Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7698 del 05/04/2011

Cassazione civile sez. III, 05/04/2011, (ud. 26/11/2010, dep. 05/04/2011), n.7698

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PREDEN Roberto – Presidente –

Dott. UCCELLA Fulvio – Consigliere –

Dott. CHIARINI M. Margherita – rel. Consigliere –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere –

Dott. LEVI Giulio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 22754-2006 proposto da:

B.A. (OMISSIS), M.F.

(OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA G.

PISANELLI 3, presso lo studio dell’avvocato DI MEO STEFANO, che li

rappresenta e difende unitamente all’avvocato CASINI PARIDE giusta

delega a margine;

– ricorrente –

contro

RAS S.P.A. (OMISSIS), in persona dei legali rappresentanti

Dott.ssa R.M., Dott. L.A., elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA PANAMA 88, presso lo studio dell’avvocato

SPADAFORA GIORGIO, che la rappresenta e difende giusta delega a

margine del controricorso;

FONDIARIA SAI S.P.A. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

DELLA CONCILIAZIONE 44, presso lo studio dell’avvocato PERILLI MARIA

ANTONIETTA, che la rappresenta e difende giusta delega in calce al

controricorso;

– controricorrenti –

e contro

BONFANTI ELEVATORI DI BONFANTI & C S.N.C.,

BE.AD.,

ARREDAMENTI VALGANDINO S.R.L.;

– intimati –

sul ricorso 28335-2006 proposto da:

ARREDAMENTI VALGANDINO S.R.L. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

GERMANICO 12 INT. 4, presso lo studio dell’avvocato DI LORENZO

FRANCO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIUDICI

ANTONIO giusta delega a margine del controricorso;

– ricorrenti –

contro

M.F., RAS S.P.A., FONDIARIA SAI S.P.A., B.

A., BE.AD., BONFANTI ELEVATORI DI BONEANTI & C

S.N.C.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 950/2005 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

SEZIONE PRIMA CIVILE, emessa il 12/10/2005, depositata il 03/11/2005

R.G.N. 1294/02;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

26/11/2010 dal Consigliere Dott. MARIA MARGHERITA CHIARINI;

udito l’Avvocato DI MEO STEFANO;

udito l’Avvocato PERILLI MARIA ANTONIETTA;

udito l’Avvocato SPADAFORA GIORGIO;

udito l’Avvocato DI LORENZO FRANCO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Rosario Giovanni che ha concluso con il rigetto dei ricorsi;

compensazione delle spese nei confronti della ricorrente incidentale

e condanna alle spese degli altri resistenti.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 3 novembre 2005 la Corte di Appello di Brescia premetteva: 1) nel pomeriggio del (OMISSIS) b.a., autotrasportatore, dopo aver scaricato nel magazzino della s.r.l.

Arredamenti Valgandino dei mobili, ripreso il camioncino, lo fermava con il motore acceso dinanzi all’ingresso del negozio e rientrava nell’edificio passando però dalla porta secondaria di accesso ai locali – posti su cinque piani e adibiti ad esposizione – attigua a quella principale, su cui erano in corso lavori di ristrutturazione appaltati alla s.n.c. A.M.B.; 2) superata detta porta entrava in un disimpegno e cadeva nella tromba del montacarichi che affacciava su di esso, precipitando per cinque metri, ed ivi era rinvenuto dal figlio del titolare dell’Arredamenti Valgandino, ma durante la stessa notte, a causa delle gravissime lesioni, il Bo. decedeva; 3) nel (OMISSIS) M.F. e R.A. convenivano in giudizio la società Arredamenti Valgandino, la s.n.c. A.M.B. di Bonfanti e & e Be.Ad., caposquadra e dipendente di questa, chiedendo la loro condanna, in solido al risarcimento dei danni derivati dalla morte del loro congiunto, previo accertamento della responsabilità concorrente dell’impresa appaltatrice e della proprietaria dei locali per omissione delle cautele imposte dalla normativa antinfortunistica, e comunque ai sensi dell’art. 2043 cod. civ.; 4) i convenuti attribuivano l’esclusiva causa dell’evento al comportamento del b. e in via subordinata chiedevano di esser manlevate dalle rispettive assicurazioni SAI e Ras; queste, costituitesi, si associavano alle difese dei loro assicurati; 5) il Tribunale, esclusa, ai sensi dell’art. 184 c.p.c., la possibilità di deposito di documenti relativi al procedimento penale, archiviato definitivamente nel 1997, perchè il termine concesso era scaduto il 31 gennaio 1998; ritenuto che l’infortunio era addebitabile all’esclusiva colpa del b. che, per ragioni sconosciute, inopinatamente si era introdotto in locali privati in cui erano manifestamente in corso i lavori, dapprima superando, e poi rimuovendo, lo sbarramento – telone di plastica ripiegato e palo di puntello, scaletta di legno appoggiata sull’anta di battuta della porta – apposto alla porta secondaria e poi entrando nel disimpegno, illuminato, in cui si affacciava la porta del montacarichi, sbarrata da travi a croce di sant’Andrea, e finendo quindi a causa della sua esclusiva condotta, imprevedibile, dentro la cavità sottostante, e ritenuto perciò che non necessitavano ulteriori cautele e che nessun addebito poteva esser attribuibile rigettava la domanda.

