Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7697 del 02/04/2014


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 7697 Anno 2014
Presidente: PETTI GIOVANNI BATTISTA
Relatore: AMENDOLA ADELAIDE

SENTENZA

sul ricorso 19131-2010 proposto da:
DANIELE

LIDIA

DNLLDI26T46C002Y,

elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA L. RONCINOTTO l, presso lo
studio dell’avvocato GIORDANELLI IOLANDA, che la
rappresenta e difende giusta mandato in calce;
– ricorrente contro

MILANO ASSICURAZIONI SPA 00957670151, in persona del
legale rappresentante pro tempore Dott. FILIPPO
SARDELLI, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE DI
VILLA GRAZIOLI N. 15, presso lo studio dell’avvocato

Data pubblicazione: 02/04/2014

GARGANI

BENEDETTO,

rappresentata

e

difesa

dall’avvocato CORINA FRANCESCO giusta procura
speciale a margine;
– controricorrente –

avverso la sentenza n. 462/2009 della CORTE D’APPELLO

810/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 31/01/2014 dal Consigliere Dott. ADELAIDE
AMENDOLA;
udito l’Avvocato IOLANDA GIORDANELLI;
udito l’Avvocato ROBERTO CATALANO per delega;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ANTONIETTA CARESTIA che ha concluso
per l’accoglimento;

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di CATANZARO, depositata il 12/06/2009, R.G.N.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con citazione notificata il 25 settembre 1990 Lidia Daniele,
nella qualità di erede del marito Giovanni Quagliata, convenne
innanzi al Tribunale di Cosenza la Compagnia Latina di
Assicurazioni, per ivi sentirla dichiarare tenuta al pagamento

lesioni subite dal coniuge in seguito all’incidente verificatosi
il 22 marzo 1989, con conseguente condanna della convenuta
società al pagamento, in suo favore, della somma di lire 800
milioni o di quella maggiore o minore ritenuta di giustizia.
Espose, a fondamento della domanda, che il Quagliata aveva
stipulato, il 30 dicembre 1984, una polizza di assicurazione
contro gli infortuni la quale prevedeva la liquidazione di un
indennizzo senza deduzione di alcuna franchigia, in caso di
invalidità pari o superiore al 20%, e di un indennizzo uguale
all’intera somma assicurata, in caso di morte o di invalidità
non inferiore all’80%; che il 22 marzo 1989 il marito era
rimasto vittima di un grave incidente stradale a seguito del
quale aveva riportato numerose lesioni; che lo stesso era poi
deceduto il 22 aprile 1990.
Evidenziò quindi che la Compagnia assicuratrice, nonostante i
numerosi solleciti, non si era attivata per sottoporre a visita
l’assicurato né aveva promosso la costituzione del collegio
peritale previsto dal contratto di assicurazione, opponendo – a
giustificazione del rifiuto di pagare – eccezioni pretestuose e
per lo più basate sull’art. 17 delle condizioni generali del

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della indennità per invalidità permanente conseguente alle

contratto,

in

tema

di

intrasmissibilità

agli

eredi

dell’indennizzo per invalidità permanente, clausola, questa, da
ritenersi vessatoria e inoperante perché non approvata
specificamente per iscritto.
Con sentenza non definitiva del 25 marzo 1999 il giudice adito

dell’indennizzo; quindi, con pronuncia del 28 luglio 2000
condannò la convenuta al pagamento in favore della Daniele
della somma di lire 280 milioni, oltre interessi dal 5 luglio
1989 al soddisfo.
Gravate entrambe le pronunzie da gravame principale di Milano
Assicurazioni s.p.a., succeduta a seguito di fusione per
incorporazione a Previdente Assicurazioni s.p.a., cessionaria
del ramo sinistri di Compagnia Latina, e da gravame incidentale
della Daniele, la Corte di appello di Catanzaro con sentenza del
l ° febbraio 2002, rigettò entrambi gli appelli.
Tale decisione, impugnata

hinc et inde

innanzi al Supremo

Collegio, in accoglimento del ricorso principale della Daniele,
fu cassata con rinvio, per nuovo esame, ad altra sezione della
Corte di appello di Catanzaro perché si uniformasse al seguente
principio di diritto: in tema di assicurazione contro i danni,
nel cui ambito deve essere ricondotta l’assicurazione contro gli
infortuni, il debito di indennizzo dell’assicuratore, ancorché
venga convenzionalmente contenuto, nella sua espressione
monetaria, nei limiti di un massimale, configura debito di
valore, non di valuta, in quanto assolve una funzione

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dichiarò il diritto dell’attrice alla corresponsione

reintegrativa

della

perdita

subita

dal

patrimonio

dell’assicurato, e, pertanto, è suscettibile di automatico
adeguamento alla stregua della sopravvenuta svalutazione della
moneta.
Riassunta la causa dalla Daniele, il giudice del rinvio, con
ha condannato la società

assicuratrice al pagamento, in favore di Lidia Daniele
detratti, in ogni caso, gli eventuali acconti già corrisposti della somma di euro 144.607,93,

oltre:

a)

rivalutazione

monetaria, secondo gli indici Istat, dalla data della domanda (5
luglio 1989) e fino alla sentenza di primo grado (28 luglio
2000); b)

interessi legali sulla somma rivalutata anno per anno,

dalla data della domanda, fino alla sentenza di primo grado;

c)

ulteriori interessi legali, a partire da tale sentenza e fino al
soddisfo.
Avverso detta pronuncia ricorre nuovamente per cassazione Lidia
Daniele, formulando due motivi.
Resiste con controricorso Milano Ass.ni s.p.a.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1 Con il primo motivo l’impugnante denuncia violazione dell’art.

