Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7678 del 03/04/2020

Cassazione civile sez. I, 03/04/2020, (ud. 06/02/2020, dep. 03/04/2020), n.7678

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 17763/2017 proposto da:

Telecom Italia S.p.a., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via delle Quattro

Fontane n. 161, presso lo studio dell’avvocato Anglani Angelo, che

la rappresenta e difende unitamente all’avvocato Toffoletti Luca,

Toffoletto Alberto, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

e contro

Brennercom S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, Via del Governo Vecchio n. 20,

presso lo studio dell’avvocato Valli Andrea, che la rappresenta e

difende, giusta procura in calce al controricorso e ricorso

incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

Telecom Italia S.p.a., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via delle Quattro

Fontane n. 161, presso lo studio dell’avvocato Anglani Angelo, che

la rappresenta e difende unitamente all’avvocato Toffoletti Luca,

Toffoletto Alberto, giusta procura in calce al ricorso principale;

– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 1/2017 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 02/01/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

06/02/2020 dal Cons. Dott. IOFRIDA GIULIA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CAPASSO Lucio, che ha concluso per il rigetto di entrambi i ricorsi;

udito, per la ricorrente, l’Avvocato Toffoletti Luca che si riporta;

udito, per la controricorrente, l’Avvocato Valli Andrea che si

riporta.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Milano, con sentenza n. 1/2017, depositata in data 2/1/2017, – in una controversia promossa dalla Brennercom spa, dinanzi al Tribunale di Milano, Sezione Specializzata, con atto di citazione notificato nel marzo 2010, per sentire accertare l’illecito antitrust perpetrato da Telecom Italia spa ai suoi danni, in violazione degli arttt. 81- 82 TCE, ora art. 102 TFUE, per avere la prima praticato, dal 1999 al 2005, alle proprie divisioni commerciali condizioni tecniche/economiche più favorevoli rispetto a quelle praticate ai concorrenti (tramite offerte di servizi di fonie fisso-mobile che prevedevano soluzioni tecniche alternative per trasformare il traffico fisso-mobile nel meno costoso mobile-mobile; offerta di contratto di carrier selection, che garantivano sconti forti sulla direttrice fisso-mobile), con conseguente sua condanna al risarcimento dei danni, ha parzialmente riformato la decisione di primo grado.

Quest’ultima, all’esito del provvedimento sanzionatorio irrogato dall’AGCM, nel procedimento A/357, ai danni di Telecom Italia, avente valenza di prova privilegiata (limitatamente all’accertamento della posizione rivestita sul mercato dalla società indagata, alla qualifica di tale posizione come dominante ed all’accertamento della condotta anticoncorrenziale, integrante abuso di posizione dominante, ascritta a Telecom), nonchè, all’esito di una consulenza tecnica d’ufficio, in ordine al nesso causale tra il danno lamentato dall’attrice e la condotta abusiva di Telecom, in difetto di prova da parte di Telecom dell’assenza di un legame tra le proprie offerte, giudicate abusive dall’Autorità garante, ed il danno da esclusione lamentato dalla Brennercom, aveva condannato la convenuta perchè essa, con la propria condotta, – seppure non avesse in concreto, in difetto di prova relativa, sottratto traffico fisso-mobile per i clienti serviti da Brennercom -, aveva costretto l’attrice ad operare con margini inferiori di profitto rispetto a quelli che avrebbe potuto ottenere in assenza delle offerte sottocosto praticate da Telecom a TIM, a risarcire il danno da essa subito, da “compressione margini di profitto” (o “margin squeeze”), quantificato in Euro 433.000,00.