Interponevano appello le soccombenti lamentando che erroneamente il Tribunale non aveva applicato le norme antinfortunistiche al luogo in cui si era verificato l’infortunio ritenendo che non fosse di lavoro ai sensi del D.P.R. n. 547 del 1955, art. 10 – a norma del quale “Le aperture esistenti nel suolo o nel pavimento dei luoghi o degli ambienti di lavoro o di passaggio, comprese le fosse ed i pozzi, devono esser provviste di solide coperture o di parapetti normali, atti ad impedire la caduta di persone. Quando dette misure non siano attuabili le aperture devono essere munite di apposite segnalazioni di pericolo. Le aperture nelle pareti, che permettono il passaggio di una persona e che presentano pericolo di caduta per dislivelli superiori ad un metro, devono esser provviste di solida barriera o munite di parapetto normale. Per le finestre sono consentiti parapetti di altezza non minore di cm. 50 quando, in relazione al lavoro eseguito nel locale, non vi siano condizioni di pericolo”.

Rilevavano inoltre che tale norma è volta a proteggere non solo tutti i lavoratori, anche autonomi, ma anche gli estranei, e che la violazione di essa configurava la concorrente responsabilità dell’appaltatore e del committente, pur nell’ipotesi di grave imprudenza del lavoratore, e comunque la colpa ai sensi dell’art. 2043 c.c. in quanto il proprietario imprenditore è obbligato in ogni caso a predisporre strutture idonee ad impedire eventi dannosi.

