativa alla lesione del principio del contraddittorio, rilevando che questo non è compromesso dall’omessa trasmissione agli interessati delle conclusioni dell’Ufficio sanzioni amministrative della CONSOB e che nel caso di specie gli opponenti hanno avuto ampia possibilità di svolgere le proprie difese, sia rispetto alla relazione istruttoria che al provvedimento di contestazione delle infrazioni.

Ora, la questione della mancata comunicazione agli interessati della relazione conclusiva rimessa alla CONSOB dall’Ufficio sanzioni amministrative, con particolare riguardo alla compatibilità di tale mancata previsione con il principio del contraddittorio (del quale i principi della piena conoscenza degli atti istruttori e della distinzione tra funzioni istruttorie e funzioni decisorie costituiscono articolazioni specifiche) è stata definita dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 20935 del 2009, ove si è appunto affermato che, ai fini del rispetto del principio del contraddittorio, è sufficiente che venga effettuata la contestazione dell’addebito e siano valutate le eventuali controdeduzioni dell’interessato; con la precisazione che i precetti costituzionali riguardanti il diritto di difesa (art. 24 Cost.) e il giusto processo (art. 111 Cost.) riguardano espressamente e solo il giudizio, ossia il procedimento giurisdizionale che si svolge avanti al giudice e non il procedimento amministrativo, ancorchè finalizzato all’emanazione di provvedimenti incidenti su diritti soggettivi; cosicchè l’incompleta equiparazione del procedimento amministrativo a quello giurisdizionale non viola in alcun modo la Costituzione.

Il Collegio ritiene che tale conclusione – ribadita da questa Sezione, da ultimo, con la sentenza n. 8210 del 2016 ed alla quale la decisione della Corte territoriale risulta perfettamente allineata – sia da condividere e vada mantenuta ferma, nonostante le indicazioni offerte dalla Corte EDU con la sentenza 4 marzo 2014 Grande Stevens c. Italia.

Con detta pronuncia, come è noto, la Corte EDU – premesso che la sanzione amministrativa prevista dall’art. 187-ter, comma 1 TUF deve considerarsi appartenente alla “materia penale”, con la conseguenza che il procedimento per la relativa irrogazione deve conformarsi al disposto dell’art. 6 della Convenzione EDU – ha affermato che il procedimento seguito dalla CONSOB per l’applicazione di tale sanzione ai ricorrenti contrastava con i principi fissati dal suddetto art. 6 della Convenzione “soprattutto per quanto riguarda la parità delle armi tra accusa e difesa ed il mancato svolgimento di una udienza pubblica che permettesse un confronto orale” (punto 123); ciò in quanto, da un lato, il documento che conteneva le conclusioni dell’Ufficio sanzioni, destinato a servire poi da base alla decisione della Commissione, non era stato comunicato ai ricorrenti (punto 117) e, d’altro lato, questi ultimi non avevano avuto la possibilità di partecipare all’unica riunione tenuta dalla Commissione, alla quale non erano ammessi (punto 118).

Nella medesima sentenza tuttavia, sulla scorta della pregressa giurisprudenza della stessa Corte EDU, si precisa che le carenze di tutela del contraddittorio che caratterizzino un procedimento amministrativo sanzionatorio non consentono di ritenere violato l’art. 6 della Convenzione EDU quando il provvedimento sanzionatorio sia impugnabile davanti ad un giudice indipendente ed imparziale, che sia dotato di giurisdizione piena e che conosca dell’opposizione in un procedimento che garantisca il pieno dispiegamento del contraddittorio delle parti (punti 138 e 139).

