Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7680 del 04/04/2011

Cassazione civile sez. I, 04/04/2011, (ud. 02/03/2011, dep. 04/04/2011), n.7680

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 406/2010 proposto da:

S.P., + ALTRI OMESSI

elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA ANDREA DORIA 48, presso lo studio

dell’avvocato ABBATE Ferdinando Emilio, che li rappresenta e difende,

giusta delega in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI;

– intimata –

avverso il decreto nei procedimenti nn. 59138, 59139, 59140, 59141,

59142, 59143, 59144/2006 R.G. della CORTE D’APPELLO di ROMA del

13/10/08, depositato il 04/11/2008;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

02/03/2011 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIO DIDONE;

udito l’Avvocato Tebaidi Rossana, delega avv. Abbate, difensore dei

ricorrenti che si riporta agli scritti;

è presente il P.G. in persona del Dott.)PIERFELICE PRATIS che

concorda con la relazione.

Fatto

RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO

p. 1.- La relazione depositata ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., è del seguente tenore: “1.- S.D., + ALTRI OMESSI hanno adito la Corte d’appello di Roma, allo scopo di ottenere l’equa riparazione ex lege n. 89 del 2001 in riferimento al giudizio promosso innanzi al Tar Lazio (avente ad oggetto la corresponsione di interessi e rivalutazione su somme corrisposte in ritardo a seguito di inquadramento nelle qualifiche funzionali) con ricorso del gennaio 1995, definito dal Consiglio di Stato con sentenza del 6.3.2006.

La Corte d’appello, con decreto depositato il 4.11.2008, pronunciato nei confronti della Presidenza del Consiglio dei Ministri, fissato il termine di durata ragionevole del giudizio in anni cinque per i due gradi, ha liquidato in favore di ciascun ricorrente, per il danno non patrimoniale per il ritardo di 6 anni, la somma di Euro 4.800,00 (circa euro 800,00 per anno di ritardo) – tenuto conto della modestia della posta in gioco – oltre interessi – dal decreto – e le spese del giudizio.

Per la cassazione di questo decreto gli attori hanno proposto ricorso affidato a quattro motivi.

La P.D.C.M. non ha svolto difese.

2.1.- Con il primo motivo i ricorrenti denunciano violazione di legge e vizio di motivazione lamentando che la Corte di merito non abbia liquidato l’indennizzo per la frazione di due mesi di ritardo, tenuto conto dell’inizio del procedimento (gennaio 1995) e della sentenza conclusiva (marzo 2006).

2.2.- Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano violazione della 1. n. 89 del 2001 e degli artt. 6, 13, 35 e 41 CEDU nonchè vizio di motivazione lamentando la liquidazione di un indennizzo inferiore agli standard europei (1.000,00-1.500,00 Euro per anno) e l’erronea valutazione della posta in gioco.

2.3.- Con il terzo motivo denunciano violazione e falsa applicazione di legge (L. n. 89 del 2001, art. 2; art. 1173 c.c.), in relazione al capo del decreto che ha fissato la decorrenza degli interessi legali dalla data del decreto anzichè da quella della domanda e si conclude con quesito di diritto concernente tale profilo.

2.4.- Con il quarto motivo denunciano violazione e falsa applicazione di legge (artt. 90 e 91 c.p.c., D.M. n. 127 del 2004) e delle tariffe professionali, nella parte in cui il decreto ha liquidato le spese del giudizio, in violazione dei minimi di tariffa e si chiude con la formulazione di quesito in ordine a tale profilo. Lamentano, in particolare, che la Corte di merito non abbia tenuto conto dell’avvenuta riunione dei ricorsi soltanto in sede di discussione.

3.- I primi due motivi possono essere esaminati congiuntamente perchè connessi e appaiono il primo inammissibile per mancanza di interesse e il secondo manifestamente infondato alla luce della più recente giurisprudenza di questa Sezione e dei criteri desumibili dalle decisioni della Corte di Strasburgo del 2010 sui ricorsi MARTINETTI ET CAVAZZUTI c. ITALIE e GHIROTTI ET BENASSI c. ITALIE per i giudizi contabili e amministrativi e, in particolare, del principio enunciato da Sez. 1^, Sentenza n. 13019 del 2010, secondo cui deve ritenersi congrua, anche in base a quanto afferma la Corte d’appello in ordine alla esiguità della posta in gioco la riparazione per la somma indicata di meno di Euro 500,00 annui, anche maggiore di quella recentemente determinata dalla C.E.D.U. per il danno non patrimoniale di un processo amministrativo italiano (Sez. 2^, 16 marzo 2010, Volta et autres c. Italie, Ric. 43674/02).