In particolare, il Tribunale, premesso che l’accertamento AGCM aveva valore di “prova privilegiata” soltanto in ordine all’accertamento della condotta di Telecom, alla sua posizione nel mercato ed alla qualificazione della prima come abuso, ha riconosciuto il nesso causale tra la pratica discriminatoria della predetta società ed il danno lamentato dall’impresa concorrente, operante nello stesso mercato ed in comunanza di clientela, in difetto di prova contraria di Telecom (circa i destinatari delle proprie offerte, sanzionate dall’Autorità, i clienti di rilevanti dimensioni, non rientranti nella tipologia di clientela servita da Brennercom), ed ha ritenuto, all’esito di una consulenza tecnica d’ufficio e di un supplemento peritale, che il danno conseguenza subito dalla Brennercom non era da sviamento di clientela, rimasto indimostrato, ma da compressione dei profitti, in quanto la maggiorazione dei costi di terminazione, praticata dall’impresa dominante, nel mercato all’ingrosso, aveva impedito a Brennercom di aumentare le proprie tariffe sul mercato finale del traffico fisso-mobile e quindi aveva precluso alla stessa maggiori profitti, essendo stato tale operatore costretto, a fronte delle basse tariffe applicate da Tim, ad abbassare i propri prezzi finali per sopravvivere sul mercato (c.d. margin squeeze); nell’impossibilità di conoscere i prezzi praticati effettivamente da Telecom alle divisioni interne (Tim), il consulente tecnico aveva ipotizzato uno scenario “controfattuale” in cui la Telecom dovesse applicare alle proprie divisioni commerciali lo stesso costo di terminazione applicato a Brennercom, con ripercussioni inevitabili sui prezzi finali delle suddette divisioni commerciali e stima della misura dell’aumento correlato delle tariffe finali risultate così applicabili da parte di Brennercom e l’ipotizzato incremento dei suoi profitti.

I giudici d’appello hanno respinto il gravame principale di Telecom, volto a contestare essenzialmente sia la sussistenza di un nesso di causalità tra l’abuso di posizione dominante accertato dall’AGCM ed il danno lamentato dall’operatore alternativo, sia la quantificazione operata dal Tribunale, ed accolto parzialmente quello incidentale di Brennercom, sul quantum della pretesa risarcitoria, sostenendo che:

1) in ordine al rapporto di concorrenza tra Brennercom e Telecom, affermato dal Tribunale per il servizio di telefonia fisso-mobile, vi era comunanza di clientela tra Tim, divisione commerciale di Telecom all’epoca, e Brennercom, società rientrante nel novero di quelle di piccole e medie dimensioni, in relazione alle offerte, per traffico sviluppato sulle linee mobili, “Non solo mobile” e “Selection Tim”, praticate da Tim, nel maggio 2004 e nel luglio 2005, dovendo ritenersi che la concorrente Brennercom per operare sul mercato di telefonia si rivolgesse non solo ad utenti singoli ma anche a piccole e media imprese, mentre altri piani tariffari, in precedenza offerti da Tim, erano rivolti a diversa tipologia di clienti, di maggiori dimensioni ed operanti su tutto il territorio nazionale; nè la Telecom (parte onerata a fronte della prova privilegiata rappresentata dall’accertamento AGCM) aveva dimostrato l’eccepita differenziazione di clientela, considerate le difficoltà derivanti dalla natura prognostica delle valutazioni e dall’alto tecnicismo della materia, aggravate dall’asimmetria informativa esistente tra operatore dominante e destinatario dell’abuso; 2) l’analisi economica, nell’individuazione del danno conseguente agli abusi escludenti, costituisce un supporto fondamentale, vertendosi in tema di accertamento necessariamente presuntivo del pregiudizio derivante da illecito antitrust, valutabile in termini di differenza tra flussi di cassa attesi e flussi effettivi; 3) non valevano ad escludere il nesso causale nè la mancanza di perdita di clientela per Brennercom nè la mancanza di modifica delle offerte commerciali praticate dalla stessa (per contrastare gli effetti della pratica discriminatoria di Telecom), trattandosi di danno non da perdita di clientela ma da riduzione di profitto e considerato che l’operatore Brennercom, entrato nel mercato nel 2000, allorchè gli operatori dominanti TIM e Vodafone avevano già imposto le proprie politiche commerciali, si era dovuto adeguare allo status quo; 4) il danno stimato dal Tribunale era conseguenza non del prezzo eccessivo praticato da Brennercom alla propria clientela, in quanto il costo di terminazione non poteva comunque superare il limite massimo fissato da AGCom, ma da discriminazione del prezzo dei servizi all’ingrosso di terminazione su rete mobile, tra la divisione servizi mobili di Telecom/Tim ed i concorrenti, con conseguente compressione dei margini; 5) in base ad una valutazione equitativa, mentre il Tribunale aveva prudenzialmente utilizzato ai fini del quantum del danno un valore medio, discostandosi dalla relazione suppletiva redatta dai consulenti tecnici (su richiesta della stessa Telecom), pur dovendo confermarsi (rispetto all’opzione, operata dal CTU nella relazione suppletiva, del duopolio, con Telecom detentrice di una quota di mercato del 70% e gli altri operatori con quote di molto inferiori) la delimitazione, operata dal Tribunale, del mercato rilevante oligopolistico con quattro operatori, con quote al 25% per cento ciascuno (Telecom, Wind, Vodafone e Brennercom), situazione questa conforme a quella accertata dall’AGCM, doveva elevarsi, in accoglimento parziale del secondo motivo del gravame incidentale della Brennercom, il danno da c.d. margin squeeze ad Euro 516.042,00 (sulla base della tabella 5 elaborata dal CTU), in considerazione della “sostituibilità molto elevata dei prodotti forniti dalle parti” (vale a dire del grado di somiglianza, a giudizio dei consumatori finali, dei prodotti offerti da Telecom e da Brennercom, imprese concorrenti).