1224 cod. civ. Il giudice di merito – sostiene – si era mosso
nell’erronea prospettiva che, a far data dalla sentenza di primo
grado, il debito di valore della società assicuratrice si fosse
trasformato in debito di valuta per effetto della liquidazione
dell’indennizzo effettuata dal Tribunale di Cosenza, laddove
costituiva

ius receptum

che i debiti c.d. di valore – quali

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sentenza del 31 luglio 2009,

l’obbligazione risarcitoria da fatto illecito – si convertono in
debiti di valuta solo nel momento in cui, passata in giudicato
la sentenza che ha effettuato la liquidazione del danno, questa
diventa definitiva, con conseguente assoggettamento del debito
al principio nominalistico ai sensi dell’art. 1224, cod. civ.

Ne deriverebbe, ad avviso dell’esponente, che nella fattispecie,
essendosi il debito di valore trasformato in debito di valuta
con la liquidazione operata dalla Corte d’appello di Catanzaro,
in sede di rinvio, fino a tale momento, dovevano essere
riconosciuti, sulla somma liquidata a titolo di risarcimento, la
rivalutazione e gli interessi di natura compensativa.
Con il secondo mezzo la ricorrente deduce violazione dell’art.
91 cod. proc. civ.
Oggetto delle critiche è la disposta compensazione delle spese
sia del giudizio di cassazione che di quello di rinvio, in
ragione dei contrasti giurisprudenziali esistenti sulle
questioni controverse.
Secondo l’impugnante l’esistenza di tali contrasti sarebbe stata
valida ragione per la compensazione delle spese del solo
giudizio di cassazione, non già anche di quelle del giudizio di
rinvio, in cui non si ravvisava traccia del predetto contrasto,
essendo stato lo stesso già risolto dalla Corte Regolatrice.
E invero, malgrado l’affermato principio di diritto, Milano
Assicurazioni aveva pervicacemente continuato ad opporsi
all’accoglimento della domanda.

6

(confr. Cass. civ. 11 marzo 2004, n. 4993).

4 Le censure, che si prestano a essere esaminate congiuntamente,

sono fondate.
Occorre muovere dalla considerazione che la rigidità del
principio nominalistico sancito dall’art. 1277 cod. civ. è
temperata dalla distinzione, di matrice giurisprudenziale, tra

valuta, ad esso soggetti.
Il debito è di valuta se l’oggetto della prestazione è

origine una somma di denaro determinata o determinabile mediante
una mera operazione aritmetica; ed è di valore se, per contro,
non ha ad oggetto una somma liquida o agevolmente liquidabile,
perché per individuare l’obbligazione che il debitore deve
adempiere è necessaria una operazione di conversione in moneta
del valore di un bene diverso dal denaro: è necessario, cioè,
monetizzare quel bene;
definitiva,

(e

deriva che, fino alla liquidazione

l’importo dovuto varia in dipendenza delle

oscillazioni del “prezzo” del bene della vita considerato.
Il debito di valore, dunque, non è liquido. Esso si converte in
debito di valuta solo al momento della liquidazione.
Tale distinzione assume rilievo ai fini della individuazione
delle conseguenze derivanti dal ritardo nell’adempimento,
perché, con riferimento ai debiti di valuta, trova integrale
applicazione l’art. 1224 cod. civ., in base al quale il
risarcimento del danno non coperto dagli interessi legali, ivi
compreso quello determinato dall’erosione del valore della
moneta, è subordinato alla prova della effettiva sussistenza e

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debiti di valore, sottratti a quel principio, e debiti di

k

della entità di detto danno, di cui è onerato il creditore (con
i temperamenti probatori e i meccanismi presuntivi introdotti da
Cass. sez. un. 16 luglio 2008, n. 19499); invece nei debiti di
valore e, in particolare, nelle obbligazioni risarcitorie, la
quantificazione del danno patito dal creditore per effetto del

dell’esatto ammontare della somma dovuta – id est la traduzione
in termini monetari del valore del bene al momento
dell’insorgere dell’obbligazione (c.d.

