Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7696 del 30/03/2010

Cassazione civile sez. lav., 30/03/2010, (ud. 11/03/2010, dep. 30/03/2010), n.7696

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE LUCA Michele – Presidente –

Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – rel. Consigliere –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PO 25/B, presso lo

studio dell’avvocato PESSI ROBERTO, che la rappresentata e difende,

giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

T.M.R., B.E., elettivamente domiciliati

in ROMA, PIAZZA DEL FANTE 2, presso lo studio dell’avvocato ACCIAI

COSTANZA, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato CERRAI

UMBERTO, giusta mandato a margine del controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 473/2005 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 05/04/2005 R.G.N. 343/04;

udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del

11/03/2010 dal Consigliere Dott. NOBILE Vittorio;

udito l’Avvocato MARIO MICELI per delega PESSI ROBERTO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ABBRITTI Pietro, che ha concluso per l’inammissibilità per i

conciliati, rigetto nel resto.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 158/2003 il Giudice del lavoro del tribunale di Lucca rigettava le domande proposte da T.M.R. ed B. E. nei confronti della s.p.a. Poste Italiane, dirette all’accertamento della nullità del termine apposto ai contratti di lavoro intercorsi tra le parti, al riconoscimento della esistenza del rapporto a tempo indeterminato e alla condanna della società al pagamento delle mensilità retributive maturate.

Il T. e la B. proponevano appello avverso la detta sentenza, chiedendone la riforma con l’accoglimento delle domande.

La società si costituiva e resisteva al gravame.

La Corte d’Appello di Napoli, con sentenza depositata il 5-4-2005, in accoglimento dell’appello dichiarava la nullità del termine apposto al contratto del T. del (OMISSIS) e della B. del (OMISSIS), dichiarava la esistenza tra le parti del rapporto a tempo indeterminato dalle dette date, condannava la società al risarcimento del danno nella misura delle retribuzioni omesse dalla data di ricevimento della convocazione per il tentativo obbligatorio di conciliazione, oltre rivalutazione e interessi, condannava, infine, la società al pagamento delle spese del doppio grado.

Per la cassazione di tale sentenza la società ha proposto ricorso con due motivi.

Il T. e la B. hanno resistito con controricorso.

Infine la società ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c. nonchè copia del verbale di conciliazione in sede sindacale concluso in data (OMISSIS) tra la società e il T..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorso va dichiarato inammissibile nei confronti del T..

Dal verbale di conciliazione prodotto in copia risulta che le parti hanno raggiunto un accordo transattivo concernente la controversia de qua, dandosi atto dell’intervenuta amichevole e definitiva conciliazione a tutti gli effetti di legge e dichiarando che – in caso di fasi giudiziali ancora aperte – le stesse saranno definite in coerenza con il presente verbale.

Osserva il Collegio che il suddetto verbale di conciliazione si palesa idoneo a dimostrare la cessazione della materia del contendere nel giudizio di cassazione ed il conseguente sopravvenuto difetto di interesse delle parti a proseguire il processo; alla cessazione della materia del contendere consegue pertanto la declaratoria di inammissibilità del ricorso in quanto l’interesse ad agire, e quindi anche ad impugnare, deve sussistere non solo nel momento in cui è proposta l’azione o l’impugnazione, ma anche nel momento della decisione, in relazione alla quale, ed in considerazione della domanda originariamente formulata, va valutato l’interesse ad agire (Cass. S.U. 29 novembre 2006 n. 25278, Cass. 13-7-2009 n. 16341).

Ricorrono, inoltre, giusti motivi, considerato l’accordo intervenuto, per compensare le spese del giudizio di cassazione tra la società e il T..

Il ricorso va poi respinto nei confronti della B. (contratto decorrente dal 2-10-2000 per “esigenze eccezionali” ex art. 8 ccnl 1994 come integrato dall’acc. 25-9-97).

Con il primo motivo la società denuncia violazione ed erronea applicazione della L. n. 56 del 1987, art. 23 e con il secondo motivo lamenta violazione dell’art. 1362 c.c. e segg. nonchè vizi di motivazione in ordine alla interpretazione degli accordi attuativi dell’acc. 25-9-97.

Osserva il Collegio che la Corte di merito, tra l’altro, ha attribuito rilievo decisivo in particolare alla considerazione che:

“deve ritenersi illegittimo il termine apposto al contratto stipulato dalla B. il (OMISSIS), non sussistendo più all’epoca neppure la contrattazione autorizzatoria….; nè l accordo del gennaio 2001 può estendere la sua efficacia, ratione temporis, ai contratti intercorsi in epoca precedente… “.

Tale considerazione – in base all’indirizzo ormai consolidato in materia dettato da questa Corte (con riferimento al sistema vigente anteriormente al ccnl del 2001 ed al D.Lgs. n. 368 del 2001) – è sufficiente a sostenere la impugnata decisione, in relazione alla nullità del termine apposto al contratto de quo (stipulato “per esigenze eccezionali” in data successiva al 30-4-1998), così respingendosi il secondo motivo del ricorso, restando assorbito il primo.