In sostanza, in continuità con la citata sentenza n. 8210 del 2016 di questa Sezione, deve affermarsi che – in materia di irrogazione di sanzioni che, pur qualificate come amministrative, abbiano, alla stregua dei criteri elaborati dalla Corte EDU, natura sostanzialmente penale – gli Stati possono scegliere se realizzare le garanzie del giusto processo di cui all’art. 6 della Convenzione EDU già nella fase amministrativa (nel qual caso, nella logica di tale Convenzione, una fase giurisdizionale non sarebbe nemmeno necessaria) o mediante l’assoggettamento del provvedimento sanzionatorio applicato dall’autorità amministrativa (all’esito di un procedimento non connotato da quelle garanzie) ad un sindacato giurisdizionale pieno, di natura tendenzialmente sostitutiva, attuato attraverso un procedimento conforme alle prescrizioni dell’art. 6 della Convenzione. Nel secondo caso, non può ritenersi che il procedimento amministrativo sia illegittimo, in relazione ai parametri fissati dall’art. 6 della Convenzione, e che la successiva fase giurisdizionale determini una sorta di sanatoria di tale originaria illegittimità; al contrario, il procedimento amministrativo, pur non offrendo esso stesso le garanzie di cui all’art. 6 della Convenzione, risulta all’origine conforme alle prescrizioni di detto articolo, proprio perchè è destinato a concludersi con un provvedimento suscettibile di un sindacato giurisdizionale pieno, nell’ambito di un giudizio che assicura le garanzie del giusto processo.

Tanto premesso, risulta decisivo il rilievo che le deliberazioni sanzionatorie adottate dalla CONSOB sono impugnabili davanti alla Corte di appello territorialmente competente e non è dubitabile che la Corte d’appello debba essere considerata, alla stregua dei parametri indicati dalla stessa sentenza Grande Stevens, un giudice indipendente ed imparziale, dotato di giurisdizione piena e davanti al quale è garantita la pienezza del contraddittorio e la pubblicità dell’udienza.

Nè, sotto altro aspetto, nel presente giudizio possono rilevare le affermazioni svolte nella sentenza del Consiglio di Stato n. 1596/15 in ordine alla illegittimità del procedimento sanzionatorio della CONSOB (v., ancora, il citato precedente di questa Corte n. 8210 del 2016), tanto più che dette valutazioni non si sono tradotte in alcuna statuizione di annullamento del regolamento contenente la previgente disciplina del procedimento sanzionatorio CONSOB, giacchè il decisum della sentenza del Consiglio di Stato n. 1596/15 si risolve in una declaratoria di inammissibilità del ricorso delle parti private per carenza di interesse.

Alla stregua delle esposte considerazioni deve dunque escludersi che la lamentata mancanza di comunicazione agli interessati della relazione dall’Ufficio sanzioni amministrative possa anche astrattamente collidere con la L. n. 262 del 2005, art. 24, comma 1, e costituire violazione dei principi di cui all’art. 6 della Convenzione EDU e dell’art. 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea o ponga problemi di compatibilità con il diritto dell’Unione europea.

3. – Il terzo mezzo lamenta violazione e falsa applicazione dei principi di personalità e colpevolezza sanciti dalla L. n. 689 del 1981, art. 3 nelle contestazioni oggetto del provvedimento sanzionatorio (art. 122, commi 1 e 4, art. 106, comma 1, art. 109, comma 1, art. 110, comma 1 TUF). Secondo i ricorrenti, le sanzioni contestate a B.L. e a F.M. debbono necessariamente avere come autore la persona giuridica, ossia la Finanziaria Trentina, unico soggetto legittimato a vincolarsi in patti parasociali e deputato alle conseguenti comunicazioni societarie che non possono essere espressione della volontà di chiunque, ma debbono essere espressione della volontà sociale. Le violazioni contestate non sarebbero ascrivibili alle persone fisiche, non rientrando nè nella categoria di illeciti finanziari commettibili da chiunque, nè nella categoria di illeciti finanziari commetti-bili attraverso una attività professionale intellettiva ascrivibile ad un comportamento di un operatore qualificato. Il difetto di legittimazione passiva delle persone fisiche B. e F. avrebbe dovuto essere fatto discendere dalla mancanza di qualsiasi potere delle due persone fisiche idoneo a vincolare la Finanziaria Trentina.