Avverso la suddetta pronuncia, Telecom Italia spa propone ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, nei confronti di Brennercom spa (che resiste con controricorso e ricorso incidentale in due motivi). La ricorrente principale ha replicato con controricorso al ricorso incidentale. Entrambe le parti hanno depositato memorie.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. La ricorrente principale lamenta: 1) con il primo motivo, la violazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, degli artt. 1223, 2043 e 2056 c.c., per avere la Corte d’appello riconosciuto i danni da margin squeeze, da compressione dei margini di guadagno, nonostante non si fossero verificati nei confronti della Brennercom, concorrente nel mercato a valle, gli effetti della pratica discriminatoria dell’impresa dominante, con sviamento della clientela o modifiche della propria offerta, così riconoscendo un danno da ipotetica diminuzione dei profitti (per mancati maggiori profitti), non integrante un danno ingiusto risarcibile; 2) con il secondo motivo, la violazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, art. 2697 c.c., avendo la Corte di merito addossato su Telecom l’onere di provare la differenziazione di clientela (propria rispetto a quella di Brennercom) ed avendo ritenuto sussistente il nesso causale sulla base di ragionamenti probabilistici, pur non vertendosi in ipotesi di elevata asimmetria informativa e di vicinanza/lontananza dalla prova; 3) con il terzo e quarto motivo (denominati, tuttavia, in rubrica “quarto e quinto motivo”), la violazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, degli artt. 1223, 2043 e 2056 c.c., nonchè l’omesso esame di fatto decisivo, ex art. 360 c.p.c., n. 5, rappresentato dalla minore durata del rapporto di concorrenza tra le parti in causa, avendo la Corte d’appello riconosciuto danni alla luce di un arco temporale più ampio (2001/2007), corrispondente a quello di durata complessiva della pratica discriminatoria di Telecom, rispetto a quello in cui, secondo quanto accertato dalla stessa Corte, vi era stato un rapporto di concorrenza tra le parti per comunanza di clientela tra le due imprese (negli anni 2004 e 2005, in relazione alle sole offerte “Non solo mobile” e “Selection Tim”, praticate da Telecom, a clientela comune a Brennercom).

2. La ricorrente incidentale Brennercom lamenta, con il primo motivo, sia l’omesso esame, ex art. 360 c.p.c., n. 5, di fatto decisivo per il giudizio, sia la violazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, dell’art. 9 della Direttiva 2014/104/UE, per avere la Corte d’appello confermato la valutazione operata in primo grado in ordine alla sussistenza, nell’area geografica interessata, di un mercato oligopolistico con quattro operatori aventi quote simmetriche, anzichè di un duopolio nel quale Telecom deteneva una quota del 70% e gli altri operatori quote inferiori, il che avrebbe comportato la liquidazione di un danno maggiore a Brennercom; con il secondo motivo del ricorso incidentale, si lamenta poi la violazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, artt. 9 e 3 della Direttiva 2014/104/UE e degli artt. 1223, 2043 e 2056 c.c., per essersi la Corte d’appello discostata dalle conclusioni sia dell’AGCM sia degli stessi consulenti tecnici d’ufficio di primo grado, nella relazione suppletiva (Tabella 5), giungendo a ricostruire il mercato con la presenza di almeno quattro operatori aventi ciascuno il 25% di quota di mercato e liquidando un danno dimezzato rispetto al pieno risarcimento spettante.

