Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7675 del 18/04/2016


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Civile Sent. Sez. L Num. 7675 Anno 2016
Presidente: NOBILE VITTORIO
Relatore: TRIA LUCIA

SENTENZA
sul ricorso 27883-2008 proposto da:
CUOMO CAROLINA, CUOMO ANNAMARIA, CUOMO ANDREA,
LAURITANO GIULIA, nella qualità di eredi di CUOMO
CARMINE, elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE G
MAZZINI 4, presso lo studio dell’avvocato NUNZIO
AVALLONE, che li rappresenta e difende, giusta delega
2016

in atti;
– ricorrenti –

274

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, in
persona del legale rappresentante pro tempore,

Data pubblicazione: 18/04/2016

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE

s
BECCARIA 29, presso lo studio dell’avvocato
ALESSANDRO RICCIO, che lo rappresenta e difende
unitamente agli avvocati CLEMENTINA PULLI, NICOLA
VALENTE, giusta delega in atti;

avverso la sentenza n. 6381/2007 della CORTE
D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 15/11/2007 R.G.N.
2161/2003;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 21/01/2016 dal Consigliere Dott. LUCIA
TRIA;
udito l’Avvocato PULLI CLEMENTINA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. CARMELO CELENTANO che ha concluso per
l’inammissibilità in subordine rigetto del ricorso. .

– controricorrente-

Udienza del 21 gennaio 2016 – Aula B
n. 5 del ruolo – RG n. 27883/08
Presidente: Nobile – Relatore: Tria

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1.- La sentenza attualmente impugnata (depositata il 15 novembre 2007) accoglie, per
quanto di ragione, l’appello proposto da Giulia Lauritano, Carolina Cuomo, Anna Maria Cuomo e
Andrea Cuomo – tutti nella qualità di eredi legittimi di Carmine Cuomo – avverso la sentenza
del Tribunale di Torre Annunziata n. 3181/2002 e, in riforma di tale sentenza: a) riconosce, in
favore degli appellanti, il diritto alla pensione di inabilità per il periodo 1 ottobre 1998-31
dicembre 2003 e all’indennità di aCCOrnpnnament4, con decorrenza dall’I. marzo 2006 fino al
24 settembre 2006, data del decesso del de cuius; b) condanna l’INPS al pagamento dei ratei
maturati delle ordvvIderile rienrinxeltlfg rtill 111 AFFP~Irt iii leqqe_
La Corte d’appello di Napoli, per quel che qui interessa, precisa che, con riguardo al

riconoscimento della pensione di inabilità, non è lecito spingersi oltre la suindicata data (31
dicembre 2003), in quanto, per il requisito reddituale, risulta allegata certificazione – anche del
coniuge del defunto – della Agenzia delle Entrate fino al 2001 e con atto notorio fino al 31
dicembre 2003.
2.- Il ricorso di Giulia Lauritano e degli altri litisconsorti indicati in epigrafe domanda la
cassazione della sentenza per un unico motivo; resiste, con controricorso, l’INPS.
La causa, originariamente chiamata all’udienza del 10 aprile 2013, è stata rinviata a
nuovo ruolo per due volte onde acquisire dalla Corte d’appello il fascicolo d’ufficio completo.
Dopo la effettuazione del suindicato adempimento, la discussione della causa è stata
fissata nuovamente per l’odierna udienza.
MOTIVI DELLA DECISIONE
I

Sintesi del ricors9

1.- Con l’unico motivo di ricorso si denuncia vizio di motivazione circa il punto decisivo
della controversia – prospettato dalle parti – riguardante il riconoscimento del diritto alla
pensione di inabilità limitatamente al periodo 1 ottobre 1998-31 dicembre 2003, sull’assunto
della mancata allegazione della sussistenza del requisito reddituale per il periodo successivo.
Si sostiene che, invece, i redditi sia del defunto sia della sua coniuge sarebbero stati
aggiornati e prodotti all’udienza di discussione del 24 settembre 2007, con certificati
dell’Agenzia delle Entrate datati 31 dicembre 2006 e con dichiarazioni sostitutive di atto di
notorietà datati 22 maggio 2007, riprodotti in questa sede.
II – Esame delle censure
2. – Il ricorso è da respingere.
2.1.- Deve essere in primo luogo, precisato che non è in discussione che, si fini della
pensione di inabilità civile, il possesso del requisito reddituale costituisce OlétlietitO COStitlitIVO

del diritto alla prestazione assistenziale, sicché deve essere allegato e provato da parte
dell’interessato tempestivamente sin dal giudizio di primo grado (come, del resto, affermato da
questa Corte, con indirizzo consolidato: vedi per tutte: Cass. 29 gennaio 2015, n. 1704; Cass.
15 gennaio 2015, n. 547).

