Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7682 del 03/04/2020

Cassazione civile sez. I, 03/04/2020, (ud. 18/02/2020, dep. 03/04/2020), n.7682

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 18453/2014 r.g. proposto da:

ASTALDI S.P.A., (cod. fisc. (OMISSIS)), con sede in (OMISSIS), in

persona del Direttore Generale Dott. D.C.L.,

rappresentata e difesa, giusta procura speciale apposta a margine

del ricorso, dagli Avvocati Marco Annoni e Sergio Segato, con i

quali elettivamente domicilia presso lo studio del primo in Roma,

alla via Udine n. 6;

– ricorrente –

contro

ANAS S.P.A., (cod. fisc. (OMISSIS)), in persona del legale

rappresentante pro tempore, con sede in (OMISSIS), rappresentata e

difesa, ope legis, dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la

cui sede domicilia in Roma, alla Via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della CORTE DI APPELLO DI ROMA depositata in data

08/01/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

18/02/2020 dal Consigliere Dott. Eduardo Campese.

Fatto

RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE

1. Con lodo sottoscritto in Roma il 16 gennaio 2012, il collegio arbitrale costituito per la definizione della controversia, insorta tra Anas s.p.a. ed Astaldi s.p.a. (nella quale si era fusa per incorporazione l’originaria impresa appaltatrice Dipenta Costruzioni s.p.a.), in relazione al contratto per l’adeguamento alle norme CNR Tipo 1/A del II tronco, V tratto, III lotto dell’autostrada (OMISSIS), rigettò l’eccezione di incompetenza sollevata dall’Anas s.p.a. e, in parziale accoglimento delle domande proposte da Astaldi s.p.a. (riguardanti il pagamento di importi portati da 23 riserve iscritte, nonchè, giusta la riserva n. 24, la disapplicazione della penale per ritardata ultimazione dei lavori), condannò la prima alla corresponsione, in suo favore, della somma di Euro 9.346.626,32, oltre rivalutazione ed interessi, altresì statuendo sulle spese per il funzionamento del collegio arbitrale, sugli onorari degli arbitri, sul compenso al c.t.u., su Iva ed Inarcassa e sulle spese di lite.

2. La Corte d’appello di Roma, con sentenza dell’8 gennaio 2014, n. 81, in accoglimento dell’impugnazione di detto lodo promossa da Anas s.p.a., ne ha dichiarato la nullità ex art. 829 c.p.c., comma 1, n. 4, condannando la Astaldi s.p.a. al pagamento delle spese di causa come ivi liquidate.

2.1. Per quanto qui di interesse, quella corte ha opinato che: i) ai sensi dell’art. 20 del Capitolato Speciale d’Appalto, tutte le controversie tra l’amministrazione appaltante e l’impresa appaltatrice dovevano essere deferite al giudizio arbitrale secondo quanto previsto dal Capo VI del Cap. Gen. OO.PP. di cui al D.P.R. n. 1063 del 1962; il contratto di appalto prevedeva, invece, che tutte le controversie tra la stazione appaltante e l’impresa appaltatrice sarebbero state disciplinate dalla L. n. 109 del 1994, come modificata dal D.L. n. 101 del 1995, convertito dalla L. n. 216 del 1995; iii) la L. n. 109 del 1994, art. 32 nella formulazione, utilizzabile al momento della sua pronuncia, risultante dalle modifiche apportategli dalla L. n. 415 del 1998 e vigente all’epoca della richiesta di arbitrato, evidenziava “l’arbitrato come strumento generalizzato di definizione delle liti ma sempre facoltativo”; iv) il collegio arbitrale, affrontando la questione della propria competenza, aveva ritenuto che la formulazione dell’art. 32 nel dettato vigente al momento (5 novembre 1998) della stipula del contratto fosse nel senso dell’obbligatorietà del deferimento ad arbitri della controversia in materia di lavori pubblici; v) tale interpretazione contrastava con i principi affermati dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 152 del 1996, secondo cui “solo a fronte della concorde e specifica volontà delle parti (liberamente formulatasi) sono consentite deroghe alla regola della statualità della giurisdizione”; vi) la statuizione di quel collegio, secondo cui la volontà di deferire agli arbitri la controversia risultava espressa in maniera inequivoca nella clausola compromissoria di cui all’art. 20 del Capitolato Speciale, non era condivisibile in quanto: vi-a) le pattuizioni contenute nel contratto prevalevano sul Capitolato Speciale in quanto “predisposto in data anteriore e, pertanto, superato dalle successive pattuizioni contrattuali incompatibili”; vi-b) sia il Capitolato Speciale del 1997, sia la successiva clausola contrattuale come interpretata dal Collegio Arbitrale, contrastavano con la menzionata pronuncia della Consulta, già intervenuta nel 1996, secondo la quale l’obbligatorietà dell’arbitrato viola i principi di cui agli artt. 24 e 102 Cost. ed affinchè un arbitrato possa non essere considerato obbligatorio deve consentirsi alle parti fino alla nomina degli arbitri di scegliere la competenza ordinaria; vii) inoltre, doveva essere valutato il comportamento processuale dell’Astaldi, la quale aveva proposto la medesima domanda innanzi al Tribunale di Roma “così manifestando l’intenzione di demandare alla giurisdizione ordinaria la definizione delle controversie nascenti dall’appalto”.