3. Giova, preliminarmente, rammentare (come si evince dalla sentenza impugnata e da quella del Consiglio di Stato n. 2438/2011, emessa a conclusione del giudizio di impugnazione del provvedimento dell’AGCM) che, nel febbraio 2005, l’AGCM ha avviato un procedimento contro Wind, Telecom e Vodafone (operatori di rete – mobile c.d. integrati, in quanto forniscono servizi di comunicazione mobile attraverso infrastrutture di rete che utilizzano sulla base di risorse radio ad essi assegnate in via esclusiva e che sono anche titolari di licenze per operare servizi di telefonia su rete fissa), per pratica discriminatoria nel mercato all’ingrosso dei servizi di terminazione delle chiamate fisso-mobile sulle rispettive reti, nel periodo 1999/2005 (poi esteso al 2007 all’esito dell’istruttoria), finalizzata ad escludere i potenziali concorrenti nel mercato finale dei servizi di fonia fisso-mobile per la clientela aziendale, contestando ai suddetti tre operatori integrati di telefonia fisso-mobile l’offerta, alle proprie divisioni commerciali, di condizioni tecniche-economiche (offerta di maggiori dimensioni di servizi di fonia fisso-mobile, con soluzioni tecniche alternative, per trasformare il traffico fisso-mobile nel meno costoso mobile-mobile; offerta di contratti di carrer-selection, destinati alla clientela aziendale o alla grande clientela di affari, con forti sconti sulla direttrice fisso-mobile; tariffe, praticate alla clientela business, inferiori ai costi di terminazione che un operatore concorrente doveva supportare per offrire lo stesso servizio), per le chiamate fisso-mobile, più favorevoli rispetto a quelle applicate agli operatori di telefonia fissa concorrenti, per terminare le chiamate degli utenti di quest’ultimi sulle numerazioni di fonia mobile, rendendo, quindi, impossibile loro l’offerta di tariffe competitive.

Nel caso di specie, il fattore di produzione era rappresentato, per l’appunto, dal servizio di terminazione delle chiamate sulle reti degli operatori di fonia mobile, che gli operatori di fonia fissa hanno la necessità di acquistare per permettere ai propri clienti di chiamare le utenze di fonia mobile.

In data 28/7/2006, veniva adottata la Comunicazione delle Risultanze Istruttorie (c.d. CRI), con la quale venivano contestati, per quanto qui ancora interessa, tre abusi di posizione dominante individuale da parte delle suddette società nei mercati delle terminazioni sulle rispettive reti mobili.

Nei confronti di Vodafone, il procedimento non si concluse con l’accertamento dell’infrazione, ma con il provvedimento del 24 maggio 2007, con cui l’AGCM, senza accertare le infrazioni, accettò gli impegni offerti dalla stessa, ai sensi della L. 10 ottobre 1990, n. 287, art. 14 ter, impegni ritenuti idonei a far venire meno i profili anticoncorrenziali, con conseguente loro obbligatorietà e “stralcio” della relativa posizione di Vodafone dal procedimento.

Nei confronti di TELECOM e Wind, l’AGCM, all’esito dell’istruttoria conclusa nel 2006, accertò, invece, l’abuso di posizione dominante, in violazione dell’art. 82 del Trattato CE, nei rispettivi mercati all’ingrosso dei servizi di terminazione sulle proprie reti, consistente nell’applicazione alle proprie divisioni commerciali di condizioni tecniche/economiche per la terminazione delle chiamate fisso/mobili sulle proprie rispettive reti, più favorevoli rispetto a quelle praticate ai concorrenti, ed irrogò loro una sanzione amministrativa.

Nel provvedimento decisorio, l’AGCM osservò che i comportamenti abusivi di Telecom e Wind, iniziati già nel 1999 e protrattisi sino al 2007, erano stati rafforzati dalla risoluzione da parte dei due operatori dei contratti “business”, formalmente motivata dall’impiego di GSM Box in violazione di clausole contrattuali, senza alcuna offerta, nonostante reiterate richieste dei concorrenti, di servizi di terminazione all’ingrosso a condizioni economiche e tecniche tali da consentire a questi ultimi di formulare offerte di fonia fisso-mobile competitive.

Brennercom non ha partecipato al procedimento davanti all’AGCM.

4. Tanto premesso, le prime due censure del ricorso principale, concernenti il nesso causale tra condotta discriminatrice dell’impresa – dominante e danno ingiusto lamentato dall’impresa concorrente, sono infondate.