Al riguardo, sulla scia di Cass. S.U. 2-3-2006 n. 4588, è stato precisato che “l’attribuzione alla contrattazione collettiva, L. n. 56 del 1987, ex art. 23 del potere di definire nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli previsti dalla L. n. 230 del 1962, discende dall’intento del legislatore di considerare l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato del lavoro idonea garanzia per i lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro diritti (con l’unico limite della predeterminazione della percentuale di lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli impiegati a tempo indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessità di individuare ipotesi specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a condizioni oggettive di lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare contrattualmente limiti temporali all’autorizzazione data al datore di lavoro di procedere ad assunzioni a tempo determinato” (v. Cass. 4-8-2008 n. 21063, v. anche Cass. 20-4-2006 n. 9245, Cass. 7-3-2005 n. 4862, Cass. 26-7-2004 n. 14011). “Ne risulta, quindi, una sorta di “delega in bianco” a favore dei contratti collettivi e dei sindacati che ne sono destinatari, non essendo questi vincolati alla individuazione di ipotesi comunque omologhe a quelle previste dalla legge, ma dovendo operare sul medesimo piano della disciplina generale in materia ed inserendosi nel sistema da questa delineato.” (v., fra le altre, Cass. 4-8-2008 n. 21062, Cass. 23-8-2006 n. 18378).

In tale quadro, ove però un limite temporale sia stato previsto dalle parti collettive (anche con accordi integrativi del contratto collettivo) la sua inosservanza determina la nullità della clausola di apposizione del termine (v. fra le altre Cass. 23-8-2006 n. 18383, Cass. 14-4-2005 n. 7745, Cass. 14-2-2004 n. 2866).

In particolare, nella specie, come questa Corte ha ripetutamente affermato e come va anche qui enunciato, “in materia di assunzioni a termine di dipendenti postali, con l’accordo sindacale del 25 settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994, e con il successivo accordo attuativo, sottoscritto in data 16 gennaio 1998, le parti hanno convenuto di riconoscere la sussistenza della situazione straordinaria, relativa alla trasformazione giuridica dell’ente ed alla conseguente ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso di attuazione, fino alla data del 30 aprile 1998; ne consegue che deve escludersi la legittimità delle assunzioni a termine cadute dopo il 30 aprile 1998, per carenza del presupposto normativo derogatorio, con la ulteriore conseguenza della trasformazione degli stessi contratti a tempo indeterminato, in forza della L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1” (v., fra le altre, Cass. 1-10-2007 n. 20608, Cass. 27-3-2008 n. 7979, Cass. 18378/2006 cit.).

Tale interpretazione degli accordi attuativi (ed in specie dell’ultimo citato) è fondata sul significato letterale delle espressioni usate che è così evidente e univoco (“in conseguenza di ciò e per far fronte alle predette esigenze si potrà procedere ad assunzioni di personale straordinario con contratto a tempo determinato fino al 30-4-98”) che non necessita di un più diffuso ragionamento al fine della ricostruzione della volontà delle parti (cfr., ex plurimis, Cass. n. 28 agosto 2003 n. 12245, Cass. 25 agosto 2003 n. 12453), mentre, diversamente opinando – ritenendo cioè che le parti non avessero inteso introdurre limiti temporali alla deroga – si dovrebbe concludere che gli accordi attuativi, così definiti dalle parti sindacali, fossero in sostanza “senza senso” (così testualmente Cass. n. 14 febbraio 2004 n. 2866).

Peraltro al riguardo irrilevante è l’accordo del 18 gennaio 2001, invocato dalla società, in quanto stipulato dopo oltre due anni dalla scadenza dell’ultima proroga; ed infatti, ammesso che le parti stipulanti abbiano espresso l’intento di interpretare autenticamente gli accordi precedenti, con effetti di sanatoria delle assunzioni a termine effettuate senza la copertura dell’accordo 25 settembre 1997 (scaduto in forza degli accordi attuativi), considerata la indisponibilità dei diritti dei lavoratori già perfezionatisi, deve comunque escludersi che le parti stesse avessero il potere, anche mediante lo strumento dell’interpretazione autentica (previsto solo per lo speciale settore del lavoro pubblico, secondo la disciplina nel D.Lgs. n. 165 del 2001), di autorizzare retroattivamente la stipulazione di contratti a termine non più legittimi per effetto della durata in precedenza stabilita (vedi, per tutte, Cass. 12 marzo 2004 n. 5141).

Tanto basta per confermare la nullità del termine apposto al contratto de quo e per respingere il ricorso della società nei confronti della B., condannandosi la ricorrente al pagamento delle spese in favore della detta controparte.

P.Q.M.

LA CORTE Dichiara inammissibile il ricorso nei confronti del T. e compensa le spese tra la società e lo stesso; rigetta il ricorso nei confronti della B. e condanna la società al pagamento, in favore di quest’ultima, delle spese, liquidate in Euro 10,00 oltre Euro 2.000,00 per onorari, oltre spese generali, IVA e CPA. Così deciso in Roma, il 11 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 30 marzo 2010

 

 

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