3.1. – Il motivo è infondato, perchè per gli illeciti amministrativi contestati relativi alla disciplina dell’obbligo di comunicazione dei patti parasociali alla CONSOB, dell’obbligo di offerta pubblica totalitaria e dell’esercizio di voto per titoli eccedenti – si applica lo schema di imputabilità valido per tutti gli illeciti amministrativi: autore della violazione è la persona fisica che ha materialmente agito nell’esercizio delle proprie funzioni ed incombenze e ad essa viene applicata la sanzione, mentre la persona giuridica per conto della quale la stessa ha agito è obbligata al pagamento della sanzione in via solidale.

Esente dalle censure articolate con il motivo si mostra, pertanto, la decisione della Corte territoriale.

Essa ha infatti puntualmente evidenziato che le norme che vengono nella specie in esame – a differenza di altre, anche di recente introdotte, che individuano la diretta responsabilità dell’ente (art. 192-ter e art. 193, comma 1 TUF) – adottano espressioni onnicomprensive (art. 192, comma 1 TUF) o generiche (art. 193, comma 2), sicchè le condotte tipizzate possono essere integrate da chiunque, seppure nella ricorrenza del necessario criterio di collegamento con l’ente: collegamento nella specie ritenuto, con congrua motivazione, sussistente per entrambe le persone fisiche sanzionate (il B., quale legale rappresentante della Finanziaria Trentina, e il F., quale direttore generale addetto a funzioni dirigenziali e non certo meramente esecutive o amministrative).

4. – Con il quarto motivo si denuncia omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, deducendosi la illegittimità della sanzione irrogata in relazione alla partecipazione all’assemblea del 23 maggio 2011. Secondo i ricorrenti, il diritto di voto esercitato nel corso dell’assemblea di Greenvision Ambiente s.p.a. del 23 maggio 2011 non sarebbe in alcun modo ascrivibile agli eventi di cui è causa, nè afferirebbe ad una condotta illecita da cui possa desumersi la continuazione delle violazioni amministrative asseritamente riscontrate dalla CONSOB. Infatti, la Finanziaria Trentina avrebbe partecipato all’assemblea della Greenvision tramite F.M., delegato da B.L., nella sua qualità di presidente del consiglio di amministrazione, unicamente al fine di votare in favore dell’approvazione del bilancio di esercizio, lasciando poi l’assemblea nel momento in cui si deliberava la nomina di un amministratore. Il socio La Finanziaria Trentina avrebbe partecipato all’assemblea al solo fine di votare in favore dell’approvazione del bilancio, atto che non ha alcun collegamento con la governance della società e la cui approvazione era essenziale per Greenvision.

4.1. – Il motivo è infondato.

In caso di mancata comunicazione e pubblicazione di patti parasociali e nel caso di mancato adempimento dell’obbligo di effettuare una offerta pubblica di acquisto – che sono le situazioni che vengono qui in rilievo – l’art. 122, comma 4, e art. 110, comma 1 TUF prevedono il divieto di voto in assemblea.

Tale essendo il quadro normativo di riferimento, non rileva che l’assemblea di Greenvision del 23 maggio 2011 avesse per oggetto l’approvazione del bilancio e che il socio La Finanziaria Trentina abbia partecipato all’assemblea al solo fine di votare in favore dell’approvazione del bilancio, perchè anche in tal caso opera il divieto di legge. E’ infatti da escludere che il voto esercitato possa configurarsi quale atto dovuto sul rilievo che la mancata partecipazione all’assemblea da parte di LFT avrebbe compromesso seriamente l’esito della delibera, ove si consideri che – per previsione codicistica (così l’art. 2369 c.c, in rapporto all’art. 2364 c.c.) – in seconda convocazione l’assemblea ordinaria delibera sugli oggetti che avrebbero dovuto essere trattati nella prima, qualunque sia la parte di capitale rappresentata dai soci partecipanti.