Questa Corte (Cass. 2305/2007) ha già da tempo chiarito che “l’azione risarcitoria, proposta dall’assicurato – ai sensi della L. n. 287 del 1990, art. 33, comma 2 norme per la tutela della concorrenza e del mercato) – nei confronti dell’assicuratore che sia stato sottoposto a sanzione dall’Autorità garante per aver partecipato ad un’intesa anticoncorrenziale tende alla tutela dell’interesse giuridicamente protetto (dalla normativa comunitaria, dalla Costituzione e dalla legislazione nazionale) a godere dei benefici della libera competizione commerciale (interesse che può essere direttamente leso da comportamenti anticompetitivi posti in essere a monte dalle imprese), nonchè alla riparazione del danno ingiusto, consistente nell’aver pagato un premio di polizza superiore a quello che l’assicurato stesso avrebbe pagato in condizioni di libero mercato. In siffatta azione l’assicurato ha l’onere di allegare la polizza assicurativa contratta (quale condotta finale del preteso danneggiante) e l’accertamento, in sede amministrativa, dell’intesa anticoncorrenziale (quale condotta preparatoria) e il giudice potrà desumere l’esistenza del nesso causale tra quest’ultima ed il danno lamentato anche attraverso criteri di alta probabilità logica o per il tramite di presunzioni, senza però omettere di valutare gli elementi di prova offerti dall’assicuratore che tenda a provare contro le presunzioni o a dimostrare l’intervento di fattori causali diversi, che siano stati da soli idonei a produrre il danno, o che abbiano, comunque, concorso a produrlo”, cosicchè “accertata, dunque, l’esistenza di un danno risarcibile, il giudice potrà procedere in via equitativa alla relativa liquidazione, determinando l’importo risarcitorio in una percentuale del premio pagato, al netto delle imposte e degli oneri vari”.

E’ stato successivamente confermato che, in tema di illecito antitrust, a fronte della presunzione di responsabilità desumibile dalle conclusioni assunte dall’Autorità Garante per la Concorrenza ed il Mercato, nonchè dalle decisioni del Giudice amministrativo che eventualmente abbiano confermato o riformato quelle decisioni, quali prova privilegiata, in relazione alla sussistenza del comportamento accertato o della posizione rivestita sul mercato e del suo eventuale abuso, l’impresa dominante sanzionata può fornire prova contraria concernente sia la sussistenza (o la interruzione) del nesso causale tra l’illecito concorrenziale e il danno sia l’entità di quest’ultimo, ma deve articolarla, in modo specifico, sugli aspetti non definiti dal provvedimento amministrativo di accertamento, stante il ruolo di prova privilegiata degli atti del procedimento pubblicistico condotto dall’Autorità garante (Cass. 3640/2009; Cass. 11610/2011; Cass. 7039/2012; Cass. 18176/2019).

Ora, la Corte d’appello ha ritenuto che il danno-conseguenza subito dalla Brennercom, per effetto dell’abuso escludente posto in essere da Telecom, forte di una posizione dominante nel mercato a monte, non implicante applicazione da parte di Telecom di un prezzo di terminazione sulla rete mobile “eccessivo” (essendo, anzi, lo stesso fissato dall’Agcom), ma una discriminazione di prezzo per i servizi all’ingrosso di terminazione tra la divisione dei servizi mobili di Telecom ed i suoi concorrenti e comportante acquisizione da parte dell’impresa dominante di un vantaggio competitivo sulle concorrenti nel mercato “a valle”, costrette a praticare prezzi inferiori a quelli che avrebbero potuto praticare in assenza dell’abuso, non si configurasse in termini di perdita di clientela ma di schiacciamento o compressione dei margini di profitto sulla clientela acquisita dalla concorrente.

La Corte d’appello ha ribadito che Brennercom non era stata in grado di dimostrare neanche un caso in cui il traffico fisso-mobile di un proprio cliente fosse stato fornito da Telecom ovvero in cui un cliente avesse chiesto uno sconto sul traffico fisso-mobile quale conseguenza di un’offerta di Tim; la Corte di merito ha rilevato che, mentre la pratica discriminatoria sanzionata era iniziata nel 1999, Brennercom era entrata sul mercato della telefonia nel 2000, allorchè gli operatori c.d. integrati avevano già imposto le proprie politiche commerciali, e si era semplicemente adeguata allo status quo.