taxatio)

e la

rivalutazione della stessa, da effettuarsi, anche d’ufficio
(confr. Cass. civ. 28 gennaio 2013, n. 1889; Cass. civ. 25
febbraio 2009, n. 4587), con riferimento allo scarto temporale
intercorrente tra il momento della nascita del rapporto e quello
della liquidazione. Così individuata la sorte capitale, la somma
da corrispondere, a titolo risarcitorio per il mancato,
tempestivo adempimento, si determina mediante l’applicazione
degli interessi (c.d. compensativi), in un coefficiente ritenuto
adeguato secondo una valutazione equitativa, e quindi non
necessariamente pari al saggio legale. E invero gli interessi
compensativi costituiscono una mera modalità liquidatoria del
danno da ritardo nei debiti di valore, di talché non è
configurabile alcun automatismo nel riconoscimento degli stessi,
posto che tale danno potrebbe, in tesi, non esistere o essere
comunque già coperto dalla somma liquidata in termini monetari
attuali (Cass. civ. 9 ottobre 2012, n. 17155; Cass. civ. 24
ottobre 2007, n. 22347; Cass. civ. 25 agosto 2003, n. 12452.

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ritardo nell’adempimento presuppone la determinazione

5 Se tutto questo è vero, il momento in cui il debito di valore

si converte in debito di valuta non può che essere quello in cui
diventa incontestabile la sua liquidazione, e cioè quello in cui
diventa definitiva la sentenza che tale liquidazione effettua:
sicché da quel momento, e non prima, né dopo, vi è

regolato dall’art. 1224 cod. civ. (cfr. Cass. civ. 11 marzo
2004, n. 4993; Cass. civ. 24 ottobre 1986, n. 6231).
Precipitato logico di tali affermazioni è poi che non è la
sentenza di appello che rende la liquidazione definitiva, ma il
passaggio in giudicato della stessa, di talché, ove la sentenza
di appello sia, come in questo caso, cassata sul punto della
rivalutazione monetaria, la determinazione del debito di valore
è rimessa alla nuova decisione di merito, salvi gli importi
eventualmente già riscossi, nel corso del giudizio, in
esecuzione spontanea o coatta, importi rispetto ai quali il
riferimento va fatto al momento in cui il creditore ne abbia
conseguito disponibilità (Cass. civ. 14 aprile 2011, n. 8507;
Cass. civ. 8 marzo 2005, n. 5008; Cass. civ. 11 marzo 2004, n.
4993; Cass. civ. 16 febbraio 1984, n. 1167).
6 È il caso di aggiungere, per completezza, che non giova alla

resistente società assicuratrice il rilievo che, a suo dire, sia
in citazione che nell’atto di gravame e in quello di
riassunzione, l’istante aveva chiesto l’attribuzione di
svalutazione e interessi fino all’effettivo soddisfo: non par
dubbio infatti che il sintagma è indicativo di una domanda

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l’assoggettamento del debito al principio nominalistico,

volta a conseguire il ristoro integrale del danno subito,
considerato anche che la conversione del debito di valore in
debito di valuta non pone fine alla storia, ma, come
precedentemente detto, determina solo l’assoggettamento della
somma dovuta alla disciplina dettata dall’art. 1224 cod. civ.
Meritevoli di accoglimento sono anche le critiche alla

disposta compensazione delle spese del giudizio di rinvio,
essendo del tutto illogico il riferimento del decidente a un
contrasto giurisprudenziale al quale aveva posto fine proprio la
sentenza enunciativa del principio di diritto che la Corte
territoriale era chiamata ad applicare, di talché la censura
coglie nel segno, disvelando un vizio valutativo al quale
occorre porre riparo.
8 In definitiva il ricorso deve essere integralmente accolto.

Non ostando alla decisione della causa nel merito la necessità
di ulteriori accertamenti di fatto, la Corte, in applicazione
dell’art. 384 cod. proc. civ., condanna Milano Assicurazioni
s.p.a. al pagamento,

in favore di Lidia Daniele, della

svalutazione monetaria, secondo gli indici Istat e degli
interessi legali sull’importo di euro 144.607,93, rivalutato
anno per anno, dalla data della domanda fino alla pubblicazione
della presente sentenza, detratti gli acconti già corrisposti;
condanna altresì Milano Assicurazioni s.p.a. al pagamento delle
spese del giudizio di rinvio e di quelle del giudizio di
legittimità nella misura di cui al dispositivo.
P.Q.M.

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La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e,
decidendo nel merito, condanna Milano Assicurazioni s.p.a. al
pagamento, in favore di Lidia Daniele, della svalutazione
monetaria, secondo gli indici Istat e degli interessi legali
sull’importo di euro 144.607,93, rivalutato anno per anno, dalla

sentenza, detratti gli acconti già corrisposti; condanna altresì
Milano Assicurazioni s.p.a. al pagamento delle spese del
giudizio di rinvio, liquidate 3.120,00 (di cui euro 120 per
esborsi), oltre IVA e CPA, come per legge, nonché delle spese
del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi euro
13.200,00 (di cui euro 200,00 per esborsi), oltre IVA e CPA,
come per legge.
Roma, 31 gennaio 2014

data della domanda fino alla pubblicazione della presente

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