3. Avverso la riportata sentenza, Astaldi s.p.a. ricorre per cassazione affidandosi a due motivi, ulteriormente illustrati da memoria ex art. 380-bis.1 c.p.c.. Resiste, con controricorso, Anas s.p.a..

3.1. Le formulate censure prospettano, rispettivamente:

I) “Violazione e falsa applicazione dell’art. 829 c.p.c., comma 1, n. 4, della sentenza della Corte Costituzionale n. 152/96, dell’art. 20 del Capitolato Speciale d’Appalto e della L. n. 109 del 1994, art. 32 come modificata dal D.L. n. 101 del 1995, convertito dalla L. n. 216 del 1995 (ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5)”. Si assume che l’art. 20 del Capitolato Speciale d’Appalto non conteneva il mero riferimento alla disciplina dell’arbitrato obbligatorio della L. n. 109 del 1994, come modificata dal D.L. n. 101 del 1995, convertito dalla L. n. 216 del 1995, bensì la previsione espressa di devoluzione ad arbitri delle controversie derivanti dal contratto. Tale inequivoca previsione, ed il richiamo alle norme dell’abrogato Capitolato Generale per le Opere Pubbliche di cui al D.P.R. n. 1063 del 1962 (ivi comprese quelle di cui al Capo VI, relative alla competenza arbitrale per la definizione delle controversie), erano, di per sè, sufficienti a fondare la competenza arbitrale in relazione alla odierna controversia. Si sostiene, inoltre, che “l’asserita prevalenza delle pattuizioni contenute nel Contratto, rispetto a quelle contenute nel Capitolato Speciale, si basa su di un presupposto all’evidenza errato, e cioè che la disciplina delle controversie contenuta nel Contratto fosse difforme rispetto a quella del Capitolato Speciale che, come detto, era assolutamente chiara ed inequivoca nel senso di devolvere alla competenza del Collegio Arbitrale le controversie insorte in dipendenza del Contratto”. Si afferma, infine, che “anche l’ulteriore motivazione della sentenza gravata, secondo cui sia il Capitolato Speciale, sia la successiva clausola contrattuale, come interpretate dal Collegio arbitrale, contrasterebbero con la sentenza della Corte costituzionale n. 152 del 1996, non appare condivisibile”, spiegandosene le ragioni;