Orbene, in punto di sussistenza del nesso causale, deve osservarsi che, quanto al rapporto di concorrenza, è stato ritenuto esistente un rapporto di concorrenza tra Telecom/Tim e Brennercom, per il servizio di telefonia fisso/mobile nell’ambito territoriale del Nord-Est nazionale, secondo il giudice di primo grado, e quantomeno dal 2004/2005, in relazione alle offerte per traffico sviluppato sulle linee mobili, “Non solo mobile” e “Selection Tim”, praticate da Tim, in quegli anni, e rivolto al medesimo bacino di utenza di Brennercom (le piccole e medie imprese), secondo la precisazione operata dalla Corte d’appello, che comunque ha respinto il relativo motivo di gravame della Telecom. Ma la seconda precisazione non è in contrasto con la prima.

Si è dato anzitutto il giusto rilievo di prova privilegiata all’accertamento operato da AGCM in ordine all’abuso, perpetrato da Telecom sull’intero territorio nazionale e nel periodo dal 1999 al 2007, in relazione alle offerte riguardanti tutta la clientela business o aziendale.

Inoltre, pacifico che l’operatore Brennercom era attivo dal 2000 nel settore della telefonia, quindi nel medesimo settore, a valle, in cui operano Telecom e le proprie divisioni commerciali, ciò che è risultato decisivo, trattandosi di accertato abuso escludente dell’impresa dominante attuato nel mercato a monte (per maggiorazione dei costi di terminazione, nel mercato all’ingrosso, praticato ai concorrenti rispetto alle condizioni economiche applicate all’interno, alle proprie divisioni commerciali), ai fini che qui interessano in ordine alla verifica del nesso causale rispetto all’unico danno liquidato, da compressione dei margini di guadagno di Brennercom sulla clientela “acquisita” (essendosi formato il giudicato interno sulle diverse richieste del danneggiato di riconoscimento di danno da sviamento di clientela o di traffico, non accolte nei gradi di merito), è risultato che Brennercom ha dovuto corrispondere alla Telecom, dal momento del suo ingresso sul mercato, nel 2000, per effetto della pratica discriminatoria attuata da Telecom sin dal 1999, un prezzo superiore per la terminazione fisso/mobile rispetto a quello applicato alle proprie divisioni interne, con conseguente compressione, tra il 2001 ed il 2007 (come accertato in primo grado), dei suoi margini di profitto, avendo venduto servizi di telefonia fisso-mobile a prezzi inferiori a quelli che avrebbe potuto applicare in assenza dell’abuso di Telecom, a prescindere dagli anni 2004/2005 nei quali vi sono state le offerte più vantaggiose di Tim ai clienti aziendali finali, piccole-medie imprese, potenziali clienti finali anche di Brennercom.

In definitiva, come rilevato dalla Corte d’appello, nella specie il danno da abuso escludente, a fronte di un accertata condotta discriminatoria posta in essere da Telecom negli anni dal 1999 al 2007 nel mercato all’ingrosso dei servizi di terminazione delle chiamate fisso-mobile sulla propria rete e degli elementi indiziari offerti da Brennercom sugli effetti di detta condotta lesiva in termini di riduzione dei propri profitti, non è una realtà fenomenica sempre direttamente osservabile, potendo prospettarsi la necessità, come nel caso di danno da compressione dei margini, di ricostruire uno scenario “controfattuale”, al fine di accertare quale sarebbe stata la realtà economica di mercato laddove la condotta incriminata non vi fosse stata.

Quanto all’essere il danno liquidato sostanzialmente un danno da overcharge o sovraprezzo, basta rilevare che alla Brennercom non è stato liquidato l’intero differenziale tra il maggior costo pagato dalla stessa a Telecom per l’interconnessione di terminazione rispetto ai più convenienti prezzi di terminazione delle chiamate su rete mobile riservate dal Telecom alle proprie divisioni interne.

