Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7679 del 04/04/2011

Cassazione civile sez. I, 04/04/2011, (ud. 02/03/2011, dep. 04/04/2011), n.7679

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 19877/2009 proposto da:

R.M. ((OMISSIS)), elettivamente domiciliato in

ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato MARRA Alfonso Luigi, giusta procura speciale a margine

del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro in

carica, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende, ope legis;

– controricorrente –

avverso il decreto n. 1274/08 R.G.V.G. della CORTE D’APPELLO di

NAPOLI del 12/12/08, depositato il 16/12/2008;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

02/03/2011 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIO DIDONE;

è presente il P.G. in persona del Dott. PIERFELICE PRATIS.

Fatto

RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO

p. 1.- La relazione depositata ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., è del seguente tenore: ” R.M. ha adito la Corte d’appello di Napoli, allo scopo di ottenere l’equa riparazione ex lege n. 89 del 2001 in riferimento al giudizio promosso innanzi al Tar Campania con ricorso del 14.11.2000, non ancora definito.

La Corte d’appello, con il decreto impugnato, pronunciato nei confronti del Ministero dell’economia e delle finanze, fissato il termine di durata ragionevole del giudizio in anni tre, ha liquidato per il danno non patrimoniale, per il ritardo di 5 anni, la somma di Euro 2.500,00, (Euro 500,00 per anno di ritardo, somma ridotta ex art. 1227 c.c., per la mancata presentazione dell’istanza di prelievo) con compensazione per 4/5 delle spese del giudizio, in ragione del parziale accoglimento della domanda.

Per la cassazione di questo decreto ha proposto ricorso l’attore, affidato a otto motivi.

Ha resistito con controricorso il Ministero dell’economia e delle finanze.

1.- Con i primi sei motivi è denunciata erronea e falsa applicazione di legge (L. n. 89 del 2001, art. 2, art. 1 e art. 6, par. 1 CEDU), in relazione al rapporto tra norme nazionali e la CEDU, nonchè della giurisprudenza della Corte di Strasburgo e di questa Corte ed omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, omessa decisione di domande (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5; art. 112 c.p.c.) e sono poste le seguenti questioni, sintetizzate nei quesiti:

a) questione relativa alla efficacia della CEDU nell’ordinamento interno ed all’efficacia vincolante per il giudice nazionale della giurisprudenza della Corte EDU (sostanzialmente riproposta in tutti i motivi, richiamando sentenze della Corte europea e di questa Corte) ed è formulato il seguente quesito la L. n. 89 del 2001 e specificamente l’art. 2 costituisce applicazione dell’art. 6, par. 1 CEDU e in ipotesi di contrasto tra la legge Pinto e la CEDU, ovvero di lacuna della legge nazionale si deve disapplicare la legge nazionale ed applicare la CEDU?.

b) Questioni concernenti la quantificazione del danno:

se l’indennizzo vada liquidato per l’intera durata del giudizio e non solo per la parte eccedente il termine di ragionevole durata, nella misura di Euro 1.000,00/1.500,00 per anno ed il decreto non avrebbe motivato in ordine alla mancata osservanza di detto parametro;

spetta un ulteriore somma rationae raateriae (bonus di Euro 2.000,00), trattandosi di diritti dei lavoratori come stabilito dalla CEDU, o comunque l’equo indennizzo per tali materie va calcolato in misura maggiore? ed il giudice non si sarebbe pronunciato sulla relativa domanda e ciò costituirebbe violazione dell’art. 112 c.p.c., e comporterebbe un difetto di motivazione.

1.1.- I motivi 7 e 8 denunciano violazione e falsa applicazione di legge ed erronea compensazione delle spese processuali nonchè vizio di motivazione in ordine alla disposta compensazione ed alla dichiarazione di irripetibilità delle spese (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), ed è formulato il seguente quesito di diritto: in ipotesi di accoglimento della domanda deve seguire la condanna alle spese di lite? e il decreto sarebbe viziato nella motivazione in ordine alla disposta compensazione delle spese del giudizio.