La Corte di appello rigettava il gravame sulle seguenti considerazioni: 1) doveva esser confermata l’inammissibilità della produzione dei verbali di interrogatorio resi in sede penale dal Be., dal Bo. e dall’ A. – rispettivi titolari della A.M.B. e della Arredamenti Valgandino – perchè il difensore avrebbe potuto produrli tempestivamente; 2) nel merito, pur dovendosi riconoscere che sia il disimpegno sia il vano dell’ascensore ove era caduto il b. costituivano luoghi di lavoro, in essi svolgendosi le opere appaltate alla società A.M.B. per sostituire il pistone del saliscendi e così aumentare la corsa del montacarichi, e pur avendo la sentenza di non doversi procedere del G.I. (del 1990) riconosciuto l’insufficienza delle precauzioni antinfortunistiche adottate per tali lavori, tuttavia il b., entrando in tali locali dopo aver terminato di consegnare la merce, passando da una porta secondaria anzichè dalla principale “forzando in qualche modo la situazione” e cioè rinnovando le cautele apposte dopo che il turno di lavoro era terminato e sospeso fino al giorno successivo, aveva posto in essere una causa dell’incidente del tutto autonoma rispetto ai lavori in corso; 3) infatti dall’istruttoria svolta – testi A.L., A.F., A.C., verbale dei CC intervenuti la sera dell’incidente – era risultato che alla porta di ingresso del locale ove affacciava il montacarichi erano stati apposti un telone di plastica più volte ripiegato, una scala di legno (che soltanto la teste Ma.Fu. non ricordava e Be.Ad. non menzionava, ma riprodotta nelle foto scattate dai verbalizzanti CC la sera stessa dell’infortunio) ed un’asse, aventi funzione di avvisare del pericolo, e che nel vano dell’ascensore (dichiarazioni di Be.Ad.), ed anche nel corridoio secondo i testi A. F., A.C. erano state lasciate accese le luci, da spegnere tutte insieme alla chiusura dell’edificio, e perciò la condotta del b., incomprensibile e imprevedibile, aveva interrotto ogni nesso causale con la mancata osservanza della normativa antinfortunistica di cui al D.P.R. n. 547 del 1955, pur se volta a tutelare anche gli estranei, in quanto la chiusura del cantiere, che costituisce inevitabilmente un luogo di elevato pericolo e rende anche ipotizzabile che alcune cautele siano sospese fino alla ripresa del lavoro, interdice a chiunque di penetrarvi, a meno che sia espressamente autorizzato; 4) quindi, pur essendo le suindicate precauzioni rudimentali – ed infatti tra l’altro le assi a protezione della tromba dell’ascensore erano inidonee a sorreggere il peso di una persona – tuttavia ne segnalavano il pericolo, ed essendo state rimosse dal b., tale condotta è stata da sola sufficiente a provocare l’evento, dovendosi perciò escludere anche la colpa generica dell’appaltatore e del committente poichè costoro avevano ostacolato l’ingresso con l’apposizione del telone, illuminato l’ambiente di lavoro e segnalato il rischio mediante l’apposizione di due assi sul vano montacarichi, nella ragionevole presunzione che essendo sospesi i lavori nessuno entrasse più per quel giorno in quel locale, e non potendo neppure escludersi che il giorno successivo, alla ripresa dei lavori, l’adeguamento presidiarlo potesse esser più adeguato; 5) la delicatezza e le difficoltà della materia del contendere, la peculiarità del caso, l’errata impostazione della sentenza impugnata – che aveva escluso che il luogo dell’incidente fosse assimilabile all’ambiente di lavoro – costituivano gravi motivi per la compensazione integrale delle spese, come già disposto in primo grado.

Ricorrono per cassazione M.F. e R.A. cui resistono la s.r.l. Arredamenti Valgandino, che ha altresì proposto ricorso incidentale, la Sai e la Ras.

I ricorrenti principali ed incidentali e quest’ultima hanno depositato memorie.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- Riuniti i ricorsi ai sensi dell’art. 335 cod. proc. civ., con il primo motivo i ricorrenti principali deducono: “Violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., n. 3 in relazione all’art. 345 c.p.c.) per avere il giudice di appello affermato l’inammissibilità per il divieto di nuovi mezzi di prova di cui all’art. 345 c.p.c. di nuovi documenti senza per di più, averne valutato la loro indispensabilità ai fini della decisione”.

In particolare infatti la preclusione di cui all’art. 184 c.p.c. è endoprocessuale e cioè limitata al primo grado, mentre in secondo grado se i documenti sono necessari per la decisione della causa, poichè sono prove costituite, sono ammissibili, anche indipendentemente dalla possibilità di produrli anteriormente. Nella specie le testimonianze e dichiarazioni assunte non erano univoche nel ritenere l’esistenza di quelle rudimentali cautele – luce non accesa anche nel disimpegno, telone e non asse di sbarramento alla porta di accesso, non chiusa a chiave, mancanza della scala di legno appoggiata all’anta – si che quelle rudimentali cautele ritenute esistenti dalla Corte e tali da escludere il nesso causale con l’inosservanza della normativa antinfortunistica e la colpa del proprietario committente perchè rimosse dal b., venivano meno, mentre d’altro canto la sentenza del 1990 del G.I. aveva affermato l’insufficienza delle precauzioni adottate e non escluso un aggiustamento postumo dello stato dei luoghi atteso il ritardo con cui erano stati chiamati i CC. e quindi almeno per la colpa generica del committente e dell’appaltatore i documenti erano fondamentali per la causa.

Il motivo è inammissibile perchè volto a riproporre la tesi di inadeguate segnalazioni del pericolo del luogo ove si è verificato l’incidente sulla base della valutazione del materiale istruttorio – esaminato dalla Corte di merito che ha valutato la non unanimità del ricordo delle persone sentite sull’esistenza della scala ovvero delle luci accese nel disimpegno – diversa da quella compiuta dai giudici di merito con logica argomentazione si che si risolve in un’inammissibile richiesta di un nuovo esame di merito.