Quanto poi alla doglianza, oggetto del secondo motivo, di violazione dei principi sul riparto dell’onere probatorio, la Corte d’appello ha ritenuto che, a fronte della “prova privilegiata” desumibile dal provvedimento decisorio dell’AGCM (cfr. Cass. 3640/2011: “nel giudizio instaurato, ai sensi della L. n. 287 del 1990, art. 33, comma 2, per il risarcimento dei danni derivanti da intese restrittive della libertà di concorrenza, pratiche concordate o abuso di posizione dominante, sebbene le conclusioni assunte dall’Autorità Garante per la Concorrenza ed il Mercato, nonchè le decisioni del Giudice amministrativo che eventualmente abbiano confermato o riformato quelle decisioni, costituiscano una prova privilegiata, in relazione alla sussistenza del comportamento accertato o della posizione rivestita sul mercato e del suo eventuale abuso, ciò non esclude che sia possibile per le parti offrire prove a sostegno di tale accertamento o ad esso contrarie”), ove si era accertato che le offerte illecite perchè frutto di abuso escludente di Telecom erano indirizzate all’intera clientela aziendale, correttamente, spettasse a Telecom l’onere di offrire la prova contraria in ordine ad una effettiva diversa destinazione della totalità delle offerte illecite ad un bacino di utenza cui Brennercom era estranea e che detta prova non era stata offerta.

5. Le successive due doglianze del ricorso principale, in punto di quantificazione del danno, sono del pari infondate.

La Corte d’appello ha confermato la congruità del criterio di quantificazione del danno dato dalla riduzione del margine di guadagno della danneggiata, preferibile rispetto al criterio dell’overcharge o sovraprezzo (vale a dire, nella specie, della differenza tra il prezzo pagato in concreto a Telecom per i servizi di terminazione fisso-mobile ed il miglior prezzo che Brennercom avrebbe invece pagato qualora le fossero state applicate le medesime condizioni che Telecom applicava alle divisioni commerciali interne), in presenza, come nella specie, non di un’intesa restrittiva della concorrenza, ma di una pratica discriminatoria o abuso escludente, in quanto, da un lato, era stato impossibile quantificare, nel giudizio civile risarcitorio, il prezzo interno operato da Telecom alle proprie divisioni commerciali (mentre, in sede di procedimento antitrust, per l’Autorità Garante era stato sufficiente accertare che, in relazione ai prezzi finali operati sul mercato a valle da Telecom, ben inferiori ai prezzi finali applicati dagli operatori concorrenti, quest’ultima doveva avere necessariamente operato alle proprie divisioni commerciali tariffe molto ridotte) e, dall’altro lato, era verosimile che la stessa Brennercom avesse a sua volta proceduto, senza subire una significativa diminuzione della domanda, ad un ricarico del prezzo di vendita dei propri prodotti al consumatore finale (passing-on dell’overcharge), non essendo stato dimostrato l’assunto contrario, vale a dire che la Brennercom avesse rinunciato a traslare il sovraprezzo sui propri clienti, assorbendolo all’interno dell’impresa.

Lo scenario controfattuale, da confrontare con lo scenario effettivamente determinato dall’infrazione, era stato correttamente individuato in quello corrispondente alla situazione in cui Telecom avesse applicato alle proprie divisioni commerciali la stessa tariffa di terminazione applicata agli altri operatori, con conseguenti tariffe finali più elevate, il che avrebbe comportato, a cascata, la possibilità per la concorrente di praticare a sua volta tariffe maggiori.

Invero, in un contesto di domanda non rigida ma elastica nel mercato a valle, l’operatore concorrente, a fronte dell’aumento dei propri costi per effetto delle tariffe maggiori applicatele da Telecom nel mercato all’ingrosso, a monte, era stato costretto, al fine di evitare, aumentando il prezzo di vendita, una contrazione delle vendite, a realizzare un margine di profitto inferiore a quello che avrebbe potuto conseguire in assenza della pratica discriminatoria.

Il danno liquidato a Brennercom, da compressione dei margini di guadagno, è stato riconosciuto quale conseguenza della pratica discriminatoria dell’impresa dominante Telecom, posta in essere nel mercato a monte: l’impresa concorrente, per contrastarne gli effetti, nel mercato a valle, è stata costretta, per tutelare la propria posizione nel mercato e rimanere competitiva, a modificare le proprie offerte commerciali al ribasso, rinunciando ad una parte del proprio margine di guadagno, praticando tra il 2001 ed il 2007 prezzi, nella fornitura dei servizi di telefonia in terminazione su rete TIM, inferiori a quelli che avrebbe praticato in assenza della condotta abusiva di TIM.

