Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7693 del 30/03/2010

Cassazione civile sez. lav., 30/03/2010, (ud. 03/03/2010, dep. 30/03/2010), n.7693

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCIARELLI Guglielmo – Presidente –

Dott. DE RENZIS Alessandro – Consigliere –

Dott. PICONE Pasquale – Consigliere –

Dott. IANNIELLO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. DI CERBO Vincenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE EUROPA 175, presso

lo studio dell’avvocato URSINO ANNA MARIA, (C/O DIREZIONE AFFARI

LEGALI POSTE ITALIANE), che la rappresenta e difende giusta delega a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

P.N., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA XX SETTEMBRE

1, presso lo studio dell’avvocato ANGLANI ANGELO (STUDIO UGHI e

NUNZIANTE), rappresentato e difeso dagli avvocati MASTRORILLI

ESTERINA, BALDUCCI PIERLUIGI, giusta delega a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 183 5/2005 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 07/07/2005 R.G.N. 1684/04;

udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del

03/03/2010 dal Consigliere Dott. IANNIELLO Antonio;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUCCI Costantino che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte d’appello di Bari, con sentenza depositata il 7 luglio 2005, riformando, su appello di P.N., la decisione di primo grado del locale Tribunale in data 6 giugno 2003, ha dichiarato la nullita’ della clausola dell’accordo integrativo del C.C.N.L. applicabile ai dipendenti delle Poste Italiane s.p.a. relativa alla risoluzione automatica del rapporto di lavoro di questi al raggiungimento della massima anzianita’ contributiva; ha dichiarato altresi’ che il P., nato il (OMISSIS) e posto a riposo il 1.1.97, aveva diritto di proseguire il rapporto di lavoro con Poste Italiane sino al 23 febbraio 2006; ha infine condannato la societa’ datrice di lavoro a risarcire i danni al P., nella misura delle retribuzioni perdute dal momento della messa in mora della societa’ creditrice della prestazione.

Avverso tale sentenza propone ora ricorso per Cassazione Poste Italiane s.p.a., con due motivi.

Resiste alle domande P.N. con rituale controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1 – Col primo motivo di ricorso, la societa’ deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 1444 c.c. (recte 1442) e dell’art. 1444 c.c., comma 2.

Premesso che il licenziamento intimato in esecuzione della clausola dell’accordo integrativo indicata non sarebbe nullo ma soltanto annullabile (in cio’ richiamando Cass. 29 dicembre 1999 n. 14697), la ricorrente ne trae la conseguenza dell’applicabilita’ alla relativa ipotesi, che ricorrerebbe con riguardo al P., della prescrizione quinquennale di cui all’art. 1442 c.c., dato che tra la comunicazione del licenziamento e l’azione giudiziaria del P. sarebbero decorsi piu’ di sei anni.

In ogni caso, la societa’ sostiene che sarebbe invocabile la disciplina della convalida dell’atto annullabile di cui all’art. 1444 c.c., comma 2, dato il silenzio serbato dal lavoratore per oltre sei anni (poi indicati in quattro anni all’interno della medesima frase del ricorso) nonche’ il percepimento, medio tempore, dell’indennita’ di buonuscita e della pensione.

Il motivo e’ inammissibile (e nella prima parte frutto addirittura di un refuso, essendo pacifico tra le parti che il lasso di tempo intercorso tra la comunicazione al lavoratore che il rapporto era cessato in forza della clausola contrattuale e la richiesta di prosecuzione del rapporto era inferiore a cinque anni), in quanto contenente censure proposte per la prima parte in questa sede, implicanti l’ampliamento del thema decidendum.

Ne’ dalla sentenza impugnata ne’ dalla narrativa relativa allo svolgimento del processo contenuta nel ricorso per cassazione risulta infatti che la societa’ abbia nei gradi del giudizio di merito eccepito la prescrizione quinquennale dei diritti azionati o sostenuto l’intervenuta convalida del preteso atto di recesso annullabile.

2 – Col secondo motivo di ricorso, la societa’ lamenta che la Corte non abbia ritenuto, sulla base degli elementi di fatto indicati nel primo motivo di ricorso, la formazione di un tacito consenso tra le parti in ordine alla avvenuta risoluzione del rapporto di lavoro.

Il motivo e’ manifestamente infondato.

Costituisce orientamento costante di questa Corte (cfr., ex ceteris, Cass. 10 novembre 2008 n. 26935), a cui questo collegio intende dare continuita’, il rilievo secondo cui nel giudizio diretto all’accertamento di un unico rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato a seguito della illegittima apposizione nel contratto di un termine finale ormai scaduto, la valutazione della esistenza della risoluzione del rapporto per mutuo consenso tacito (costituente eccezione in senso stretto: cfr. Cass. 7 maggio 2009 n. 10526) va operata dal giudice di merito sulla base del concorso di una serie di circostanze di fatto, quali il lasso di tempo trascorso dopo la scadenza dell’ultimo contratto a tempo determinato nonche’ il comportamento tenuto dalle parti ed altre eventuali circostanze significative, dalle quali risulti una chiara e certa volonta’ comune delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo; valutazione di merito le cui conclusioni non sono censurabili in sede di legittimita’ se non per vizi logici o errori di diritto.

Nel caso in esame, la Corte territoriale si e’ attenuta a tale insegnamento, rilevando anzitutto, con articolate e logiche argomentazioni, l’insufficienza, in linea di principio, del solo elemento temporale a sostenere l’avvenuto abbandono da parte dell’interessato della prospettiva e della volonta’ di una ripresa del rapporto di lavoro e valutando, nel caso concreto esaminato, le altre circostanze di fatto indicate dalla societa’ a sostegno del proprio assunto come non incompatibili con la persistenza di tale volonta’.

La difesa della societa’, col richiamare a sostegno del proprio assunto decisioni relative alla valutazione di situazioni di fatto diverse da quella esaminata dalla Corte d’appello di Bari, ripropone sostanzialmente avanti a questa Corte una questione di merito, sostenendo una diversa valutazione delle medesime circostanze di fatto, questione che non e’ consentito porre nuovamente in sede di legittimita’.

Concludendo, in base alle considerazioni svolte, il ricorso va respinto, con le normali conseguenze anche in ordine al regolamento delle spese di questo giudizio di cassazione, come operato in dispositivo.

PQM

LA CORTE Rigetta il ricorso e condanna la societa’ ricorrente a rimborsare al resistente le spese di questo giudizio, liquidate in Euro 19,00 per spese ed Euro 2.500,00, oltre accessori, per onorari.

Cosi’ deciso in Roma, il 3 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 30 marzo 2010

 

 

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