II) “Violazione e falsa applicazione dell’art. 829 c.p.c., comma 1, n. 4, dell’art. 819-ter c.p.c., dell’art. 1362 c.c., comma 2, (ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5)”. Si censura l’affermazione della corte distrettuale secondo cui l’Astaldi s.p.a., con il proprio comportamento processuale, avrebbe manifestato l’intenzione di demandare alla giurisdizione ordinaria la definizione delle controversie nascenti dall’appalto, con la conseguenza che il lodo sarebbe stato ulteriormente viziato nella parte in cui aveva sancito che la previa pendenza dello stesso giudizio innanzi all’A.G.O. non escludeva la possibilità di deferire agli arbitri la controversia, grazie al dettato dell’art. 819-ter c.p.c., comma 1, primo capoverso. Si deduce, invece, che, come poteva evincersi dalla propria comparsa di costituzione innanzi alla corte capitolina, e come, del resto, inequivocabilmente affermato alla pagina 35 del proprio atto di citazione innanzi al Tribunale di Roma, l’odierna ricorrente mai “ha manifestato l’intenzione di demandare alla giurisdizione ordinaria la definizione delle controversie nascenti dall’appalto. Al contrario, ha inequivocabilmente manifestato la volontà di adire il giudice ordinario solo al fine di evitare eventuali eccezioni di decadenza”, e si aggiunge che “è semmai il comportamento processuale di Anas ad essere univocamente interpretabile come manifestazione implicita della volontà di deferire ad arbitri la presente controversia”, dovendo leggersi in tale prospettiva “sia la notificazione dell’atto di nomina dell’arbitro in data successiva alla declinatoria di competenza arbitrale, (…). Sia la nomina consensuale e congiunta, successivamente alla formulazione dell’eccezione di incompetenza, del terzo arbitro con funzione di Presidente dell’Ecc.mo Collegio Arbitrale…”.

4. Va immediatamente sgomberato il campo dal profilo riguardante il vizio motivazionale almeno apparentemente invocato (cfr. il riferimento anche all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 contenute nelle corrispondenti rubriche) in entrambe le riportate censure, rivelandosi gli assunti della corte capitolina sulle rispettive questioni ivi poste, puntuali e comprensibili, dunque non apparenti, sicchè si sottraggono al sindacato di legittimità ai sensi della nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo introdotto dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012, (qui utilizzabile ratione temporis, risultando impugnata una sentenza resa l’8 gennaio 2014). Come ormai noto, tale normativa, circoscrivendo il vizio di motivazione deducibile mediante il ricorso per cassazione all’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (da dedursi, peraltro, con gli specifici oneri di allegazione sanciti da Cass., SU, n. 8053 del 2014, nella specie nemmeno rispettati se solo si pensi all’assoluta carenza di argomentazioni in termini di decisività delle circostanze, menzionate nel secondo motivo, il cui esame sarebbe stato omesso), costituisce espressione della volontà del legislatore di ridurre al minimo costituzionale l’ambito del sindacato spettante al Giudice di legittimità in ordine alla motivazione della sentenza, restringendo l’anomalia motivazionale denunciabile in questa sede ai soli casi in cui il vizio si converte in violazione di legge, per mancanza del requisito di cui all’art. 132 c.p.c., n. 4, ossia alle ipotesi in cui la motivazione manchi del tutto sotto l’aspetto materiale e grafico, oppure formalmente esista come parte del documento, ma le sue argomentazioni siano svolte in modo talmente contraddittorio da non permettere d’individuarla, cioè di riconoscerla come giustificazione del decisum, e tale vizio emerga immediatamente e direttamente dal testo della sentenza (cfr. Cass., SU, nn. 8053 e 8054 del 2014; Cass. n. 21257 del 2014). Fattispecie, qui, chiaramente non ravvisabili.

5. Fermo quanto precede, i descritti motivi di ricorso, esaminabili congiuntamente perchè connessi, non meritano accoglimento, per le ragioni di cui appresso, anche laddove prospettano violazioni di legge.

5.1. Giova, invero, premettere che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, il capitolato generale d’appalto per le opere pubbliche, approvato con il D.P.R. n. 1063 del 1962, ha valore normativo vincolante soltanto per gli appalti stipulati dallo Stato e non per quelli conclusi dagli altri enti pubblici (tale è l’ANAS, giusta il D.P.C.M. 26 luglio 1995, nè la sua trasformazione in s.p.a. ha mutato i suoi essenziali aspetti pubblicistici. Cfr. Cass., SU, n. 15994 del 2014), tranne quando l’applicabilità dello stesso sia prevista da espressa e specifica disposizione di legge o le parti lo abbiano espressamente richiamato per regolare il singolo rapporto contrattuale, nel quale ultimo caso le previsioni del capitolato costituiscono clausole negoziali, operanti per volontà pattizia, ed assumono efficacia obbligatoria nei limiti in cui le parti le abbiano richiamate per regolare il loro rapporto (cfr., ex aliis, Cass. n. 25061 del 2018; Cass. n. 3648 del 2009; Cass. n. 17635 del 2007; Cass. n. 6100 del 2006). In altri termini, gli appalti di opere pubbliche stipulati da enti pubblici diversi dallo Stato, possono – in mancanza di specifica norma di legge – legittimamente essere regolamentati da un capitolato speciale che, per certi aspetti, rinvii a quello generale e, per altri, disciplini con efficacia autonoma alcune clausole (cfr. Cass. n. 3648 del 2009).

