Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7674 del 04/04/2011

Cassazione civile sez. I, 04/04/2011, (ud. 10/02/2011, dep. 04/04/2011), n.7674

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – rel. Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore,

rappresentato e difeso, per legge, dall’Avvocatura Generale dello

Stato, e presso gli Uffici di questa domiciliato in Roma, Via dei

Portoghesi, n. 12;

– ricorrente –

coltro

A.G., B.A. e C.C.;

– intimati –

per la cassazione del decreto della Corte d’appello di Roma

depositato il 17 novembre 2008.

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

giorno 10 febbraio 2011 dal Consigliere relatore Dott. Vittorio

Zanichelli.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

L’Amministrazione ricorre per cassazione nei confronti del decreto in epigrafe della Corte d’appello che, liquidando per ciascuna parte Euro 7.500,00 per anni otto e mesi sei di ritardo, ha accolto i ricorsi riuniti con i quali è stata proposta domanda di riconoscimento dell’equa riparazione per violazione dei termini di ragionevole durata del procedimento fallimentare cui avevano partecipato quali creditori svoltosi dal maggio 1995 avanti al Tribunale di Napoli e ancora in corso alla data di presentazione dei ricorsi (novembre 2006).

Gli intimati non hanno proposto difese.

La causa è stata assegnata alla Camera di consiglio in esito al deposito della relazione redatta dal Consigliere Dott. Vittorio Zanichelli con la quale sono stati ravvisati i presupposti di cui all’art. 375 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

I primi quattro motivi con i quali si censura l’impugnata decisione per avere rigettato l’eccezione di prescrizione di parte della pretesa azionata sono manifestamente infondati, avendo già la Corte stabilito che “in tema di equa riparazione per violazione del termine di ragionevole durata del processo, la L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 4, nella parte In cui prevede la facoltà di agire per l’indennizzo in pendenza del processo presupposto, non consente di far decorrere il relativo termine di prescrizione prima della scadenza del termine decadenziale previsto dal medesimo art. 4 per la proposizione della domanda, in tal senso deponendo, oltre all’incompatibilità tra la prescrizione e la decadenza, se riferite al medesimo atto da compiere la difficoltà pratica di accertare la data di maturazione del diritto, avuto riguardo alla variabilità della ragionevole durata del processo in rapporto ai criteri previsti per la sua determinazione, nonchè il frazionamento della pretesa indennitaria e la proliferazione di iniziative processuali che l’operatività della prescrizione in corso di causa imporrebbe alla parte, in caso di ritardo ultradecennale nella definizione del processo” (Cassazione civile, sez. 1^, 30 dicembre 2009, n. 27719).

I motivi quinto e sesto con i quali si censura l’impugnata decisione per non aver considerato la modesta entità della posta in gioco, essendosi il credito retributivo dei ricorrenti ridotto notevolmente in conseguenza dell’intervenuto pagamento da parte dell’INPS del TFR e delle ultime tre mensilità, sono inammissibili in quanto partono da un presupposto di fatto (intervento dell’INPS) di cui non vi è traccia nel decreto impugnato e che oltretutto viene ritenuto sussistente solo in base ad una presunta prassi che non può essere considerata dato di comune esperienza.

L’ultimo motivo censura sotto il profilo della violazione di legge la quantificazione in anni tre della durata ragionevole di una procedura fallimentare qualificata di media complessità.

La censura è manifestamente fondata.

Per quanto attiene al periodo di ragionevole durata del procedimento fallimentare questa Corte ha già avuto modo di osservare che “i criteri ed il parametro elaborati per i giudizi ordinar di cognizione, ovvero per il processo di esecuzione singolare, non sono meccanicamente estensibili alla procedura fallimentare. Secondo il più recente orientamento di questa Corte, occorre infatti tenere conto che questa è caratterizzata, di regola, da una peculiare complessità in considerazione sia della presenza – nella maggioranza dei casi – di una pluralità di creditori, sia della necessità di un numero di adempimenti non semplici (relativi all’accertamento dei crediti, alla individuazione e definizione dei rapporti in corso, al recupero dei crediti, alla ricostruzione dell’attivo, alla liquidazione), stabiliti proprio al fine e nei tentativo di realizzare al meglio i diritti dei creditori” (Cass. n. 2195 del 2009; n. 8497 del 2008). Dunque, la ragionevolezza impone che, nell’interesse anzitutto dei creditori, una siffatta complessa attività possa e debba essere svolta senza il rischio che un incongruo termine giustifichi e legittimi valutazioni giuridiche superficiali, sino a far privilegiare le soluzioni più rapide, eventualmente anche in danno della massa dei creditori.