Il danno è stato quantificato dal CTU ipotizzando che, a fronte di un aumento dei prezzi al dettaglio di Telecom, conseguente all’incremento dei suoi costi interni, Brennercom avrebbe aumentato i propri prezzi finali non per l’intero incremento dei prezzi di Telecom ma per il 14,3% dello stesso. Si tratta quindi di un importo diverso dal danno da overcharge, individuato nell’intero differenziale tra il maggior costo pagato da Brennercom a Telecom per l’interconnessione di terminazione rispetto ai più convenienti prezzi di terminazione delle chiamate su rete mobile riservati da TIM a se stessa.

Nè si tratta, come rimarcato dalla ricorrente principale anche in memoria, della tutela di un asserito interesse, non meritevole di protezione, del concorrente a praticare prezzi più alti ai consumatori, guadagnando di più, essendo stato tutelato il diritto della concorrente a margini di guadagno equi in un mercato competitivo e non distorto da pratiche discriminatorie escludenti.

Ora, in parte le doglianze ripropongono questioni già presenti nei primi due motivi (in particolare, in punto di ampiezza dell’arco temporale di riferimento per la condanna – 2001/2007 -, maggiore rispetto a quello in cui vi sarebbe stato un effettivo rapporto di concorrenza tra le parti – 2004/2005). Vanno quindi richiamate le considerazioni già espresse.

6. Le due censure del ricorso incidentale di Brennercom sono inammissibili.

Invero, con il primo motivo si deduce un omesso esame, ex art. 360 c.p.c., n. 5, di fatto decisivo, rappresentato dal diverso grado di concentrazione del mercato (a due concorrenti, anzichè a quattro), laddove la Corte d’appello ha preso in considerazione il dato emergente dalla relazione suppletiva, ritenendolo non condivisibile.

Non vi è stato quindi un mancato esame delle risultanze della CTU (cfr. Cass. 13922/2016; Cass. 13399/2018; Cass. 13770/2018).

Quanto poi all’asserita violazione dell’accertamento compiuto dall’Agcm, avente valenza di prova privilegiata, la doglianza è del tutto generica e priva di autosufficienza, non spiegandosi in quale parte del provvedimento sanzionatorio di AGcm vi sarebbe stato un simile accertamento in ordine all’esistenza di soli due operatori sul mercato rilevante (ed in tal caso ci si chiede quale esso sia; se ad es. quello all’ingrosso dei servizi di terminazione su rete mobile o quello al dettaglio dei servizi finali di comunicazione mobile), asseritamente violato dalla Corte d’appello.

Peraltro, si è trattato di una liquidazione necessariamente equitativa, conseguente alla stessa metodologia prescelta per la quantificazione del danno, vale a dire l’indagine controfattuale, e gli stessi consulenti tecnici nella tabella 5, contenuta nella Relazione integrativa, avevano proposto un intervallo di valori che andava da un minimo ad un massimo, a seconda della combinazione di due variabili, rappresentate dal grado di sostituibilità dei prodotti e servizi offerti da Telecom e da Brennercom ai clienti e dalla composizione del mercato di riferimento nell’area geografica interessata, il Trentino – Alto Adige.

La Corte d’appello, pur condividendo la valutazione del Tribunale circa la composizione del mercato del Trentino – Alto Adige, ha ritenuto di discostarsene nel quantum del danno, essendosi il giudice di primo grado attenuto ad una stima in termini “di estrema prudenza”: la Corte territoriale, avendo riconosciuto un grado di sostituibilità dei servizi offerti da Telecom e da Brennercom “elevato” e non “medio-alto”, ha liquidato, motivatamente, il maggior importo di Euro 516.032,00, traendolo dai valori indicati nella reazione suppletiva della CTU.

Ora, la censura della ricorrente incidentale, volta sostanzialmente a contestare la mancata scelta di una diversa conclusione (e di un maggior valore) indicata come preferibile nella relazione integrativa, involge in ogni caso, in difetto di violazioni di legge, una censura di merito, non potendo questa Corte procedere ad una autonoma valutazione delle risultanze degli atti di causa.

7. Per tutto quanto sopra esposto, va respinto il ricorso principale e dichiarato inammissibile quello incidentale.

In considerazione della soccombenza reciproca, vanno integramente compensate tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte respinge il ricorso principale e dichiara inammissibile quello incidentale; dichiara integralmente compensate tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della ricorrenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale e di quella incidentale, dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 6 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 3 aprile 2020

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