Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7687 del 30/03/2010

Cassazione civile sez. lav., 30/03/2010, (ud. 25/02/2010, dep. 30/03/2010), n.7687

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE LUCA Michele – Presidente –

Dott. BANDINI Gianfranco – rel. Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso

lo studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato GRANOZZI GAETANO, giusta delega a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

B.M.A., G.A., A.L.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA TRIONFALE 21, presso lo studio

dell’avvocato CASAGNI FEDERICA, rappresentati e difesi dall’avvocato

AVOLA ANDREA, giusta delega a margine dei controricorsi;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 931/2006 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 27/07/2006 R.G.N. 1266/04 + altre;

udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del

25/02/2010 dal Consigliere Dott. BANDINI Gianfranco;

udito l’Avvocato FIORILLO LUIGI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FEDELI Massimo, che ha concluso per: inammissibilita’ per B. e

G., rigetto per A..

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte d’Appello di Palermo, con sentenza del 2.6 – 27.7.2006, previa riunione dei procedimenti, in riforma delle sentenze di prime cure, dichiaro’ che tra gli appellanti A.L., B. M.A. e G.A. e la Poste Italiane spa, per effetto dell’illegittimita’ dei termini finali apposti ai rispettivi contratti di lavoro, erano intercorsi rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato, condannando la parte datoriale alla corresponsione delle retribuzioni maturate dalla data di costituzione in mora sino alla effettiva riammissione in servizio.

Per la cassazione di tale sentenza la Poste Italiane spa ha proposto ricorso fondato su otto motivi.

Gli intimati A.L., B.M.A. e G. A. hanno resistito con distinti controricorsi. In corso di causa sono stati depositati i verbali di conciliazione in sede sindacale stipulati tra la ricorrente e gli intimati B.M. A. e G.A..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Dai ricordati verbali di conciliazione, debitamente sottoscritti dai lavoratori interessati e dal rappresentante della Poste Italiane spa, risulta che le parti hanno raggiunto un accordo transattivo concernente la controversia de qua, dandosi atto dell’intervenuta amichevole e definitiva conciliazione a tutti gli effetti di legge e dichiarando che, in caso di fasi giudiziali ancora aperte, le stesse sarebbero state definite in coerenza con il verbale stesso.

Ad avviso del Collegio i suddetti verbali di conciliazione si appalesano idonei a dimostrare l’intervenuta cessazione della materia del contendere nel giudizio di cassazione ed il conseguente sopravvenuto difetto di interesse delle parti a proseguire il processo. Alla cessazione della materia del contendere consegue la declaratoria di inammissibilita’ del ricorso, in quanto l’interesse ad agire (e, quindi, anche ad impugnare), deve sussistere non solo nel momento in cui e’ proposta l’azione o l’impugnazione, ma anche nel momento della decisione in relazione alla quale, ed in considerazione della domanda originariamente formulata, va valutata la sussistenza di tale interesse (cfr, Cass., SU, n. 25278/2006).

Tenuto conto del contenuto dell’accordo transattivo intervenuto tra le parti, si ritiene conforme a giustizia compensare integralmente le spese del giudizio di cassazione.

2. La sentenza impugnata ha ritenuto l’infondatezza della tesi dell’avvenuta risoluzione del rapporto di lavoro per mutuo consenso in relazione all’inerzia mantenuta dal lavoratore dopo la scadenza del contratto a termine e fino alla manifestazione della volonta’ di ripristinare la funzionalita’ di fatto del rapporto; tale assunto e’ stato censurato dalla ricorrente per violazione di norme di diritto e vizio di motivazione (primo e secondo motivo).

Secondo il condiviso orientamento di questa Corte (cfr, ex plurimis, Cass., n. 23554/2004), nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato (sul presupposto dell’illegittima apposizione al relativo contratto di un termine finale ormai scaduto) per la configurabilita’ di una risoluzione del rapporto per mutuo consenso e’ necessario che sia accertata – sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine, nonche’ alla stregua delle modalita’ di tale conclusione, del comportamento tenuto dalla parti e di eventuali circostanze significative – una chiara e certa comune volonta’ delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo;

la valutazione del significato e della portata del complesso di tali elementi di fatto compete al giudice di merito, le cui conclusioni non sono censurabili in sede di legittimita’ se non sussistono vizi logici o errori di diritto.

Nel caso in esame la Corte di merito, richiamando anche precedenti pronunce di questa Corte, ha ritenuto di disattendere la tesi secondo cui la mancanza di una piu’ tempestiva reazione del lavoratore alla estromissione configurerebbe un suo consenso alla risoluzione del rapporto alla scadenza del termine apposto, osservando, in conformita’ ai principi sulla ripartizione degli oneri probatori, che nessuna prova era stata fornita dalla parte eccipiente (ossia la Poste Italiane spa) in ordine alla sussistenza di circostanze dalle quali avrebbe potuto ricavarsi la volonta’ delle parti di voler porre definitivamente fine al rapporto lavorativo.

Tali conclusioni, in quanto prive di vizi logici o errori di diritto, resistono alle censure mosse in ricorso, restando con cio’ assorbiti i profili di censura relativi alle ulteriori considerazioni della Corte territoriale in ordine alla sussistenza di elementi fattuali rafforzativi della insussistenza di una tacita risoluzione consensuale.

3. Com’e’ pacifico l’intimato A.L. e’ stato assunto in forza di contratto a tempo determinato, successivo al 30.4.1998, stipulato a norma dell’art. 8 del CCNL 26 novembre 1994 e, in particolare, in base alla previsione dell’accordo integrativo del 25 settembre 1997, che prevede, quale ipotesi legittimante la stipulazione di contratti a termine, la presenza di esigenze eccezionali, conseguenti alla fase di ristrutturazione e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso, in ragione della graduale introduzione di nuovi processi produttivi, di sperimentazione di nuovi servizi e in attesa dell’attuazione del progressivo e completo equilibrio sul territorio delle risorse umane.

La Corte territoriale, premesso che il ricordato accordo sindacale del 25 settembre 1997 era disciplinato dalla L. n. 56 del 1987, art. 23 ha attribuito rilievo decisivo, tra l’altro, al fatto che, avendo le parti raggiunto un’intesa originariamente priva di termine, le stesse avevano stipulato accordi attuativi che avevano fissato un limite temporale alla possibilita’ di procedere con assunzioni a termine, limite fissato inizialmente al 31 gennaio 1998 e, successivamente, al 30 aprile 1998; i contratti a termine conclusi per la presenza di esigenze eccezionali, se stipulati, come nel caso che ne occupa, in epoca successiva all’ultimo dei termini sopra indicati, dovevano quindi ritenersi illegittimi. La suddetta impostazione e’ stata ampiamente censurata dalla Societa’ ricorrente (terzo, quarto, quinto e sesto motivo), la quale contesta, in particolare, l’interpretazione data dalla Corte di merito al citato accordo integrativo del 25 settembre 1997 ed agli accordi dalla stessa definiti come attuativi; deduce in particolare che questi ultimi accordi avevano natura meramente ricognitiva.

Le censure della Societa’ ricorrente sono infondate.

Con numerose sentenze questa Corte Suprema (cfr, ex plurimis, Cass., n. 18378/2006), decidendo su fattispecie sostanzialmente identiche a quella in esame, ha univocamente confermato le sentenze dei giudici di merito che hanno dichiarato illegittimo il termine apposto a contratti stipulati, in base alla previsione dell’accordo integrativo del 25 settembre 1997 sopra richiamato (esigenze eccezionali, conseguenti alla fase di ristrutturazione..), dopo il 30 aprile 1998.