E neppure coglie nel segno la deduzione secondo cui il diritto di voto esercitato nel corso dell’assemblea di GVA del 23 maggio 2011 non sarebbe “ascrivibile agli eventi di cui è causa”, giacchè l’ambito fattuale rilevante nel procedimento sanzionatorio è quello riportato nella contestazione degli illeciti (nella specie formalizzata nell’ottobre 2011), a nulla rilevando che alcune condotte siano successive alla data in cui si è svolta l’ispezione amministrativa.

5. – Il quinto mezzo censura violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c. e art. 2729 c.c. e del principio della concordanza nella valutazione delle prove indiziarie e della congruità della relativa motivazione, nonchè omesso esame di fatti decisivi. Secondo i ricorrenti, la Corte d’appello ha ritenuto provata la sussistenza del patto parasociale tra le società in via presuntiva: ma, anzichè prendere in considerazione tutti i fatti noti emersi, avrebbe valutato unicamente i seguenti indizi: (a) le comunicazioni via e-mail del 6, 20 e 25 maggio 2010; (b) la documentazione distribuita in occasione del consiglio di amministrazione di LFT del 24 maggio 2010. La Corte di Trento non avrebbe incanalato nel medesimo filone interpretativo tutti gli ulteriori elementi (dalla espressione di voto esercitata nell’assemblea dell’11 giugno 2010; al mancato pagamento della parcella del consulente di Ladurner; alle varie integrazioni e determinazioni espresse proprio da B.L. che lasciavano inequivocabilmente intendere che fosse sua intenzione sottrarsi a qualsiasi valutazione convergente o concertata dell’acquisto di azioni Greenvision; alla partecipazione all’assemblea al solo fine di approvare il bilancio; alla circostanza che la vendita in blocco delle azioni di Greenvision fu determinato e voluto dal creditore pignoratizio Banco Popolare Luxembourg) che provavano l’inesistenza di qualsiasi patto parasociale finalizzato ad influenzare la governance di Grenvision. Ad avviso dei ricorrenti, la prova dell’esistenza di un patto parasociale non sarebbe stata affetto fornita, dal momento che gli elementi indiziari individuati, per un verso, non sarebbero affatto univoci e si presterebbero ad una pluralità di interpretazioni e, per l’altro verso, gli stessi non sarebbero affatto idonei a comprovare la sussistenza nè di obblighi e diritti tra Ladurner, LFT e IGI, o di un accordo sul voto che Ladurner, LFT e IGI avrebbero dovuto esprimere nel corso dell’assemblea GVA dell’11 giugno 2010 o sulla futura governance di GVA, nè tantomeno di finalità e obiettivi gestionali condivisi tali da coinvolgere tutti e tre gli asseriti partecipanti all’accordo parasociale; nè, in ottemperanza ai principi comunitari, di una realizzazione concreta, duratura ed effettiva del comportamento successivo alla presunta concertazione; nè, infine, di un nesso causale tra presunta concertazione e comportamento successivo alla stessa.

5.1. – Il motivo è infondato.

Nella specie il giudice del merito ha fondato il proprio convincimento sull’esistenza di un accordo tra le tre società volto al conseguimento del controllo di Greenvision e all’elusione dell’obbligo di offerta pubblica di acquisto prendendo in esame i fatti noti emersi nel corso dell’istruzione, valutandoli tutti insieme e gli uni per mezzo degli altri.

