Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 769 del 14/01/2011

Cassazione civile sez. trib., 14/01/2011, (ud. 04/10/2010, dep. 14/01/2011), n.769

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PIVETTI Marco – Presidente –

Dott. MAGNO Giuseppe Vito Antonio – rel. Consigliere –

Dott. MARIGLIANO Eugenia – Consigliere –

Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore p.t, domiciliata in

Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello

Stato che la rappresenta e difende secondo la legge;

– ricorrente –

contro

Eredi Gueli s.r.l., in persona del legale rappresentante p.t. Signor

G.A.M., elettivamente domiciliato in Roma, via

Casetta Mattei, n. 239, presso l’Avvocato Troppa Sergio,

rappresentato e difeso dall’Avvocato Taranto Vincenzo per procura

speciale a margine del controricorso e ricorso incidentale;

– controricorrente –

E sul ricorso n. 13973/06 R.G. proposto da:

Eredi Gueli s.r.l., come sopra rappresentata, domiciliata e difesa;

– ricorrente incidentale –

contro

Agenzia delle entrate, come sopra rappresentata, domiciliata e

difesa;

– intimata –

avverso la sentenza n. 64/21/04 della Commissione tributaria

regionale della Sicilia, Sezione staccata di Caltanissetta,

depositata il 7.2.2005;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

giorno 4.10.2010 dal relatore Cons. Dott. Giuseppe Vito Antonio

Magno;

Udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

BASILE Tommaso, che ha concluso per il rigetto di entrambi i ricorsi.

Fatto

FATTO E DIRITTO

1.- Dati del processo.

1.1.- L’agenzia delle entrate chiede annullarsi, in base ad un solo motivo, la sentenza indicata in epigrafe, con cui la commissione tributaria regionale, rigettando l’appello principale dell’ufficio e quello incidentale della contribuente, Eredi Gueli s.r.l., esercente autotrasporti di linea, conferma la sentenza n. 362/2/1998 della commissione tributaria provinciale di Enna, che aveva – in parziale accoglimento del ricorso presentato dalla menzionata ditta avverso la cartella di pagamento notificata il 5.3.1998, emessa dal locale ufficio delle imposte dirette e recante la somma complessiva di L. 89.230.170 – ritenuto corretta la somma calcolata e versata dalla contribuente a titolo di definizione automatica, L. 30 dicembre 1991, n. 413, ex art. 38 dell’IRPEG relativa agli anni dal 1985 al 1990, salvo una correzione relativa all’imposta dovuta integrativamente per gli anni 1986, 1987 e 1990, versata in misura inferiore a quella minima stabilita per legge.

1.2.- La nominata ditta contribuente resiste mediante controricorso e presenta ricorso incidentale, pure con un solo motivo.

2.- Questioni pregiudiziali.

2.1.- I due ricorsi, principale ed incidentale, debbono essere riuniti ai sensi dell’art. 335 c.p.c., perchè proposti contro la stessa sentenza.

2.2.- L’eccezione di “inammissibilità del ricorso”, sollevata dalla controricorrente e ricorrente incidentale “per l’assoluta incertezza e genericità dei motivi di censura”, sarà esaminata infra, trattando dell’unico motivo di censura formulato dall’agenzia.

3.- Motivi dei ricorsi.

3.1.- L’agenzia delle entrate censura la sentenza della commissione regionale per violazione e falsa applicazione della L. 30 dicembre 1991, n. 413, art. 38 deducendo che, ai sensi del comma 4 della norma citata, la somma da versare al fine di ottenere la definizione automatica di esercizi chiusi in perdita si calcola in base alle perdite esposte nelle relative dichiarazioni dei redditi, non in base al bilancio redatto secondo criteri civilistici; quindi doveva essere calcolata e versata, nel caso specifico, senza tener conto dei contributi, esenti da imposizione diretta, versati dalla Regione per ripianare le perdite di esercizio, che non erano stati riportati in dichiarazione “per la convenienza a far figurare una perdita di esercizio”; non sembrando “possibile adottare un duplice criterio, a seconda della convenienza fiscale, escludendo la loro rilevanza all’atto della presentazione della dichiarazione dei redditi ed ammettendola al momento della presentazione della dichiarazione integrativa, diretta a sanare le precedenti irregolarità”.

