Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7683 del 18/03/2021

Cassazione civile sez. VI, 18/03/2021, (ud. 16/12/2020, dep. 18/03/2021), n.7683

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LEONE Margherita Maria – Presidente –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1559-2020 proposto da:

P.P., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FLAMINIA 109,

presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE FONTANA, che la rappresenta

e difende unitamente all’avvocato ALESSANDRO LUCCHETTI;

– ricorrente –

contro

CNA SERVIZI SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GERMANICO, 107, presso lo

studio dell’avvocato CINZIA DE MICHELI, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato ROBERTO GATTI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 812/2019 della CORTE D’APPELLO di TORINO dei

29/102019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 16/12/2020 dal Consigliere Relatore Dott. ALFONSINA

DE FELICE.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

P.P. domanda la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Torino la quale, in sede di reclamo, ha confermato la legittimità del licenziamento disciplinare intimato alla stessa da CNA Servizi per assenze ingiustificate documentalmente provate e altre infrazioni;

la Corte territoriale ha altresì condannato la reclamante a corrispondere alla reclamata una somma a titolo di risarcimento del danno ai sensi dell’art. 96 c.p.c., comma 3, per abuso del processo;

P.P. ha affidato le proprie ragioni a sei motivi;

la CNA servizi s.r.l. ha depositato tempestivo controricorso;

entrambe le parti hanno depositato memoria in prossimità dell’adunanza camerale;

è stata depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

col primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, parte ricorrente contesta “Violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., e dell’art. 2697 c.c., nonchè dell’art. 1460 c.c., per avere la Corte d’appello travisato, nella motivazione, i fatti posti a fondamento della presente vicenda giudiziaria, omettendo di attribuire rilevanza, ai fini della decisione, o, comunque, ai fini dell’ammissione dei mezzi istruttori, all’avvenuto deposito delle note autorizzate il 14.01.2019, con le quali è stata contestata puntualmente la ricostruzione delle vicende intercorse tra le parti ed omettendo di compiere qualsivoglia disamina in ordine alle specifiche ragioni di giustificatezza dell’assenza addotte dalla ricorrente, al fine di ritenere integrata l’ipotesi di legittimo rifiuto della prestazione ex art. 1460 c.c.”;

col secondo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, denuncia “Violazione di legge in relazione agli artt. 1460,2697 e 2087 c.c., ed in relazione all’art. 2119 c.c., per aver la Corte d’appello di Torino proceduto alla valutazione della sola questione ritenuta “liquida”, in applicazione del principio relativo e, sulla scorta della decisione della ragione più liquida, per avere dichiarato ingiustificata l’assenza dal lavoro della ricorrente ed insussistenti i presupposti ex art. 1460 c.c., e, come conseguenza, aver ritenuto sussistente la giusta causa, ex art. 2119 c.c., in relazione al solo addebito delle assenze ingiustificate”;

col terzo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, deduce “Violazione dell’art. 115 c.p.c., per non avere la Corte territoriale ammesso alcuna richiesta istruttoria delle parti e, in assenza di istruttoria, non aver posto a fondamento della decisione neppure le circostanze allegate dalla ricorrente, e non oggetto di contestazione da parte del datore di lavoro, determinanti ai fini della decisione”;

col quarto motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, “Violazione di legge in relazione alla L. n. 300 del 1970, art. 18, per aver omesso di considerare a) ai fini della declaratoria di ritorsività del licenziamento, il rilievo da attribuirsi alla missiva del proprio legale in data 24 gennaio 2018, alla successiva missiva in data 19 marzo 2018 e alla minaccia di provvedimenti disciplinari in ipotesi di mancata accettazione di una chiusura transattiva alle condizioni imposte dalla parte datoriale b) ai fini della declaratoria di persecutorietà del licenziamento, il rilievo da attribuirsi alle condotte mobizzanti la cui enucleazione e le cui conseguenze, unitamente al relativo nesso causale, sono risultati dalla documentazione, anche medica, in atti e nonchè c) per aver omesso di dichiarare la discriminatorietà del licenziamento”;

col quinto motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, contesta “Violazione degli artt. 88,91,96,116 e 420 c.p.c., nonchè art. 1175 c.c., per avere la Corte d’appello di Torino, in punto di liquidazione delle spese legali, omesso qualsivoglia statuizione in ordine al comportamento processuale della controparte che, sin dalla memoria difensiva della fase cd. sommaria, e poi nella fase di opposizione, si è sottratta espressamente a qualsivoglia ipotesi di conciliazione”;

