Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7685 del 18/03/2021

Cassazione civile sez. VI, 18/03/2021, (ud. 16/12/2020, dep. 18/03/2021), n.7685

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LEONE Margherita Maria – Presidente –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18308-2020 proposto da:

ZETAGIEFFE S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE PARIOLI 44 presso lo studio

dell’avvocato TANIA ENZA CASSANDRO che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

B.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PISANELLI

n. 1, presso lo studio dell’avvocato BIAGIO BERTOLONE, che lo

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1052/2020 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 19/05/2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 16/12/2020 dal Consigliere Relatore Dott. ALFONSINA

DE FELICE.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

la società Zetagieffe s.r.l. domanda la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Roma, che in riforma della sentenza di primo grado, ha accertato la natura subordinata della prestazione resa da B.F., formalmente qualificato come collaboratore coordinato e continuativo;

la Corte territoriale ha rilevato la sussistenza degli indici della subordinazione ed ha, comunque, applicato la presunzione di subordinazione in assenza di un progetto, secondo quanto stabilito dal D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 69, comma 1, norma operante ratione temporis dal settembre 2011, ed antecedente alle modifiche introdotte dal D.L. n. 76 del 2013, conv. in L. n. 99 del 2013;

la sentenza ha altresì dichiarato illegittimo il licenziamento intimato al B. per violazione della L. n. 604 del 1966, art. 2, comma 2, condannando la società alla reintegra e alle obbligazioni risarcitorie conseguenti;

la Zetagieffe s.r.l. ha affidato le proprie ragioni a quattro motivi, illustrati da successiva memoria;

B.F. ha depositato tempestivo ricorso;

è stata depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

col primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la ricorrente contesta “Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2697,2725 e 2729 c.c., e del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 62, nel suo antecedente alle modifiche apportate dal D.L. n. 76 del 2013, convertito nella L. n. 99 del 2013, applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame”; la Corte territoriale avrebbe errato nel ritenere che la prova della natura del rapporto dovesse essere dedotta necessariamente dal contratto scritto piuttosto che da elementi forniti aliunder atteso che in base alla norma applicabile ratione temporis alla fattispecie la forma scritta del contratto era prevista ad probationem e non ad substantiam;

col secondo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la ricorrente denuncia “Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 69 comma 1, nel suo testo antecedente alle modifiche apportate dalla L. 28 giugno 2012, n. 92, applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame”, per avere la Corte erroneamente applicato la conseguenza sanzionatoria della presunzione di subordinazione asserendo che essa deriva non dalla mancanza del contratto, ma dall’assenza di prova in giudizio dell’esistenza di un rapporto di lavoro autonomo;

col terzo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, lamenta “Omesso esame dell’assoluta libertà del B. nella scelta dei giorni e degli orari di lavoro, nonchè della massima valorizzazione dell’attrattiva dei prodotti, attestante la natura autonoma del rapporto di lavoro, quale emerge documentalmente dalla corrispondenza intercorsa tra il 18.03.2014 ed il 25.01.2016 prodotta in atti e dalle stesse dichiarazioni rese dagli informatori escussi”;

col quarto motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, denuncia “Violazione e/o falsa applicazione della L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 18, comma 2”, per non avere, il giudice dell’appello, detratto Valiunde perceptum per lo svolgimento di altre attività successivamente al licenziamento;

si esamina per primo il terzo motivo di ricorso per ordine logico: con esso parte ricorrente lamenta l’omesso esame di circostanze attestanti la natura autonoma del rapporto (come la possibilità del lavoratore di scegliere i giorni e l’orario di lavoro);

il motivo è inammissibile;

le Sezioni Unite di questa Corte hanno precisato che “nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie” (Sez. Un. 8053 del 2014);

la formulazione della doglianza da parte del ricorrente finisce per denunciare non già l’omesso esame di un fatto storico decisivo, bensì la mancata valorizzazione di risultanze istruttorie, che si assumono erroneamente valutate dalla Corte territoriale;

il primo e il secondo motivo, esaminati congiuntamente per evidente connessione, sono inammissibili;

la sentenza impugnata, quanto alle circostanze ivi oggetto di contestazione, ha espresso due rationes decidendi: la prima afferma che sussistono gli indici della subordinazione del rapporto di lavoro del B.; la seconda sostiene che non è stata offerta la prova dell’esistenza del progetto;

i predetti motivi censurano soltanto la seconda ratio decidendi, mentre non contrastano l’affermazione della sussistenza degli elementi sintomatici della subordinazione;

in base alla consolidata giurisprudenza di questa Corte, quando una decisione di merito si fondi su distinte e autonome rationes decidendi, ognuna delle quali da sola sufficiente a sorreggerla, il ricorrente in sede di legittimità ha l’onere, a pena d’inammissibilità del ricorso, di impugnarle (fondatamente) tutte, non potendo altrimenti pervenirsi alla cassazione della sentenza (Cass. n. 10815 del 2019 e Cass. n. 17182 del 2020);

il quarto motivo è inammissibile;

in tema di azione per risarcimento danni, grava in capo al convenuto l’onere della prova (positiva) di diverse opportunità di guadagno e non in capo al danneggiato la prova (negativa) della mancanza di esse;

il c.d. aliunde perceptum, non costituendo oggetto di eccezione in senso stretto, è rilevabile d’ufficio dal giudice a condizione che le relative circostanze di fatto risultino ritualmente acquisite al processo (Cass. n. 30330 del 2019);

nel caso in esame è risultato accertato che la società non avesse mai contestato la richiesta di risarcimento dei danni nè chiesto di provare l’aliunde perceptum, e, pertanto, non sussistono le allegazioni in fatto perchè la Corte territoriale potesse provvedere d’ufficio (Cfr. Cass. n. 1636 del 2020; Cass. n. 2499 del 2017);

in definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile; le spese, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza e se ne dispone la distrazione in favore del difensore dichiaratosi antistatario;

in considerazione dell’inammissibilità del ricorso, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di legittimità nei confronti del controricorrente, che liquida in Euro 200 per esborsi, Euro 3.500,00 per compensi professionali, con distrazione in favore del difensore dichiaratosi antistatario, oltre spese generali nella misura forfetaria del 15 per cento e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, all’Adunanza camerale, il 16 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 18 marzo 2021

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