3.2.- Con l’unico motivo del ricorso incidentale, la contribuente critica la stessa sentenza per violazione o falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 36 bis e L. n. 413 del 1991, art. 57 oltre che per omessa o insufficiente motivazione, con riferimento all’eccezione – sollevata già in primo grado e ripetuta in appello, una non esaminata dalla commissione regionale (che sarebbe pertanto incorsa anche nella violazione dell’art. 112 c.p.c.) – d’illegittimità della diretta iscrizione a ruolo delle maggiori somme liquidate a seguito di rettifica dei dati contenuti nella dichiarazione integrativa, che invece l’ufficio, interpretando diversamente la norma applicabile, poteva soltanto rigettare o considerare dichiarazione integrativa semplice, non con effetti automatici.

4.- Decisione.

4.1.- Il ricorso principale è fondato e deve essere accolto; il ricorso incidentale è infondato. Per conseguenza, previa cassazione della sentenza impugnata in relazione all’accoglimento, la causa deve essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 1, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, mediante rigetto del ricorso introduttivo proposto dalla contribuente. Le spese dell’intero giudizio debbono essere integralmente compensate fra le parti per giusto motivo, essendo fondata la decisione su questione di diritto che non risulta affrontata in precedenza da questa suprema corte.

5.- Motivi della decisione.

5.1.- L’unico motivo del ricorso principale è ammissibile, non essendo viziato da incertezza o genericità, diversamente da quanto opina la controricorrente. In effetti, è espressa la volontà, ricavabile dal motivo di censura e dall’intero contesto dell’atto, di chiedere a questa suprema corte l’annullamento della sentenza impugnata per “violazione e falsa applicazione” di una norma di legge chiaramente indicata (L. n. 413 del 1991, art. 38, comma 4), interpretata dal giudicante a qua in modo difforme da quello che l’esponente ritiene corretto in base ad argomentati motivi, sufficientemente e specificamente esposti. Sulla diversa interpretazione di detta norma, ritenuta non corretta e perciò puntualmente denunziata dalla ricorrente principale, si fonda peraltro la decisione censurata; sicchè il motivo di ricorso in esame è ad essa immediatamente riferibile.

Ogni questione relativa alle argomentazioni addotte dai giudicante a quo per avallare la propria interpretazione della norma (come il rilievo dato ad alcune disposizioni del T.U. sulle imposte dirette, richiamate nel citato art. 38, comma 4) attiene, peraltro, al merito della censura e non all’ammissibilità del motivo, nel senso meglio chiarito di seguito.

5.1.1.- la L. n. 413 del 1991, art. 38, comma 4 dispone, per quanto interessa, che “Per la definizione automatica dei periodi d’imposta chiusi in perdita… la dichiarazione integrativa deve recare la diminuzione del 30% della perdita dichiarata e deve essere versato un importo pari al 10% della differenza tra la perdita originariamente dichiarata e quella ridotta ai sensi del presente comma”. Nessun dubbio può legittimamente sussistere sull’interpretazione delle espressioni “perdita dichiarata” e “perdita originariamente dichiarata”, essendo del tutto evidente che il legislatore intende riferirsi alle perdite esposte (dichiarate) nella dichiarazione dei redditi relativa ad ogni periodo d’imposta.

5.1.2.- In questo caso infatti, trattandosi di norma di eccezionale favore per il contribuente, il necessario rigore interpretativo (art. 14 disp. prel. c.c; Cass. nn. 14938/2006, 6213/1990) porta inderogabilmente a concludere che le perdite da considerare per il calcolo della somma dovuta a titolo di condono sono quelle, e soltanto quelle, risultanti dalla dichiarazione dei redditi (dichiarate); con esclusione di qualsiasi altra fonte, come per esempio il bilancio societario, redatto asseritamente secondo principi civilistici, le cui risultanze non siano “dichiarate” dal contribuente al fisco, ma anzi si assumano difformi da quelle dichiarate.