Nel fissare il termine di ragionevole durata, nella valutazione della complessità della vicenda processuale, deve quindi tenersi conto delle fasi strumentali alla definizione dei rapporti e della liquidazione dei beni, rilevanti in quanto incidenti sulla complessità del caso, ferma restando la necessità di estendere il sindacato anche alla durata di dette cause, ed alle ragioni delle medesime, avuto riguardo alla loro obiettiva difficoltà ed alla mole dei necessari incombenti (Cass. n. 10074 del 2008; n. 20040 del 2006;

n. 29285 del 2005; n. 20275 del 2005), restando escluso che siano ascrivibili a disfunzioni dell’apparato giudiziario tutti i tempi occorsi per l’espletamento delle attività processuali correlate a valutazioni e determinazioni assunte dal giudice nella conduzione di detta procedura, non sindacabili nel giudizio di equa riparazione (Cass. n. 2248 del 2007).

Pertanto, la durata ragionevole del fallimento, all’evidenza, non è suscettibile di essere predeterminata ricorrendo allo stesso standard previsto per il processo ordinario, in quanto ciò è impedito dalla constatazione che il fallimento “è, esso stesso, un contenitore di processi”, con la conseguenza che la durata ragionevole stimata in tre anni può essere tenuta ferma solo nel caso di fallimento con unico creditore, o comunque con ceto creditorio limitato, senza profili contenziosi traducentisi in processi autonomi (Cass. n. 2195 del 2009).

Ciò posto, poichè la stessa pluralità dei creditori attuali intimati e il contenzioso relativo ai crediti da loro insinuati esclude l’assoluta semplicità della procedura è errata la pronuncia impugnata che ha ritenuto applicabile sic et simpliciter il termine triennale.

L’impugnato decreto deve dunque essere cassato.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto la causa può essere decisa nel merito e pertanto, ritenuto ragionevole in base alla richiamata giurisprudenza, il termine di anni cinque per la durata di una procedura fallimentare di media entità e quindi individuato in anni sei e mesi sei quella eccedente, il Ministero della Giustizia deve essere condannato al pagamento in favore di ciascuna delle parti di Euro 5.625,00 così quantificato l’equo indennizzo in forza della giurisprudenza della Corte (Sez. 1^, 14 ottobre 2009, n. 21840) a mente della quale l’importo dell’indennizzo può essere ridotto ad una misura inferiore (Euro 750,00 per anno) a quella del parametro minimo indicato nella giurisprudenza della Corte europea (che è pari a Euro 1.000,00 in ragione d’anno) per i primi tre anni di durata eccedente quella ritenuta ragionevole in considerazione del limitato patema d’animo che consegue all’iniziale modesto sforamento mentre solo per l’ulteriore periodo deve essere applicato il richiamato parametro.

Le spese della fase di merito possono essere compensate per un terzo in considerazione della riduzione della pretesa e poste per il residuo a carico dell’Amministrazione.

Il parziale accoglimento del ricorso giustifica la compensazione per un mezzo di quelle di questa fase che per il residuo debbono essere poste a carico degli intimati.

P.Q.M.

la Corte accoglie il ricorso nei limiti di cui in motivazione, cassa in parte qua il decreto impugnato e condanna il Ministero della Giustizia a pagamento in favore di ciascuna delle parti private della somma di Euro 5.625,00 oltre interessi di legge dalla data della domanda; compensa per un terzo le spese del giudizio di merito che, per l’intero, liquida in complessivi Euro 1.029,00 di cui Euro 534,00 per diritti, Euro 445,00 per onorari, oltre spese generali e accessori di legge, e condanna il Ministero al pagamento del residuo;

spese distratte in favore dei difensori antistatari; compensa per un mezzo le spese di questa fase liquidandole, per l’intero, in Euro 800,00 oltre spese prenotate a debito, e condanna gli intimati alla rifusione del residuo in favore dell’Amministrazione.

Così deciso in Roma, il 10 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 4 aprile 2011

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA