Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7692 del 18/03/2021

Cassazione civile sez. I, 18/03/2021, (ud. 17/12/2020, dep. 18/03/2021), n.7692

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19877/2015 proposto da:

Comune di Lentate sul Seveso (MB), in persona del sindaco pro

tempore, elettivamente domiciliato in Roma, Piazzale Clodio n. 56,

presso lo studio dell’avvocato Pizzi Marcello, che lo rappresenta e

difende, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Bu.Pa., B.L., nella qualità di eredi di

B.G., e Ba.Gi., elettivamente domiciliati in Roma,

Viale Giulio Cesare n. 14 A-4, presso lo studio dell’avvocato

Pafundi Gabriele, che li rappresenta e difende unitamente agli

avvocati Forte Silvia E. M., Pucci Giampaolo, giusta procura in

calce al controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1827/2015 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 28/04/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

17/12/2020 dal Cons. Dott. PARISE CLOTILDE.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 1827/2015 depositata il 28-4-2015 e notificata il 19-5-2015, la Corte d’Appello di Milano, in riforma della sentenza n. 2945/2013 del Tribunale di Monza, ha accolto l’appello principale proposto da B.G. e Gi. nei confronti del Comune di Lentate sul Seveso e ha determinato nella somma di Euro 66.212,07, oltre interessi legali dal 30-5-2012 al saldo, l’indennità dovuta D.P.R. n. 327 del 2001, ex art. 39, dal Comune agli appellanti principali, rigettando l’appello incidentale proposto dallo stesso Comune. La Corte d’appello ha ritenuto che: O fossero sostanzialmente espropriativi, e non conformativi, i vincoli impressi al terreno degli appellanti principali dai Piani Regolatori Generali (di seguito per brevità PRG) del 1983 e del 2002, atteso che in concreto la destinazione del bene ad attrezzature pubbliche – centro di quartiere – e poi, decaduto il primo vincolo per decorso del termine quinquennale, a parcheggi e verde pubblico, con rinnovazione di previsione pubblicistica, rendesse palese la sostanziale insussistenza in capo al privato di un residuo potere edificatorio, pur connesso ad attività pubblicistiche e collettive, anche per la residua parte, non espropriata e sempre destinata a verde pubblico attrezzato, come risultava anche dall’approvazione del PGT del 2011, prevedendo l’art. 53 delle NTA del PRG del 1983 che nelle aree destinare a verde pubblico “… è vietata qualsiasi costruzione stabile, sono ammesse solo attrezzature per gioco all’aperto e costruzioni a carattere provvisorio ed integrativo alla utilizzazione del parco di quartiere” (in base alla c.t.u., pagg. 5 e 7 e all. 6); ii) dei suddetti vincoli, connotati da una rigida destinazione pubblicistica, il D.P.R. n. 327 del 2001, art. 39, non richiedesse necessariamente l’identità di destinazione, dal momento che, per un verso, la pronuncia citata dal primo giudice (Cass. 14774/2012), senza aver affrontato nè affermato l’esigenza di un’identica destinazione dei vincoli, aveva escluso l’indennizzo in un diverso caso in cui la reiterazione non era stata effettivamente approvata con formale delibera e che, per altro verso, si imponesse, anche in ipotesi di vincoli di differente tipologia, una conclusione analoga a quella conseguente dalla declaratoria d’illegittimità della previsione di vincoli preordinati all’esproprio di durata indeterminata senza indennizzo (cfr. Corte Cost. n. 55/1968), in ragione della necessità di assicurare un indennizzo in caso di reiterazione del vincolo dopo la scadenza (cfr. Corte Cost. n. 179/1999 e, di seguito, con l’introduzione del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 39), “pena l’avallo di patenti elusioni dell’obbligo indennitario a fronte dell’indeterminato protrarsi di vincoli sostanzialmente espropriativi”; iii) nel caso di specie il protrarsi ultradecennale dei vincoli avesse ragionevolmente determinato un effettivo danno ai proprietari, in quanto sui beni (un terreno di circa mq. 1.900, sito in centro edificato, destinato da ultimo a “verde pubblico”, che residuava dall’espropriazione di altra parte, più estesa – mq. 3.000 circa – sulla quale era stato realizzato un parcheggio e un collegamento viario pedonale) non residuavano ulteriori effettive possibilità di edificazione; iv) la stessa natura del bene, per estensione e collocazione, ne escludesse la possibilità di un normale o ridotto uso (agricolo o non edificatorio), dal quale i proprietari potessero trarre “un utilità persino superiore a quella ricavabile dall’utilizzo edificatorio dell’area”, contrariamente a quanto dedotto dal Comune, sicchè dall’apposizione del secondo vincolo discendeva non il deprezzamento del suo valore, ma la stessa impossibilità di una sua utile collocazione sul mercato; v) ricorresse il pregiudizio del privato, che, pur non potendo liberamente disporre, per decenni, del bene formalmente mantenuto in sua proprietà, non aveva neppure ottenuto il ristoro economico che gli sarebbe stato dovuto in caso di tempestiva espropriazione; vi) l’entità del pregiudizio potesse essere rapportata al “valore mancato”, secondo la proposta e i calcoli del C.T.U. di per sè non contestati, ossia agli interessi legali sulla somma che sarebbe spettata agli appellanti principali ove anche il terreno sottoposto a vincolo fosse stato espropriato.

2. Avverso questa sentenza, il Comune di Lentate sul Seveso propone ricorso affidato a sette motivi, resistito con controricorso da Bu.Pa. e B.L., quali eredi di B.G., e Ba.Gi..

3. Il ricorso è stato fissato per l’adunanza in Camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c. e art. 380 bis.1 c.p.c.. Le parti hanno depositato memorie illustrative.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.II Comune ricorrente denuncia: A) con i motivi primo e terzo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 39, per avere la Corte d’appello ritenuto i vincoli sostanzialmente espropriativi, mentre erano conformativi, essendo la fattispecie in contestazione sovrapponibile a quella scrutinata da Cass. n. 11218/2015, in considerazione della destinazione dell’area prevista genericamente dal PRG del 1983 e da quello del 2002 ad “attrezzature pubbliche-centro di quartiere” e, di seguito, a “verde pubblico”, e poichè, ad avviso del Comune, era possibile realizzare anche ad iniziativa del privato, eventualmente mediante convenzioni, parchi pubblici, attrezzature culturali e ricreative e posti di ristoro di fruizione collettiva, non ostando a ciò le previsioni generiche dell’art. 53 delle NTA del vecchio PGR e quelle del PRG del 2002, che non escludevano testualmente la realizzazione di opere funzionali alla destinazione di attrezzature pubbliche in centro di quartiere (vecchio PRG) o in zona S – verde pubblico (PRG 2002) ad iniziativa di privati; inoltre i due vincoli che si erano succeduti non erano identici (terzo motivo), ma con diversa destinazione, sicchè non ricorreva reiterazione indennizzabile, come da giurisprudenza amministrativa che richiama; B) con i motivi secondo e quarto, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione e falsa applicazione degli artt. 116 e 132 c.p.c., per avere la Corte territoriale omesso di specificare in base a quali ragioni aveva ritenuto i vincoli sostanzialmente espropriativi, nonostante l’effettiva possibilità per i sigg. B. di sfruttare economicamente il terreno, attrezzandolo per gioco all’aperto con opere integrative all’utilizzazione del parco di quartiere; C) con i motivi quinto, sesto e settimo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 39, nonchè degli artt. 115 e 132 c.p.c., per avere la Corte d’appello ritenuto sussistente il pregiudizio dei privati in assenza di rigorosa prova fornita da questi ultimi, per avere la Corte di merito ritenuto non contestati i conteggi del C.T.U., che il Comune assume di avere censurato, come da note critiche che richiama, per mancanza di chiara esplicitazione dei parametri di calcolo utilizzati e per l’indebita maggiorazione, effettuata dal CTU, del 10% dell’indennità di esproprio potenzialmente riconoscibile agli attori, ed infine per non avere la Corte di merito motivato in ordine alla determinazione dell’indennizzo, pur in assenza di specifica prova dell’effettivo danno.