2.- I motivi indicati nel par. 1, da esaminare congiuntamente, perchè giuridicamente e logicamente connessi, sono manifestamente infondati.

a) Relativamente alla questione sub a), ammissibile e rilevante per l’incidenza su quelle ulteriori, va ribadito il principio enunciato dalle S.U., in virtù del quale il giudice italiano, chiamato a dare applicazione alla L. n. n. 89 del 2001, deve interpretare detta legge in modo conforme alla CEDU per come essa vive nella giurisprudenza della Corte europea. Siffatto dovere opera entro i limiti in cui detta interpretazione conforme sia resa possibile dal testo della stessa L. n. 89 del 2001 (sentenza n. 1338 del 2004) e, come affermato dalla Corte costituzionale – contrariamente all’assunto dell’istante, che si palesa perciò manifestamente erroneo – al giudice nazionale ®spetta interpretare la norma interna in modo conforme alla disposizione internazionale, entro i limiti nei quali ciò sia permesso dai testi delle norme. Qualora ciò non sia possibile, ovvero dubiti della compatibilità della norma interna con la disposizione convenzionale interposta, egli deve investire questa Corte della relativa questione di legittimità costituzionale rispetto al parametro dell’art. 117 Cost., comma 1 (sentenze n. 348 e n. 349 del 2007).

Resta dunque escluso che, in caso di contrasto, possa procedersi alla non applicazione della norma interna, in virtù di un principio concernente soltanto il caso del contrasto tra norma interna e norma comunitaria. In questi termini è il principio che può essere enunciato in relazione al quesito formulato con il primo motivo, che rivela la manifesta infondatezza della censura, nei termini in cui è stata proposta.

b) Relativamente alla quantificazione del danno, va ribadito che i criteri di determinazione del quantum della riparazione applicati dalla Corte europea non possono essere ignorati dal giudice nazionale, che deve riferirsi alle liquidazioni effettuate in casi simili dalla Corte di Strasburgo e, secondo la giurisprudenza di questa Corte, avendo riguardo al parametro di Euro 1.000,00/Euro 1.500,00 per anno di ritardo dopo i primi tre anni, per i quali l’indennizzo è pari a Euro 750,00 per anno. Peraltro, deve escludersi che le norme disciplinatrici della fattispecie permettano di riconoscere – come ha invece sostenuto l’istante – una ulteriore, più elevata somma, svincolata da qualsiasi parametro e dovuta in considerazione dell’oggetto e della natura della controversia.

Infatti, come ha chiarito questa Corte, i giudici europei hanno affermato che il c.d. bonus in questione va riconosciuto nel caso in cui la controversia riveste una certa importanza ed ha fatto un elenco esemplificativo, comprendente le cause di lavoro e previdenziali. Tuttavia, ciò non implica alcun automatismo, ma significa soltanto che dette cause, in considerazione della loro natura, è probabile che siano di una certa importanza (Cass. n. 30570 e n. 18012 del 2008).

Siffatta valutazione rientra nella ponderazione del giudice del merito, che deve rispettare il parametro sopra indicato, con la facoltà di apportare le deroghe giustificate dalle circostanze concrete della singola vicenda (quali: l’entità della posta in gioco, il numero dei tribunali che hanno esaminato il caso in tutta la durata del procedimento ed il comportamento della parte istante;

per tutte, Cass. n. 1630 del 2006; n. 1631 del 2006; n. 19029 del 2005), purchè motivate e non irragionevoli (tra le molte, Cass. n. 30064 e n. 6898 del 2008; n. 1630 e n. 1631 del 2006).

Il giudice del merito può, quindi, attribuire una somma maggiore, qualora riconosca la causa di particolare rilevanza per la parte, senza che ciò comporti uno specifico obbligo di motivazione, da ritenersi compreso nella liquidazione del danno, sicchè se il giudice non si pronuncia sul c.d. bonus, ciò sta a significare che non ha ritenuto la controversia di tale rilevanza da riconoscerlo (Cass. n. 30570, n. 18012 del 2008).

Inoltre, la precettività, per il giudice nazionale, non concerne anche il profilo relativo al moltiplicatore di detta base di calcolo:

per il giudice nazionale è, sul punto, vincolante la L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 3, lett. a), ai sensi del quale è influente solo il danno riferibile al periodo eccedente il termine ragionevole, non incidendo questa diversità di calcolo sulla complessiva attitudine della citata L. n. 89 del 2001 ad assicurare l’obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo (Cass. n. 11566 del 2008; n. 1354 del 2008; n. 23844 del 2007).