2.- Con il secondo motivo deducono: “Violazione o falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., n. 3 in relazione all’art. 112 c.p.c.) per omessa pronuncia da parte del giudice del riesame sul punto dell’impugnazione con il quale le appellanti avevano censurato la sentenza di primo grado per non aver considerato come luogo di lavoro aziendale quello in cui era avvenuto l’infortunio mortale ai sensi e agli effetti del D.P.R. n. 547 del 1955”, e lamentano che la Corte di merito abbia considerato il disimpegno ed il vano montacarichi luogo di lavoro soltanto in relazione al cantiere A.M.B. e non anche come luogo di lavoro appartenente all’azienda commerciale Arredamenti Valgandino – tanto da limitarsi a qualificare appaltatore la prima e committente la seconda – con la conseguenza che la normativa presa in esame è stata soltanto quella contenuta nel D.P.R. n. 547 del 1955 e non anche nel D.P.R. n. 164 del 1956, mentre dalle dichiarazioni rese dai dipendenti della società Arredamenti risulta che spettava a loro chiudere a chiave la porta secondaria a cui si accedeva dal piazzale alla chiusura di tutti i locali, avendo costoro ammesso altresì che era loro compito proteggere la cavità del vano ascensore ove era caduto il b. ed il punto era rilevante perchè sotto tale profilo questi non era un estraneo bensì un lavoratore autonomo della società Arredamenti, con conseguente obbligo di questa società di renderlo edotto dei pericoli esistenti nell’ambiente di lavoro, atteso che da quella porta secondaria poteva accedersi ai vani superiori ove vi erano i locali per la mostra e agli uffici commerciali, e poichè tale motivo di appello non è stato esaminato dalla Corte di merito, sussiste il vizio denunciato.

2.1- Con il terzo motivo le ricorrenti deducono: “Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia prospettato dalle parti o rilevabile di ufficio (art. 360 c.p.c., n. 5) in ordine alla qualificazione, affermata nell’impugnata sentenza, della condotta tenuta dal b. come imprevedibile, incomprensibile, inconsulta e in quanto tale considerata idonea a far venir meno il nesso causale tra le omissioni, riconosciute dalla Corte, di cautele prescritte per legge e l’evento, e lamentano che la stessa non ha esaminato la censura secondo cui non era affatto imprevedibile che in un giorno o in un’ora in cui l’esercizio era aperto il b. decidesse di passare da quella porta secondaria, esterna e non chiusa a chiave, di cui tutti facevano uso, a fianco dell’ufficio amministrativo a vetri, e da cui era passato anche il b. altre volte, come aveva ammesso A.F., socio e amministratore dell’Arredamenti Valgandino, e che veniva utilizzata per il trasporto mobili per il carico interno e per questo luogo di transito per raggiungere il magazzino. Nè l’aver superato delle rudimentali cautele per passare rende imprevedibile la condotta o esclude il nesso causale tra l’inosservanza della normativa antinfortunistica che prescriveva un’adeguata segnalazione del pericolo e la posa in opera di accorgimenti idonei e l’evento verificatosi e che se fosse stata osservata non sarebbe accaduto. Neppure il non conoscere le ragioni per cui il b. è passato da un passaggio utilizzato altre volte anche da lui stesso e pur se aveva scaricato la merce è circostanza idonea ad escludere il nesso causale tra l’insufficienza delle cautele apposte e l’infortunio mortale.

I motivi, congiunti, sono infondati.

Ed infatti la Corte di merito, con valutazione esauriente ed immune da vizi giuridici, ha evidenziato quali circostanze concrete rendevano del tutto imprevedibile, anche avuto riguardo all’attività di lavoratore autonomo del b. rispetto alla Arredamenti Valgandino, la caduta di costui nel vano montacarichi: a) aveva scaricato la merce in magazzino e se ne era andato, si che lo svolgimento della sua attività di autotrasportatore era divenuta mera occasione dell’accaduto, essendo terminato lo svolgimento di essa; b) agli uffici amministrativi si accedeva dalla porta principale, e al magazzino da un altro percorso, poichè quello dalla porta secondaria era interdetto da alcune cautele, che infatti il b. aveva eliminato per passare nel disimpegno in cui si affacciava il vano montacarichi, anch’esso sbarrato; c) pertanto questa inimmaginabile ed inevitabile condotta aveva interrotto qualsiasi nesso causale con la normativa antinfortunistica, effettivamente non rispettata, ed era assurta a causa efficiente esclusiva dell’infortunio.