5.2. E’ altresì noto che il capitolato predisposto da un ente diverso dallo Stato ha natura contrattuale (cfr. Cass. n. 13229 del 2011; Cass. n. 15057 del 2001). Ne consegue, dunque, che ove, come verificatosi nella odierna fattispecie, il capitolato generale d’appalto di cui al D.P.R. n. 1062 del 1962 risulti richiamato in quello speciale prodromico alla stipulazione di un contratto di opera pubblica da parte di un ente pubblico diverso dallo Stato, le relative clausole non possono che avere valore negoziale, e, come tali, derogabili e/o integrabili da clausole di analoga natura intervenute successivamente, come appunto accaduto in relazione al contratto di appalto stipulato, tra l’ANAS e l’allora Gruppo Dipenta Costruzioni s.p.a. (poi fusasi nell’Astaldi s.p.a.), il 5 novembre 1998, recante la previsione per cui tutte le controversie tra la stazione appaltante e l’impresa appaltatrice sarebbero state disciplinate dalla L. n. 109 del 1994, come modificata dal D.L. n. 101 del 1995, convertito dalla L. n. 216 del 1995 (laddove, invece, l’art. 20 del Capitolato Speciale d’Appalto del 3 marzo 1997, aveva sancito che tutte le controversie tra l’amministrazione appaltante e l’impresa appaltatrice dovevano essere deferite al giudizio arbitrale secondo quanto previsto dal Capo VI del Cap. Gen. OO.PP. di cui al D.P.R. n. 1063 del 1962).

5.2.1. Deve, allora, ritenersi corretta l’affermazione della corte distrettuale secondo cui “le pattuizioni contenute nel contratto prevalgono sul capitolato speciale predisposto in data anteriore e pertanto superato dalle successive pattuizioni contrattuali incompatibili” (cfr. pag. 4 della sentenza impugnata). La giurisprudenza di legittimità, infatti, ha già chiarito che la volontà di devolvere ad arbitri le controversie nascenti da un contratto di appalto stipulato con un ente pubblico deve essere espressa in maniera esplicita ed univoca, non essendo sufficiente un richiamo meramente formale al capitolato speciale che preveda eventualmente la clausola compromissoria (cfr. Cass. n. 27764 del 2018; Cass. n. 81 del 2017), e che il richiamo della disciplina della competenza arbitrale fissata in un distinto documento, come un capitolato speciale, deve rivestire i caratteri della relatio perfecta, ossia deve essere predisposto in funzione regolamentare di un singolo rapporto instauratosi tra i contraenti, sulla premessa della piena conoscenza di tale documento ed al fine dell’integrazione del rapporto negoziale nella parte in cui difetti di una diversa regolamentazione (cfr. Cass. n. 27764 del 2018; Cass. n. 7197 del 2011; Cass. n. 15783 del 2003). In definitiva, quindi, non essendoci, nella specie, relatio perfecta tra quanto sancito nel capitolato speciale del 3 marzo 1997 e la diversa clausola di cui all’art. 20 del successivo contratto di appalto del 5 novembre 1998, deve attribuirsi valore prevalente a quest’ultima, e concludersi nel senso che l’arbitrato innegabilmente previsto dalle parti quale mezzo di risoluzione delle potenziali controversie nascenti da detto contratto doveva ritenersi assoggettato alla disciplina di cui alla L. n. 109 del 1994 ivi richiamata.