Nella concreta fattispecie il giudizio amministrativo presupposto ha avuto una durata di circa undici anni e la Corte di merito ha liquidato la somma di Euro 4.800,00, sostanzialmente attenendosi ai criteri innanzi richiamati, evidenziando la modestia della posta in gioco senza che i ricorrenti abbiano con la necessaria specificità impugnato la motivazione del decreto impugnato, risultando omessa nel corrispondente quesito ex art. 366 bis, l’indicazione degli elementi di fatto indispensabili per la valutazione della fondatezza della censura (il valore economico della lite presupposta non risulta in alcun modo precisato).

Fondata è invece la censura relativa alla decorrenza degli interessi sulla somma liquidata che la Corte di appello ha fissato dalla data del decreto, senza considerare che gli interessi in esame, tenuto conto della natura dell’obbligazione cui accedono e non avendo finalità compensativa, devono necessariamente decorrere dalla data della domanda di equa riparazione, in base al principio secondo il quale gli effetti della pronuncia retroagiscono a tale data, nonostante il carattere di incertezza e di illiquidità del credito prima della statuizione giudiziale (Cass. 18105/2005; 1405/2004). Per cui occorre ribadire che gli interessi sulla somma liquidata ai ricorrenti a titolo di equa riparazione dovevano essere riconosciuti dal momento della domanda azionata dinanzi alla Corte d’appello.

Assorbito il motivo relativo alla liquidazione delle spese del giudizio di merito, la Corte dovrebbe cassare il decreto impugnato in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c., condannare la Presidenza del Consiglio dei Ministri a corrispondere gli interessi legali sulla somma liquidata ai ricorrenti dalla data della domanda giudiziale.

Il rigetto del motivo principale del ricorso e l’accoglimento solo in parte della richiesta dei ricorrenti, potrebbero giustificare la compensazione tra le parti delle spese del giudizio di legittimità in ragione di metà”.

p. 2.- Il Collegio ritiene di non poter condividere le conclusioni della relazione e le argomentazioni sulle quali esse si fondano in relazione all’entità dell’indennizzo, posto che il giudice del merito si è irragionevolmente discostato dai parametri CEDU. Pertanto, cassato il decreto impugnato, ritenute assorbite le censure relative alle spese e alla decorrenza degli interessi, la Corte, in applicazione dei criteri di cui a Cass., Sez. 1^, Sentenza n. 21840 del 14/10/2009, può decidere la causa nel merito ex art. 384 c.p.c., liquidando a ciascuna parte ricorrente la somma di Euro 5.250,00.

L’esito complessivo della lite induce il Collegio a dichiarare compensate tra le parti le spese del giudizio di legittimità in ragione di metà.

La liquidazione delle spese del giudizio di merito va operata in applicazione del principio per il quale in tema di equa riparazione ai sensi della L. n. 89 del 2001, la condotta di più soggetti, che dopo aver agito unitariamente nel processo presupposto, in tal modo dimostrando la carenza di interesse alla diversificazione delle rispettive posizioni, propongano contemporaneamente distinti ricorsi per equa riparazione, con identico patrocinio legale, dando luogo a cause inevitabilmente destinate alla riunione, in quanto connesse per l’oggetto ed il titolo, si configura come abuso del processo, contrastando con l’inderogabile dovere di solidarietà, che impedisce di far gravare sullo Stato debitore il danno derivante dall’aumento degli oneri processuali, e con il principio costituzionale della ragionevole durata del processo, avuto riguardo all’allungamento dei tempi processuali derivante dalla proliferazione non necessaria dei procedimenti. Tale abuso non è sanzionabile con l’inammissibilità dei ricorsi, non essendo illegittimo lo strumento adottato ma le modalità della sua utilizzazione, ma impone per quanto possibile l’eliminazione degli effetti distorsivi che ne derivano, e quindi la valutazione dell’onere delle spese come se il procedimento fosse stato unico fin dall’origine (Sez. 1^, Ordinanza n. 10634 del 03/05/2010).

P.Q.M.

La Corte, accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione, cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna l’Amministrazione a corrispondere alle parti ricorrenti la somma di Euro 5.250,00 per indennizzo, oltre interessi legali dalla domanda e le spese del giudizio: che determina per il giudizio di merito nella somma di Euro 50,00 per esborsi, Euro 1.938,00 per diritti e Euro 445,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge e che dispone siano distratte in favore del difensore antistatario; che compensa in misura di 1/2 per il giudizio di legittimità, gravando l’Amministrazione del residuo 1/2 e che determina per l’intero in Euro 525,00 di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge e che dispone siano distratte in favore del difensore antistatario.

Così deciso in Roma, il 2 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 4 aprile 2011

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