Questa decisione è conforme ai principi espressi da questa Corte sia Penale che Civile – Cass. Pen. 2614/2006, 37001/2003, 44206/2001, Cass. Civ. 25028/2008, 26997/2005, 6377/2003, 15047/2007 – e pertanto le censure vanno respinte.

3.- Con il quarto motivo deducono: “Violazione o falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., n. 3 in relazione all’art. 2043 c.c., art. 43 c.p., art. 589 c.p., D.P.R. n. 547 del 1955, artt. 1 e 4 e D.P.R. n. 164 del 1956, art. 1) per aver escluso, in base alla condotta tenuta dall’infortunato, il nesso causale fra l’accertata violazione della normativa antinfortunistica e l’evento dannoso (prodottosi a causa dell’assenza o dell’inidoneità dei presidi antinfortunistici previsti da tale normativa” avendo la Corte di merito riconosciuto la mancanza di idonea segnalazione della zona di pericolo e della protezione dovuta per l’esistenza della tromba del montacarichi profonda 5 metri, priva di parapetto e altre misure idonee ad impedire la caduta e a sorreggere il malcapitato, e tuttavia aver ritenuto causa idonea sufficiente a determinare la disgrazia il comportamento del b., in violazione dei principi secondo i quali la negligenza, imprudenza o imperizia del lavoratore, ovvero la non necessità di recarsi in un luogo di lavoro, non sono elementi idonei ad interrompere il nesso causale con la violazione delle norme antinfortunistiche predisposte per evitare l’evento verificatosi.

Il motivo è inammissibile perchè è volto a richiedere una diversa valutazione delle circostanze di fatto, innanzi richiamate, valutate congruamente e logicamente come idonee ad escludere la prevedibilità del comportamento del b. e il nesso causale con l’attività espletata.

4.- Con il quinto motivo deducono: “Omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia prospettato dalle parti o rilevabile d’ufficio (art. 360 c.p.c., n. 5) a riguardo della congruità degli apprestamenti adottati dal responsabile del cantiere al termine del turno di lavoro giornaliero” per non aver considerato che il luogo ove era avvenuto il sinistro non era interdetto poichè non era stato isolato dal resto dell’azienda che era rimasta aperta e funzionante e non ne era stato impedito l’accesso con la chiusura a chiave che spettava alla società Arredamenti unitamente alla chiusura di tutti i locali, si che le rudimentali cautela apposte dall’appaltatrice ne consentivano comunque l’accesso ed in ogni caso mancavano le barriere anticaduta prescritte.

La censura, volta ad una diversa valutazione delle circostanze di fatto secondo le quali, pur se il pericolo non era adeguatamente segnalato, tuttavia gli accorgimenti apposti erano idonei ad evidenziare che l’accesso non era consentito, è inammissibile.

5.- Con il ricorso incidentale la Arredamenti Valgandino s.r.l.

lamenta la violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. per la genericità ed inconsistenza delle ragioni addotte per la compensazione totale delle spese.

Il motivo è manifestamente infondato alla luce delle ragioni esposte dalla Corte di merito, richiamate in narrativa, logicamente e giuridicamente corrette.

Concludendo i ricorsi vanno respinti.

Le stesse ragioni esposte dalla Corte di merito inducono a compensare le spese tra le ricorrenti principali e la ricorrente incidentale, mentre non vi è luogo a provvedere nei confronti delle società assicuratrici dell’appaltatore e del committente non essendovi nessuna impugnazione nei loro confronti della sentenza di appello e a cui pertanto il ricorso è stato notificato come mera litis denuntiatio.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta. Compensa le spese del giudizio di cassazione tra ricorrenti principali e ricorrente incidentale.

Così deciso in Roma, il 26 novembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 5 aprile 2011

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