5.3. Occorre, pertanto, stabilire se l’arbitrato de quo doveva intendersi, fin dal momento della sua pattuizione, come obbligatorio o facoltativo, ed a tal fine si impone l’esame dell’art. 32 cit. legge nel suo testo vigente, e, come tale, utilizzabile (cfr. Cass. n. 7197 del 2011), alla data (5.11.1998) di stipulazione del contratto di appalto (e risultante dalle modifiche apportategli dal D.L. n. 101 del 1995, art. 9 bis introdotto dalla Legge di conversione n. 216 del 1995). Ciò, però, non prima di aver ricordato che, con sentenza del 2/9 maggio 1996, n. 156 – anteriore, dunque, sia alla stipulazione del predetto contratto di appalto del 5 novembre 1998, che alla predisposizione del capitolato speciale del 3 marzo 1997 a quest’ultimo prodromico, rivelandosi, così, rilevanti i principi generali da essa ricavabili anche nella odierna fattispecie – la Corte costituzionale, muovendo dall’esame dell’originario testo del D.P.R. 16 luglio 1963, n. 1062, art. 47 passando attraverso la ricognizione dei principi affermati nelle proprie decisioni n. 127 del 1977, n. 35 del 1958 e n. 2 del 1963, e richiamate le proprie ulteriori pronunce nelle quali era stata fatta applicazione dei detti principi, aveva scrutinato la norma di cui alla L. 10 dicembre 1981, n. 741, art. 16 (che aveva modificato il testo originario dell’art. 47 citato, prevedendo che la competenza arbitrale, prevista dagli artt. 43 e segg., “può essere esclusa solo con apposita clausola inserita nel bando o invito di gara, oppure nel contratto in caso di trattativa privata”), giungendo a ritenere che “siffatta nuova formulazione dell’art. 47, collegata con le disposizioni degli articoli precedenti, prevede un sistema declinatorio della competenza arbitrale che non si sottrae alla censura di illegittimità, in quanto sostanzialmente conferma la natura obbligatoria dell’arbitrato, ritenuta illegittima dalla costante giurisprudenza di questa Corte”. “In effetti”, – così motivava la Consulta – “va in primo luogo osservato che il silenzio serbato dalla pubblica amministrazione riguardo alla deroga alla competenza arbitrale – pur a fronte di un rinvio ricognitivo al capitolato generale presente nel bando di gara – o l’inserimento di una clausola compromissoria nella proposta di appalto a trattativa privata, attribuiscono, di fatto, alla sola pubblica amministrazione la scelta in favore della competenza arbitrale, che la controparte, se vuole partecipare alla gara, è tenuta ad accettare”. “In altri termini”, – così continuava quella Corte – “esigendosi l’accordo delle parti per derogare alla competenza arbitrale, si rimette pur sempre alla volontà della sola parte che non voglia tale accordo derogatorio, l’effetto di rendere l’arbitrato concretamente obbligatorio per l’altro soggetto che non l’aveva voluto. Sarebbe infatti sufficiente la mancata intesa sulla deroga della competenza arbitrale per vanificare l’apparente facoltatività bilaterale dell’opzione”. Alla stregua di tali presupposti, il Giudice delle leggi, al pari di quanto stabilito nella sua precedente sentenza n. 127 del 1977, ha dichiarato la illegittimità dell’art. 16 “nella parte in cui non stabilisce che la competenza arbitrale può essere derogata anche con atto unilaterale di ciascuno dei contraenti”. Così opinando, e sancendo la incostituzionalità della norma predetta laddove non riconosce ad entrambe le parti la facoltà di declinare la competenza arbitrale, la Consulta ha ritenuto che solo la consapevole e libera scelta dei soggetti può derogare al precetto contenuto nell’art. 102 Cost.: in particolare, se, da un lato, si è stabilito che la “fonte” dell’arbitrato non può ricercarsi in una legge ordinaria (o in una volontà autoritativa), dall’altro, si è espressamente precisato che tale legge (o tale volontà) può validamente “predisporre” gli arbitrati tra le parti. La Corte costituzionale ha quindi affermato, in una nuova prospettiva, la possibilità di rinvenire in una legge la fonte di arbitrati, essendo stata riconosciuta al legislatore la facoltà di predeterminare moduli di soluzione arbitrale delle controversie a condizione di lasciare aperta la strada della tutela giurisdizionale ordinaria come alternativa rimessa alla scelta delle parti. Ed è proprio tale scelta che rappresenta la condizione per assicurare il rispetto del combinato disposto degli art. 24 e 102 Cost. in caso di “arbitrati da legge”, costituendo altresì il pendant del compromesso e della clausola compromissoria quali fonti di produzione dell’arbitrato. In definitiva, come osservatosi in dottrina, la Consulta ha operato una “costituzionalizzazione della norma” proponendone (rectius: imponendone) una interpretazione conforme alla carta fondamentale: la disposizione è rimasta, quindi, in vita nel suo contenuto indicativo che non preterisce da un fondamento volontaristico dell’arbitrato, non più imposto ma praticabile in forza della libera scelta.