2.2.- Al riguardo va, in primo luogo, ricordato che, per fermi e condivisi orientamenti di
questa Corte, la denuncia di un vizio di motivazione, nella sentenza impugnata con ricorso per
cassazione – nel testo dell’art. 360, n. 5, cod. proc. civ. applicabile ratione temporis nella
specie (antecedente la modifica introdotta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv.
dalla legge 7 agosto 2012, n. 134) – non conferisce al giudice di legittimità il potere di
riesaminare autonomamente il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio,
ma soltanto quello di controllare, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza
logico-formale, le argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta in via esclusiva
l’accertamento dei fatti, all’esito della insindacabile selezione e valutazione della fonti del
proprio convincimento (vedi, per tutte: Cass. S.U. 27 dicembre 1997, n. 13045 e di recente,
fra le tante: Cass. 18 marzo 2013, n. 6710; Cass. 10 gennaio 2014, n. 377).
Mentre le censure formulate dai ricorrenti finiscono con l’esprimere un mero, quanto
inammissibile, dissenso rispetto alle valutazioni di merito delle risultanze probatorie di causa
effettuate dalla Corte d’appello con congrua motivazione nella quale l’iter logico-argomentativo
che sorregge la decisione di limitare al 31 dicembre 2003 il riconoscimento del diritto alla
pensione di inabilità a causa della mancata allegazione della sussistenza del requisito
reddituale per il periodo successivo è chiaramente individuabile, non presentando alcun profilo
di violazioni di legge o di manifesta illogicità o insanabile contraddizione (vedi, fra le tante:
Cass. S.U. 27 dicembre 1997, n. 13045 e, più di recente: Cass. 18 marzo 2011, n. 6288; Cass.
18 marzo 2013, n. 6710; Cass. 10 gennaio 2014, n. 377).
2.3.- A ciò può aggiungersi che – in simile prospettazione – le censure risultano anche
proposte senza il dovuto rispetto del principio di specificità dei motivi di ricorso per cassazione,
in base al quale il ricorrente qualora proponga delle censure attinenti l’esame o la valutazione
di documenti o atti processuali è tenuto ad assolvere il duplice onere di cui all’art. 366, n. 6,
cod. proc. civ. e all’art. 369, n. 4, cod. proc. civ. (vedi, per tutte: Cass. SU 11 aprile 2012, n.
5698; Cass. SU 3 novembre 2011, n. 22726).
Infatti, i ricorrenti pur avendo depositato la richiesta di trasmissione del fascicolo d’ufficio
ex art. 369, comma 3, cod. proc. civ., tuttavia si sono limitati ad allegare fotocopie informali
delle certificazioni riguardanti i redditi del defunto e degli eredi per il periodo successivo il 31
dicembre 2003 – dei quali lamentano il mancato esame – sostenendo di averli ritualmente
prodotti all’udienza di discussione del 24 settembre 2007, senza però dimostrare tale ultimo
assunto.
Ma, è jus receptum che, ai fini del rituale adempimento dell’onere imposto dall’art. 366,
primo comma, n. 6, cod. proc. civ., il ricorrente è tenuto ad indicare specificamente, a pena
d’inammissibilità del ricorso, non soltanto gli atti processuali e dei documenti sui quali il ricorso
si fonda, ma anche i dati necessari all’individuazione della loro collocazione quanto al momento
della produzione nei gradi dei giudizi di merito (Cass. 18 novembre 2015, n. 23575; Cass. 8
aprile 2013, n. 8569).
2

Ciò posto, va rilevato che nella specie, attraverso la denuncia del vizio di motivazione, si
contesta impropriamente la valutazione effettuata dalla Corte d’appello e congruamente
motivata in merito alla insussistenza di una prova idonea a dimostrare il possesso del requisito
reddituale per il periodo successivo al 31 dicembre 2003.

2.4.- Peraltro, va anche considerato che laddove il deposito suddetto fosse avvenuto
tempestivamente e ritualmente e la Corte d’appello non avesse tenuto conto delle certificazioni
in oggetto ci si troverebbe in una situazione che potrebbe eventualmente legittimare la
revocazione della sentenza stessa, ai sensi dell’art. 395, n. 4 cod. proc. civ., in quanto, in
ipotesi, si potrebbe asserire che ci si trovi in presenza di un errore di fatto “revocatorio”, che,
come è noto, si configura come un errore di percezione o una mera svista materiale che abbia
indotto il giudice a supporre l’esistenza o l’inesistenza di un fatto decisivo che risulti invece
incontestabilmente escluso o accertato alla stregua degli atti e dei documenti di causa, che non
riguardi norme giuridiche, perché la loro violazione o falsa applicazione costituisce un errore di
diritto (tra le innumerevoli, Cass. 10 giugno 2009, n. 13367; Cass. 2 ottobre 2013, n. 22569;
Cass. 28 luglio 2004, n. 14228).
III

Conclusioni

3.- In sintesi, il ricorso deve essere respinto.
Deve essere riconosciuto l’esonero dei ricorrenti dalle spese del giudizio di cassazione,
ricorrendo le condizioni previste dall’art. 152 disp. att. cod. proc. civ., nella formulazion
antecedente alle modifiche introdotte dal d.l. 30 settembre 2003, n. 269 convertito dalla legge
24 novembre 2003, n. 326, entrato in vigore il 2 ottobre 2003 e non applicabile quindi ratione

Sicché, anche da questo punto di vista, le censure appaiono inammissibili, precisandosi
che peraltro, dal fascicolo d’ufficio e da tutti gli atti in possesso di questa Corte – direttamente
presi in esame – non risulta il rituale avvenuto deposito in giudizio della certificazione
reddituale di cui si discute.

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