Premesso, in linea generale, che la L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23 nel demandare alla contrattazione collettiva la possibilita’ di individuare nuove ipotesi di apposizione di un termine alla durata del rapporto di lavoro, configura una vera e propria delega in bianco a favore dei sindacati, i quali, pertanto, non sono vincolati all’individuazione di figure di contratto a termine comunque omologhe a quelle previste per legge (principio ribadito dalle Sezioni Unite di questa Suprema Corte con la sentenza 2 marzo 2006 n. 4588), e che, in forza della sopra citata delega in bianco, le parti sindacali hanno individuato, quale nuova ipotesi di contratto a termine, quella di cui al citato accordo integrativo del 25 settembre 1997, la giurisprudenza di questa Corte ha ritenuto corretta l’interpretazione dei giudici di merito che, con riferimento al distinto accordo attuativo sottoscritto in pari data ed al successivo accordo attuativo sottoscritto in data 16 gennaio 1998, ha ritenuto che con tali accordi le parti abbiano convenuto di riconoscere la sussistenza fino al 31 gennaio 1998 (e poi, in base al secondo accordo attuativo, fino al 30 aprile 1998), della situazione di cui al citato accordo integrativo, con la conseguenza che per far fronte alle esigenze derivanti da tale situazione l’impresa poteva procedere (nei suddetti limiti temporali) ad assunzione di personale straordinario con contratto a tempo determinato; da cio’ deriva che deve escludersi la legittimita’ dei contratti a termine stipulati dopo il 30 aprile 1998 in quanto privi di presupposto normativo.

E’ stato osservato, in particolare, che la suddetta interpretazione degli accordi attuativi non viola alcun canone ermeneutico, atteso che il significato letterale delle espressioni usate e’ cosi’ evidente e univoco che non necessita di un piu’ diffuso ragionamento al fine della ricostruzione della volonta’ delle parti; infatti nell’interpretazione delle clausole dei contratti collettivi di diritto comune, nel cui ambito rientrano sicuramente gli accordi sindacali sopra riferiti, si deve fare innanzitutto riferimento al significato letterale delle espressioni usate e, quando esso risulti univoco, e’ precluso il ricorso a ulteriori criteri interpretativi, i quali esplicano solo una funzione sussidiaria e complementare nel caso in cui il contenuto del contratto si presti a interpretazioni contrastanti (cfr, ex plurimis, Cass., nn. 12245/2003; 12453/2003).

Inoltre e’ stato rilevato che tale interpretazione e’ rispettosa del canone ermeneutico di cui all’art. 1367 c.c., a norma del quale, nel dubbio, il contratto o le singole clausole devono interpretarsi nel senso in cui possano avere qualche effetto, anziche’ in quello secondo cui non ne avrebbero alcuno; ed infatti la stessa attribuisce un significato agli accordi attuativi de quibus (nel senso che con essi erano stati stabiliti termini successivi di scadenza alla facolta’ di assunzione a tempo, termini che non figuravano nel primo accordo sindacale del 25 settembre 1997); diversamente opinando, ritenendo cioe’ che le parti non avessero inteso introdurre limiti temporali alla deroga, si dovrebbe concludere che gli accordi attuativi, cosi’ definiti dalle parti sindacali, erano “senza senso” (cosi’, testualmente, Cass., n. 2866/2004).

Infine e’ stata ritenuta, nella ricostruzione della volonta’ delle parti come operata dai giudici di merito, l’irrilevanza dell’accordo del 18 gennaio 2001, in quanto stipulato quando il diritto del soggetto interessato si era gia’ perfezionato; ed infatti, anche ammesso che le parti avessero espresso l’intento di interpretare autenticamente gli accordi precedenti, con effetti di sanatoria delle assunzioni a termine effettuate senza la copertura dell’accordo 25 settembre 1997 (scaduto in forza degli accordi attuativi), l’irrilevanza del citato accordo e’ comunque conforme alla regula iuris dell’indisponibilita’ dei diritti dei lavoratori gia’ perfezionatisi, dovendosi escludere che le parti stipulanti avessero il potere, anche mediante lo strumento dell’interpretazione autentica (previsto solo per lo speciale settore del lavoro pubblico, secondo la disciplina nel D.Lgs. n. 165 del 2001), di autorizzare retroattivamente la stipulazione di contratti a termine non piu’ legittimi per effetto della durata in precedenza stabilita (vedi, per tutte, Cass., n. 5141/2004).