5.1.3.- In proposito, resta priva di rilevanza l’affermazione della controricorrente, secondo la quale il calcolo della somma dovuta sarebbe stato fatto con riferimento non “al bilancio come tale, ma al suo risultato come trascritto nel Mod. 760”. Tale affermazione – che cioè i risultati di bilancio, trascritti nella dichiarazione dei redditi, costituissero il contenuto della voce perdite di esercizio – è infatti in contrasto, sul piano del fatto, col contenuto e con la logica delle sentenze di merito, che hanno accolto il ricorso sul punto non perchè i risultati di bilancio erano stati trascritti in dichiarazione, ma perchè tali risultati erano ritenuti (erroneamente, per quanto si è detto) utilizzabili, ai fini del condono, in luogo delle perdite dichiarate. La commissione regionale annota invero, sia pure ad altro proposito, che la contribuente, compilando la dichiarazione integrativa, ben sapeva “di avere indicato somme… diverse rispetto a quelle contenute nella dichiarazione originaria”.

5.1.4.- Il riferimento, contenuto nel comma 4 del citato art. 38, ad alcune norme inserite nelle leggi riguardanti l’imposizione diretta (D.P.R. n. 597 del 1973, art. 8; D.P.R. n. 598 del 1973, artt. 17 e 24; D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, artt. 8 e 102 TUIR), è fatto all’unico scopo di chiarire la natura delle “perdite” dichiarabili, da prendere in considerazione (se dichiarate) per il calcolo della somma dovuta dal contribuente a titolo di definizione automatica; ma non autorizza in alcun modo a ritenere che le perdite – quale che sia la loro natura o comunque siano classificabili in chiave puramente finanziaria – possano essere considerate al fine di operare tale calcolo, se non siano state esposte nella dichiarazione dei redditi.

5.1.5.- Quest’ultima questione, ad ogni modo, è del tutto estranea a questo giudizio, in cui non si controverte circa la correttezza delle dichiarazioni dei redditi presentate dalla società, riguardo alle perdite esposte.

Il fisco da per scontato, infatti, che le perdite di esercizio esposte in dichiarazione dalla contribuente – benchè teoricamente discutibili, dal momento che il contributo regionale, esente da imposta (escluso dalle componenti positive del reddito: D.L. 9 dicembre 1986, n. 833, art. 3 convertito con modificazioni nella L. 6 febbraio 1987, n. 181, le aveva ripianate, e che quindi erano state portate in dichiarazione, secondo la ricorrente, solo per ragioni di convenienza fiscale – fossero conformi alla normativa sopra citata, cui fa riferimento l’art. 38, comma 4.

5.1.6.- Per questa ragione, l’argomento che fa leva sulla legittimità delle perdite dichiarate (se fossero o non fossero conformi alla normativa in materia) è assorbito e precluso da quello riguardante, oggettivamente, la base ed il metodo di calcolo della somma dovuta per la definizione automatica; pertanto, l’agenzia ricorrente non aveva alcun obbligo nè interesse a criticare quella parte della sentenza che pretende, rifacendosi alla normativa richiamata ad altro scopo dal suddetto comma 4, di individuare una base di calcolo (risultante dal bilancio, anzichè dalla dichiarazione dei redditi) diversa da quella indicata, senza possibilità di equivoco, dalla norma agevolativa.

5.1.7- In conclusione, il calcolo della somma dovuta per la definizione automatica, riguardo a periodi d’imposta chiusi in perdita, si fa assumendo le perdite dichiarate, ossia esposte in dichiarazione, diminuite del 30%; la somma da versare è pari al 10% della differenza fra perdita dichiarata e perdita diminuita; non deve essere inferiore, in ogni caso, ai limiti minimi stabiliti dal comma 3 dello stesso art. 38.