2. Il primo motivo è fondato.

2.1. Secondo il consolidato orientamento di questa Corte al quale il Collegio intende dare continuità, “la distinzione tra vincoli conformativi ed espropriativi cui possono essere assoggettati i suoli non dipende dal fatto che siano imposti mediante una determinata categoria di strumenti urbanistici, piuttosto che di un’altra, ma deve essere operata in relazione alla finalità perseguita in concreto dell’atto di pianificazione: ove mediante lo stesso si provveda ad una zonizzazione dell’intero territorio comunale o di parte di esso, sì da incidere su di una generalità di beni, nei confronti di una pluralità indifferenziata di soggetti, in funzione della destinazione dell’intera zona in cui i beni ricadono e in ragione delle sue caratteristiche intrinseche, il vincolo ha carattere conformativo, mentre, ove si imponga solo un vincolo particolare, incidente su beni determinati, in funzione della localizzazione di un’opera pubblica, lo stesso deve essere qualificato come preordinato alla relativa espropriazione e da esso deve, pertanto, prescindersi nella qualificazione dell’area, e ciò in quanto la realizzazione dell’opera è consentita soltanto su suoli cui lo strumento urbanistico ha impresso la correlativa specifica destinazione, cosicchè, ove l’area su cui l’opera sia stata in tal modo localizzata abbia destinazione diversa o agricola, se ne impone sempre la preventiva modifica” (tra le tante Cass. n. 23572/2017; Cass. n. 16084/2018). Questa Corte ha altresì chiarito, in fattispecie analoga a quella in disamina (Cass. n. 10325/2016), che la destinazione del piano regolatore generale a “verde pubblico”, pur ordinariamente di carattere conformativo, può rivelarsi, in via eccezionale, come vincolo preordinato all’esproprio – restando quindi irrilevante ai fini della determinazione dell’indennità di espropriazione – al concorrere di tutti i seguenti presupposti: a) che si traduca in un’imposizione a titolo particolare incidente su beni determinati al precipuo fine della precisa e puntuale localizzazione di un intervento edilizio che, per natura e scopo, sia d’esclusiva appropriazione e fruizione collettiva; b) che la relativa realizzazione risulti incompatibile con la proprietà privata e, perciò, presupponga ineluttabilmente, per il suo compimento, l’espropriazione del bene; c) che l’imposizione determini l’inedificabilità del bene colpito e, dunque, lo svuotamento del contenuto del diritto di proprietà, incidendo sul suo godimento, tanto da renderlo inutilizzabile rispetto alla sua destinazione naturale, ovvero da diminuirne in modo significativo il valore di scambio.

2.2. La Corte di merito non ha fatto applicazione dei suesposti principi, al fine di individuare la natura, conformativa o espropriativa, del vincolo di cui trattasi, così incorrendo nella violazione di legge denunziata. La Corte d’appello, secondo quanto esposto nella sentenza impugnata, non ha, infatti, compiuto alcun accertamento di fatto in ordine alla sussistenza dei requisiti oggettivi, di natura e struttura, di cui si è detto e non ha dato conto di aver verificato, in primo luogo, che si trattasse di imposizione a titolo particolare su beni determinati, incompatibile con la proprietà privata, e non di imposizione su una generalità di beni nei confronti di una pluralità indifferenziata di soggetti.

I Giudici d’appello hanno preso in considerazione solo la generale destinazione dell’area, impressa dai piani regolatori generali, per inferirne il carattere espropriativo del vincolo (cfr. pag. n. 2 sentenza), e non hanno indagato sulla funzione della destinazione dell’intera zona in cui i beni ricadono in ragione delle sue caratteristiche intrinseche, nel senso precisato dalle citate pronunce di questa Corte.

3. Dall’accoglimento del primo motivo consegue l’assorbimento di tutti gli altri, che concernono sempre la questione della qualificazione del vincolo, prospettata sotto diversi profili, o che sono dipendenti da detta questione, perchè relativi alla debenza e determinazione dell’indennità di cui al D.P.R. n. 327 del 2001, art. 39.

4. In conclusione, merita accoglimento il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri, con la cassazione della sentenza impugnata nei limiti del motivo accolto e rinvio della causa alla Corte d’appello di Milano, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata nei limiti del motivo accolto e rinvia la causa alla Corte d’appello di Milano, in diversa composizione, anche per la decisione sulle spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 17 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 18 marzo 2021

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