col sesto ed ultimo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, contesta “Violazione di legge nonchè contraddittorietà in relazione all’art. 96 c.p.c., per avere la Corte d’appello di Torino, contraddittoriamente accolto la domanda della reclamata di condanna della reclamante ex art. 96 c.p.c., commi 1 e 2, condannando, però, la reclamante ex officio ex art. 96 c.p.c., comma 3, stante l’assenza dei presupposti per l’accoglimento della domanda della reclamata e per la condanna ex art. 96 c.p.c., comma 3”;

i primi quattro motivi di ricorso, evidentemente connessi, vanno esaminati congiuntamente;

essi sono inammissibili;

le prospettazioni della ricorrente deducono solo apparentemente una violazione di legge, là dove mirano, in realtà, alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito;

nel caso in esame, deve pertanto darsi attuazione al costante orientamento di questa Corte, che reputa “…inammissibile il ricorso per cassazione con cui si deduca, apparentemente, una violazione di norme di legge mirando, in realtà, alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito.” (Cass. n. 18721 del 2018; Cass. n. 8758 del 2017);

il rilievo formulato nel terzo motivo, secondo cui la sentenza d’appello non avrebbe posto a fondamento della decisione neppure le circostanze allegate dalla ricorrente, sì come determinanti ai fini della decisione e non oggetto di contestazione da parte del datore di lavoro, è inammissibilmente dedotto in violazione degli obblighi di specificità e di allegazione;

il rilievo sarebbe in ogni caso privo di pregio, atteso che la non contestazione dei fatti non costituisce prova legale, bensì rappresenta un mero elemento di prova in base al quale il giudice di appello, qualora nuovamente investito dell’accertamento dei medesimi con specifico motivo d’impugnazione, è chiamato a compiere una valutazione discrezionale della condotta processuale tenuta dal convenuto nel primo grado del giudizio;

il quinto motivo è parimenti inammissibile;

la statuizione sulle spese consegue all’esito del giudizio e costituisce corretta attuazione del principio della soccombenza;

la ricorrente imputa alla Corte territoriale di non aver considerato l’ipotesi della compensazione delle spese in ragione del sottrarsi della reclamata ad ogni proposta transattiva da lei stessa avanzata nel corso delle varie fasi del giudizio di merito;

va sul punto richiamato il consolidato orientamento di questa Corte, secondo cui la facoltà di disporre la compensazione tra le parti delle spese processuali rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, il quale non è tenuto a dare ragione, con una espressa motivazione, del mancato uso di tale sua facoltà;

da ciò consegue che la pronuncia di condanna alle spese seppure adottata senza prendere in esame l’eventualità di una compensazione non possa essere censurata in cassazione, neppure sotto il profilo della mancanza di motivazione (Così Cass. n. 11329 del 2019);

il sesto ed ultimo motivo è infondato;

il potere di condanna dell’odierna ricorrente è stato legittimamente esercitato dalla Corte territoriale ai sensi dell’art. 96 c.p.c., comma 3; detto potere è applicabile d’ufficio in tutti i casi di soccombenza, e costituisce una sanzione di carattere pubblicistico, autonoma ed indipendente rispetto alle ipotesi di responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c., commi 1 e 2, e con queste cumulabile; la condanna d’ufficio è un mezzo rivolto a reprimere l’abuso dello strumento processuale, e la sua applicazione non richiede, quale elemento costitutivo della fattispecie, il riscontro dell’elemento soggettivo del dolo o della colpa grave, bensì investe l’accertamento di una condotta oggettivamente valutabile alla stregua di “abuso del processo”, qual è l’avere agito o resistito pretestuosamente (Cfr. da ultimo Cass. n. 20018 del 2020);

in definitiva, il ricorso va rigettato; le spese, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza;

va dato atto che non sussistono i presupposti per la condanna della ricorrente ai sensi dell’art. 96 c.p.c., domandata dalla società controricorrente con riferimento al presente giudizio;

in considerazione del rigetto del ricorso, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di legittimità in favore della controricorrente, che liquida in Euro 200 per esborsi, Euro 2.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura forfetaria del 15 per cento e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, all’Adunanza camerale, il 16 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 18 marzo 2021

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