Deve pertanto essere accolta, con le conseguenze indicate al par.

4.1, la censura in esame, che ha puntualmente contestato la falsa applicazione di legge concernente l’esatta interpretazione di “perdita dichiarata”.

5.2.- L’unico motivo del ricorso incidentale (par. 3.2) contiene due profili di censura, entrambi infondati.

5.2.1.- Sotto un primo profilo, la contribuente lamenta che il giudicante a quo non avrebbe esaminato la censura di difetto di motivazione della sentenza di primo grado, in ordine all’eccezione d’invalidità dell’iscrizione a ruolo e della cartella di pagamento, perchè il recupero della maggior somma pretesa era stato attuato direttamente, con la procedura stabilita dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis non applicabile estensivamente ad ipotesi diverse da quelle tassative, quindi asseritamente non utilizzabile nel caso specifico, in cui l’ufficio aveva “provveduto ad una vera e propria rettifica dei dati dichiarati dalla contribuente… dando una diversa interpretazione del concetto di perdite rilevanti”.

La questione relativa alla (il)legittima iscrizione a ruolo è chiaramente di carattere preliminare, rispetto a quella concernente l’esatta determinazione della somma da versare. Il fatto che i giudici tributari di merito abbiano deciso la causa senza trattare espressamente la questione preliminare non costituisce, pertanto, omessa pronunzia, bensì rigetto implicito di essa e del corrispondente motivo d’appello (Cass. nn. 10052/2006, 264/2006, 13649/2005 ed altre).

5.2.2.- Sotto altro profilo, riferibile al merito della predetta decisione implicita, la ricorrente incidentale ribadisce la censura d’illegittimità del comportamento dell’amministrazione, che avrebbe rettificato i dati contenuti nella dichiarazione integrativa, in base ad una (contestata) diversa interpretazione della legge, ed avrebbe arbitrariamente iscritto a ruolo una somma maggiore di quella indicata dalla parte, anzichè limitarsi a rigettare (eventualmente) la domanda di condono ovvero a considerarla come dichiarazione integrativa semplice, non con effetti automatici, secondo il principio di conservazione degli effetti giuridici dell’atto (L. n. 413 del 1991, art. 57, comma 1).

Anche questa censura è destituita di fondamento giuridico poichè, da una parte, la presentazione della dichiarazione integrativa, frutto di libera scelta del contribuente (che, nel caso specifico, aveva optato per il “condono tombale”), è irrevocabile (art. 57, comma 1, cit.); d’altra parte, la legge stabilisce (art. 39, comma 3) che “Al controllo delle dichiarazioni integrative ed alla conseguente liquidazione delle imposte dovute in base alle dichiarazioni stesse, provvedono gli uffici delle imposte dirette e i centri di servizio con le modalità di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 36 bis e successive modificazioni”.

La liquidazione della maggior somma dovuta è stata fatta, d’altronde, “sulla base dei dati e degli elementi direttamente desumibili” dalla dichiarazione presentata – ben conosciuti dalla contribuente, come puntualmente annota in sentenza la commissione regionale – e “di quelli in possesso dell’anagrafe tributaria”, in conformità a quanto dispone il comma 2 della norma da ultimo citata;

il calcolo è stato infarti eseguito tenendo conto delle perdite di esercizio esposte nelle dichiarazioni annuali dei redditi, in possesso dell’amministrazione finanziaria (nel caso, per certi aspetti analogo, dell’IVA, cfr. Cass. n. 10262/2008).

5.3.- Segue la decisione, nel senso indicato al par. 4.1.

6. – Dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE DI CASSAZIONE Riunisce i ricorsi. Accoglie il ricorso principale, rigetta il ricorso incidentale. Cassa la sentenza impugnata in relazione all’accoglimento e, decidendo la causa nel merito, rigetta il ricorso introduttivo proposto dalla contribuente. Compensa integralmente fra le parti le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sezione quinta civile – tributaria, il 4 ottobre 2010.

Depositato in Cancelleria il 14 gennaio 2011

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