Infine, va tenuto conto della più recente giurisprudenza di questa Sezione e con i criteri desumibili dalle decisioni della Corte di Strasburgo del 2010 sui ricorsi MARTINETTI ET CAVAZZUTI c. ITALIE e GHIROTTI ET BENASSI C. ITALIE per i giudizi contabili e amministrativi e, in particolare, del principio enunciato da Sez. 1^, Sentenza n. 13019 del 2010, secondo cui deve ritenersi congrua, anche in base a quanto afferma la Corte d’appello in ordine alla esiguità della posta in gioco per l’esiguità del trattamento pensionistico chiesto e denegato dalla Corte dei Conti, la riparazione per la somma indicata di meno di Euro 500,00 annui, anche maggiore di quella recentemente determinata dalla C.E.D.U. per il danno non patrimoniale di un processo amministrativo italiano (Sez. 2^, 16 marzo 2010, Volta et autres c. Italie, Ric. 43674/02).

Nella concreta fattispecie la Corte di merito si è attenuta ai criteri innanzi richiamati. Peraltro, non risulta specificamente impugnata la decisione della Corte di merito nella parte in cui ha operato la riduzione dell’indennizzo in ragione del concorso di colpa dell’attore per la mancata presentazione dell’istanza di prelievo.

Le argomentazioni svolte dall’istante sono invece manifestamente astratte, scollegate dalla fattispecie concreta e non si danno carico di dedurre le ragioni specifiche che dovrebbero evidenziarne l’illogicità, risultando prive di ogni specifica indicazione in ordine all’entità della controversia ed alla deduzione di ulteriori elementi già nella fese di merito.

2.1.- I motivi indicati nel par. 1.1 possono essere esaminati congiuntamente, perchè logicamente connessi, sembrano manifestamente inammissibili. Il decreto ha dichiarato compensate le spese del giudizio, ritenendo sussistenti giusti motivi, in relazione ai limiti di accoglimento della domanda.

Al riguardo, va ribadito che la compensazione delle spese processuali spetta al potere discrezionale del giudice del merito, che può disporla nel caso di soccombenza reciproca o qualora sussistano altri giusti motivi; la relativa motivazione è censurabile in questa sede ex art. 360 c.p.c., n. 5, ed il relativo vizio sussiste quando le argomentazioni del giudice del merito si palesino del tutto carenti o insufficienti, ovvero illogiche, incongruenti o contraddittorie.

Nella specie, la motivazione sopra riportata è immune dalle censure, in relazione alla notevole divergenza tra quanto richiesto (Euro 12.750,00) e quanto accordato a titolo di equa riparazione.

Pertanto, il ricorso può essere trattato in Camera di consiglio, ricorrendone i presupposti di legge”.

p. 2 . – Il Collegio ritiene di non poter condividere le conclusioni della relazione e le argomentazioni sulle quali esse si fondano in relazione all’entità dell’indennizzo, posto che il giudice del merito si è irragionevolmente discostato dai parametri CEDU. Pertanto, cassato il decreto impugnato, ritenute assorbite le censure relative alle spese, la Corte, in applicazione dei criteri di cui a Cass., Sez. 1^, Sentenza n. 21840 del 14/10/2009, può decidere la causa nel merito ex art. 384 c.p.c., liquidando alla parte ricorrente la somma di Euro 4.250,00.

Le spese – liquidate in dispositivo – seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte, accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione, cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna l’Amministrazione a corrispondere alla parte ricorrente la somma di Euro 4.250,00, per indennizzo, gli interessi legali su detta somma dalla domanda e le spese del giudizio:

che determina per il giudizio di merito nella somma di Euro 50,00 per esborsi, Euro 378,00 per diritti e Euro 445,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge e che dispone siano distratte in favore del difensore antistatario; e per il giudizio di legittimità in Euro 595,00 di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge e che dispone siano distratte in favore del difensore antistatario.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 2 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 4 aprile 2011

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