5.3.1. Tornando, allora, alla L. n. 109 del 1994, art. 32 nel testo vigente, e, come tale, utilizzabile (cfr. Cass. n. 7197 del 2011) alla data (5.11.1998) di stipulazione del contratto di appalto (e risultante dalle modifiche apportategli dal D.L. n. 101 del 1995, art. 9-bis introdotto dalla Legge di conversione n. 216 del 1995) di cui oggi si discute, lo stesso stabiliva, al comma 1, che “Ove non si proceda all’accordo bonario ai sensi dell’art. 31-bis, comma 1 e l’affidatario confermi le riserve, la definizione delle controversie è attribuita ad un arbitrato ai sensi delle norme del titolo VIII del libro quarto del codice di procedura civile”.

5.3.2. Una simile locuzione, nonostante il formale richiamo alle norme del titolo ottavo del libro quarto del codice di procedura civile, non poteva che intendersi nel senso che la controversia dovesse essere deferita all’arbitro, il che rendeva obbligatorio l’arbitrato in questione (cfr., in motivazione, Corte Cost. n. 134 del 2000, che ritenne tale norma in contrasto con gli artt. 24 e 102 Cot., ma non pronunciò, poi, espressamente in tali sensi perchè, per effetto della modifica ad essa apportata dalla L. 18 novembre 1998, n. 415, art. 10 – secondo cui tutte le controversie derivanti dall’esecuzione del contratto di appalto “possono” essere deferite ad arbitri, in tal modo individuando un’ipotesi di arbitrato certamente non obbligatorio – era venuto meno il presupposto logico dell’ordinanza di rimessione, perchè, nella specie, ai fini della determinazione della propria competenza, il giudice a quo non sarebbe stato tenuto a fare applicazione della norma impugnata). Essa, dunque, si rivelava in contrasto con la giurisprudenza della Consulta che, come si è già detto, a partire dalla sentenza n. 127 del 1977, ha costantemente ribadito l’illegittimità costituzionale dell’imposizione autoritativa del ricorso all’arbitrato, ancora riaffermata con la successiva sentenza n. 152 del 1996 di cui si è ampiamente riferito in precedenza.

5.3.3. Alla stregua delle considerazioni tutte finora esposte, deve conseguirne che, nella specie, l’arbitrato innegabilmente previsto dalle parti quale mezzo di risoluzione delle potenziali controversie nascenti dal contratto di appalto da esse stipulato il 5 novembre 1998, da un lato, doveva ritenersi assoggettato alla disciplina di cui alla L. n. 109 del 1994 ivi richiamata, e, quindi, all’art. 32 di quest’ultima nel già riportato testo vigente a tale data; dall’altro, però, detto articolo, proprio alla luce dei principi generali desumibili, da ultimo, dalla menzionata sentenza della Corte costituzionale n. 152 del 1996, anteriore, quindi, a quel contratto e con innegabili ripercussioni sull’interpretazione della normativa in esso richiamata, non poteva che riferirsi ad una ipotesi di arbitrato facoltativo, non obbligatorio, sicchè decisiva, per escludere la cognizione arbitrale, doveva considerarsi la circostanza (assolutamente incontroversa, e riportata alla pag. 2 del ricorso introduttivo di questo giudizio) rinvenibile nella nota del 10 dicembre 2009 con cui ANAS s.p.a., ricevuta (il 13 settembre 2009) la domanda di arbitrato della Astaldi s.p.a., aveva declinato la competenza arbitrale, ribadendo, poi, la corrispondente eccezione innanzi agli arbitri.