La Corte d’appello ha a tal fine considerato:

– l’e-mail del 6 maggio 2010 con la quale il F. rese noto al B. l’esito dell’incontro avuto, quello stesso giorno, con l’amministratore delegato della Ladurner (Silvestri) riguardo all’operazione che detta società intendeva formalizzare per il controllo della Greenvision (in tale testo evidenziandosi, oltre che l’intreccio azionario che determinava il controllo della società, tutti gli elementi necessari per pervenire al risultato sperato, con l’utilizzo di espressioni dal tenore univoco circa la consapevolezza degli obblighi che una tale operazione imponeva ai partecipanti e che si intendevano invece eludere attraverso un acquisto concordato dei titoli);

– la successiva e-mail dello stesso F. (sempre indirizzata al B.) del 20 maggio 2010, nella quale l’opponente rese noti gli sviluppi dell’operazione (“ha chiamato poco fa il S. dicendomi che ha chiuso oggi a Milano la trattativa con il Banco Popolare a 6 Euro ad azione; nella sua idea dovremmo dividerci i titoli come segue “);

– l’e-mail del 25 maggio 2010 che aggiornò il B. sugli ulteriori sviluppi (“Ladurner firma domani un contratto preliminare d’acquisto successivamente quando tutto sarà perfezionato due loro membri si dimetteranno e lasceranno spazio ad un nostro membro – auspicano che sia Lei – e P. per IGI”);

– infine, la documentazione (“riservata e confidenziale”) distribuita in occasione del consiglio di amministrazione del 24 maggio 2010 (nella quale si legge espressamente, tra l’altro, che “il gruppo Ladurner sta trattando, in joint venture con IGI, che detiene circa il 6% del capitale di Greenvision, l’acquisto del pacchetto in pegno al Banco Popolare 1.000.000 – di azioni per il 17% del capitale – ma si trova nella condizione di non poter acquisire l’intero pacchetto in quanto andrebbe a detenere più di un 30% di Greenvision, facendo scattare l’obbligo di OPA ad un prezzo molto superiore a quello corrente… il gruppo Ladurner ha verificato con La Finanziaria Trentina un potenziale interesse a partecipare all’operazione acquistando parte dei titoli in pegno al Banco Popolare la ripartizione eventuale per l’acquisto di 1.000.000 di azioni… sarebbe la seguente 9.

Il giudice del merito ha fatto ricorso alle presunzioni, non solo procedendo ad una analisi della rilevanza probatoria dei singoli elementi indiziari, ma anche sottoponendoli ad un esame globale e valutandone gravità, precisione e concordanza.

La motivazione adottata al riguardo si appalesa congrua dal punto di vista logico, immune da errori di diritto e rispettosa dei principi che regolano la prova per presunzioni.

I ricorrenti, pur formalmente denunciando un vizio di violazione e falsa applicazione di norme di legge, sollecitano in realtà una diversa ricostruzione dei fatti, non consentita nel giudizio di cassazione, e non considerano che, secondo il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, ratione temporis applicabile, l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora, come nella specie, il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la pronuncia non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8053).

6. – Il sesto mezzo denuncia violazione e falsa applicazione della disciplina dei patti parasociali ex artt. 122 e 101 TUF nella formulazione successiva alla modifica operata con il D.Lgs. n. 146 del 2009 e art. 2341-bis c.c.. Ad avviso dei ricorrenti, i patti parasociali per l’acquisto di azioni dovrebbero essere individuati seguendo un approccio funzionale, circoscrivendo la fattispecie in modo da includervi esclusivamente quei patti con i quali due o più soggetti concertano l’acquisto delle azioni, in vista della futura gestione in comune dei titoli che saranno acquistati: la disciplina richiede l’esistenza di un accordo, il che – si assume – costituisce una netta presa di posizione contro l’ipotizzabile sufficienza di una mera condotta convergente di due o più soggetti. Si sottolinea inoltre che nella statuizione impugnata non risultano indicati, e quindi tanto meno provati, gli obblighi che Ladurner e/o IGI avrebbero assunto nei confronti di LFT e quelli che LFT avrebbe assunto nei confronti di Ladurner e/o IGI.

6.1. – Il motivo è infondato.