I teste’ ricordati orientamenti di questa Corte devono essere pienamente confermati, con effetto assorbente di ogni ulteriore profilo di doglianza sul punto.

4. Con il settimo e l’ottavo motivo di ricorso la ricorrente si duole delle pronunce di carattere risarcitorio.

4.1 La doglianza secondo cui la sentenza impugnata, ritenendo sufficiente ai fini della messa in mora la notifica della richiesta del tentativo di conciliazione, non avrebbe verificato se effettivamente tale costituzione in mora vi fosse stata e’ inammissibile per violazione del principio di autosufficienza del ricorso, non essendo stato ivi riportato il contenuto dell’atto che la Corte territoriale ha ritenuto abbia comportato costituzione in mora.

4.2 La censura con cui la ricorrente si duole che la Corte territoriale abbia dichiarato il diritto dell’odierno intimato al pagamento delle retribuzioni dalla messa in mora, anziche’ dal momento dell’effettiva ripresa del servizio, quale corrispettivo della prestazione lavorativa, e’ da ritenersi infondata in base all’orientamento di questa Corte Suprema (cfr, ex plurimis, Cass., SU, n. 14381/2002; Cass n. 8903/2007), che, con riferimento all’analoga ipotesi della trasformazione in unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato di piu’ contratti a termine succedutisi tra le stesse parti, per effetto dell’illegittimita’ dell’apposizione dei termini o, comunque, dell’elusione delle disposizioni imperative della L. n. 230 del 1962, ha affermato che il dipendente che cessa l’esecuzione delle prestazioni alla scadenza del termine previsto puo’ ottenere il risarcimento del danno subito a causa dell’impossibilita’ della prestazione derivante dall’ingiustificato rifiuto del datore di lavoro di riceverla (in linea generale in misura corrispondente a quella della retribuzione) qualora provveda a costituire in mora lo stesso datore di lavoro ai sensi dell’art. 1217 c.c..

4.3 La censura con cui la ricorrente si duole della mancata considerazione dell’aliunde perceptum investe una questione che la Corte territoriale non ha affatto affrontato.

Trova quindi applicazione il principio secondo cui, poiche’ i motivi del ricorso per Cassazione devono investire, a pena d’inammissibilita’, questioni che siano gia’ comprese nel tema del decidere del giudizio d’appello, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimita’ questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito, tranne che non si tratti di questioni rilevabili d’ufficio, il ricorrente, al fine di evitare una statuizione di inammissibilita’ per novita’ della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione avanti al giudice del merito, ma anche di indicare in quale atto del precedente giudizio lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di cassazione di controllare ex actis la veridicita’ di tale asserzione, prima di esaminarne il merito (cfr, ex plurimis, Cass., n. 2140/2006).

Tale onere non e’ stato assolto dalla ricorrente, che non precisa in che termini e con quale atto la questione anzidetta fosse stata espressamente devoluta (art. 346 c.p.c.) al giudizio della Corte territoriale, limitandosi ad indicare di avere vanamente reiterato in secondo grado le istanze istruttorie gia’ asseritamente svolte in prime cure; la censura all’esame deve quindi ritenersi inammissibile.

5. In forza delle considerazioni che precedono il ricorso proposto nei confronti di A.L. va dunque rigettato. Trattandosi di controversia concernenti problematiche sulle quali questa Corte ha gia’ espresso orientamenti assolutamente consolidati, si ritiene conforme a giustizia applicare il criterio della soccombenza; per l’effetto la Societa’ ricorrente va condannata al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, in favore del controricorrente A.L..

PQM

LA CORTE Dichiara inammissibile il ricorso proposto nei confronti di B. M.A. e G.A. e compensa le spese; rigetta il ricorso proposto nei confronti di A.L. e condanna la ricorrente a rifondergli le spese di lite, che liquida complessivamente in Euro 27,00 oltre ad Euro 2.000,00 (duemila/00) per onorari ed accessori di legge.

Cosi’ deciso in Roma, il 25 febbraio 2010.

Depositato in Cancelleria il 30 marzo 2010

 

 

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