5.3.3.1. Si vuol dire, cioè, che nessun dubbio può esistere, nella specie, quanto alla fonte convenzionale, e non legale, dell’arbitrato de quo, ma che, altrettanto innegabilmente, la disciplina cui le parti avevano inteso assoggettare quest’ultimo, già all’epoca (5.11.1998) della sottoscrizione del contratto di appalto tra esse intercorso (benchè certamente insensibile ad eventuali modifiche e/o ad interventi abrogativi della Corte costituzionale ad esso successivi. Cfr. Cass. n. 7197 del 2011; Cass. n. 15405 del 2001), non poteva che essere intesa come rinvio ad un arbitrato facoltativo (con possibilità, cioè, per entrambe le parti, di declinare la competenza arbitrale, come concretamente aveva inteso fare ANAS s.p.a. con la suddetta nota del 10 dicembre 2009), altrimenti risultando violati i principi generali rinvenibili, in materia, nella giurisprudenza della Corte costituzionale allora già consolidatasi (da ultimo, nella citata sentenza n. 152 del 1996). In definitiva, la volontà di devolvere esclusivamente ad arbitri le controversie relative al contratto in esame non risulta espressa in maniera esplicita ed evidente, in quanto la L. n. 109 del 1994, art. 32 nel testo vigente al 5 novembre 1998 ed interpretato secondo quanto sancito dalla Corte costituzionale con le proprie pronunce fino ad allora già intervenute, doveva intendersi, nel richiamare una disciplina che prevedeva il ricorso all’arbitrato come mera possibilità, non esprimere, in maniera univoca, la volontà di derogare alla giurisdizione ordinaria. E non vi è chi non veda che conclusioni affatto identiche varrebbero ove si volesse individuare la fonte dell’arbitrato in questione nell’art. 20 del capitolato speciale d’appalto del 3 marzo 1997, recante la previsione, come strumento di risoluzione di eventuali controversie nascenti dall’appalto, di un giudizio arbitrale ai sensi e nei modi previsti dal capo VI del Capitolato Generale d’Appalto per le opere che si eseguono per conto del Ministero dei Lavori Pubblici (D.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063).

6. Da ultimo, va sottolineato che la corte capitolina, dopo aver giustificato il ritenuto carattere facoltativo dell’arbitrato previsto pattiziamente, ha altresì rimarcato (cfr. pag. 5 della sentenza oggi impugnata), in proposito, il “comportamento processuale della Astaldi s.p.a., la quale ha proposto la medesima domanda innanzi al Tribunale di Roma, così manifestando l’intenzione di demandare alla giurisdizione ordinaria la definizione delle controversie nascenti dall’appalto”.

6.1. Trattasi, come è evidente (pure volendosi prescindere dall’approfondire se tanto configuri una seconda, autonoma ratio decidendi, con conseguente inammissibilità della censura rivolta contro di essa attesa la già spiegata infondatezza di quella contro la prima. Cfr., ex multis, Cass. n. 15075 del 2018, in motivazione; Cass. n. 18641 del 2017; Cass. n. 15350 del 2017), di una valutazione tipicamente fattuale, cui la Astaldi s.p.a. tenta, sostanzialmente, di opporvi una propria alternativa interpretazione, sebbene sotto la formale rubrica di vizio motivazionale e/o di violazione di legge, mirando ad ottenerne una rivisitazione (e differente ricostruzione), in contrasto con il granitico orientamento di questa Corte per cui il ricorso per cassazione non rappresenta uno strumento per accedere ad un ulteriore grado di giudizio nel quale far valere la supposta ingiustizia della sentenza impugnata, spettando esclusivamente al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (cfr., ex multis, Cass. n. 27686 del 2018; Cass., Sez. U, n. 7931 del 2013; Cass. n. 14233 del 2015; Cass. n. 26860 del 2014).

7. Il ricorso, dunque, va respinto, restando le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, regolate dal principio di soccombenza, e dandosi atto, altresì, – in assenza di ogni discrezionalità al riguardo (cfr. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto recentemente precisato da Cass., SU, n. 23535 del 2019 – ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso, e condanna la Astaldi s.p.a. al pagamento, in favore dell’Anas s.p.a., delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 12.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, giusta lo stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione Prima civile della Corte Suprema di cassazione, il 18 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 3 aprile 2020

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