La Corte di Trento ha accertato che la Finanziaria Trentina programmò l’acquisto, unitamente a Ladurner e ad IGI, delle azioni Greenvision all’esito di una “istruttoria” condotta dal F. e nella palese consapevolezza che quell’accordo non potesse palesarsi perchè avrebbe determinato una partecipazione nella Greenvision che necessitava dell’offerta pubblica, con tutti i rischi sul prezzo di acquisto e la stessa riuscita dell’operazione, operazione volta, all’evidenza, al controllo della stessa Greenvision attraverso un consiglio di amministrazione espressione della cordata.

Attraverso indizi gravi, precisi e concordanti, il giudice del merito ha individuato sia il contenuto del patto parasociale, consistente nell’acquisto “convergente” delle azioni Greenvision, sia la finalità dello stesso, rappresentata dal conseguimento del controllo, attraverso una quota maggioritaria così realizzata, di tutto il pacchetto necessario a modificare, per la sua consistenza, gli equilibri della Greenvision, nell’imminenza della già convocata assemblea per la nomina del consiglio di amministrazione.

Da tanto consegue che la Corte d’appello ha fatto corretta applicazione della disciplina in materia di patti parasociali e di azione di concerto, essendosi di fronte ad una fattispecie nella quale le società coinvolte hanno pattuito, nella consapevolezza di dover eludere l’obbligo di OPA, l’acquisto della partecipazione di controllo in Greenvision, acquisto funzionalizzato alla gestione in comune della partecipazione e alla nomina del nuovo consiglio di amministrazione.

Non coglie nel segno il rilievo dei ricorrenti secondo cui nella specie mancherebbe la manifestazione di volontà, da parte degli organi competenti della Finanziaria Trentina, al fine di concludere un accordo vincolante verso Ladurner e/o IGI: sia perchè qui si è in presenza di un’intesa parasociale occulta, volta all’elusione degli obblighi di legge, sicchè di nessun rilievo è la circostanza che non sia rinvenibile una formale manifestazione di volontà degli organi societari contenente ogni aspetto, anche di dettaglio, dell’accordo; sia perchè il decreto impugnato ha dato puntualmente atto della documentazione, “riservata e confidenziale”, distribuita in occasione del consiglio di amministrazione della Finanziaria Trentina convocato per deliberare l’acquisto (poi effettuato nei giorni successivi) delle azioni, documentazione che chiaramente indica le finalità dell’operazione.

Nè rileva la mancata individuazione di quali siano state le reciproche controprestazioni e quindi il vantaggio previsto a favore di LFT: posto che – come correttamente osserva la difesa della CONSOB controricorrente – il patto parasociale in questione presenta una struttura associativa, nella quale l’accordo dei paciscenti è rivolto, non ad una finalità di scambio, ma alla realizzazione di una finalità comune, consistente nell’acquisizione del controllo della società e nell’esercizio, sulla stessa, di un’influenza dominante, attraverso la nomina del nuovo consiglio di amministrazione.

7. – Il ricorso è rigettato.

8. L’infondatezza del ricorso rende ultroneo l’esame della questione – sollevata in sede di discussione dal pubblico ministero, al quale ha replicato con osservazioni per iscritto la difesa dei ricorrenti – circa la necessità di rinnovare la notifica del ricorso nei confronti di Ladurner Finance e di Iniziative Gestione Investimenti (notifica avviata in data 8 giugno 2013, a mezzo del servizio postale con plico raccomandato, senza che tuttavia risulti depositata la cartolina di ricevimento), e ciò tanto più che nel presente giudizio si discute esclusivamente dell’opposizione al provvedimento sanzionatorio concernente La Finanziaria, il B. e il F..

9. – Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è respinto, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater al testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione integralmente rigettata.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al rimborso delle spese processuali sostenute dalla CONSOB controricorrente, che liquida in complessivi Euro 7.200, di cui Euro 7.000 per compensi, oltre a spese generali ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda civile, il 18 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 13 gennaio 2017

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