Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7674 del 03/04/2020

Cassazione civile sez. I, 03/04/2020, (ud. 31/01/2019, dep. 03/04/2020), n.7674

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 5802/2019 r.g. proposto da:

A.Y.F., (cod. fisc. (OMISSIS)), rappresentato e difeso,

giusta procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avvocato

Giacinto Corace, presso il cui studio è elettivamente domiciliato

in Roma, Via Lamarmora n. 42.

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (cod. fisc. (OMISSIS)), in persona del legale

rappresentante pro tempore il Ministro.

– intimato –

avverso la sentenza della Corte di appello di Milano, depositata in

data 11.1.2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

31/1/2019 dal Consigliere Dott. Roberto Amatore.

Fatto

RILEVATO

che:

1. Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Milano ha rigettato l’appello proposto da A.Y.F., cittadino del Ghana, avverso l’ordinanza emessa in data 31.5.2017 dal Tribunale di Milano, con la quale erano state respinte le domande volte ad ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato e la richiesta protezione sussidiaria ed umanitaria.

La corte del merito ha, in primo luogo, ricordato la vicenda personale del richiedente, secondo il racconto svolto da quest’ultimo; il ricorrente ha infatti narrato: a) di essere stato costretto a lasciare il suo paese di origine perchè accusato della morte della moglie, in seguito ad una rissa avvenuta in un bar; b) più in particolare, di aver cagionato la morte di diverse persone somministrando in un chiosco bar vino di palma adulterato, esponendosi così alla vendetta dei congiunti, che avevano distrutto il locale ed ucciso così anche la moglie.

La corte territoriale ha dunque ritenuto che: 1) il racconto della vicenda determinante la decisione di emigrare non era credibile, perchè incoerente e non circostanziato); 2) non era fondata la domanda volta al riconoscimento dello status di rifugiato, in quanto il richiedente non era stato oggetto di atti di persecuzione; 3) non sussistevano neanche i presupposti per il riconoscimento dell’invocata protezione sussidiaria, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c; 4) non era possibile neanche riconoscere la residua forma di protezione umanitaria, in assenza della dimostrazione di uno stato di vulnerabilità soggettiva del richiedente, che era emigrato solo per ragioni di carattere economico.

2. La sentenza, pubblicata l’11.1.2019, è stata impugnata da A.Y.F. con ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi.

L’amministrazione intimata non ha svolto difese.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 4,5,6 e 14, nonchè del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 27, artt. 2 e 3 Cedu, nonchè omesso esame di fatti decisivi.

2. Il secondo mezzo denuncia violazione dei parametri normativi relativi alla credibilità delle dichiarazioni del richiedente fissati dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. c, non avendo i giudici del merito svolto alcuna valutazione comparativa tra le informazioni provenienti dal richiedente e la situazione personale mediante la cooperazione istruttoria incombente sull’autorità giudiziaria. Si evidenzia l’omessa indicazione e ricerca di fonti informative per trovare riscontri alle allegazione di parte ricorrente.

3. Con il terzo motivo si articola vizio di omesso esame di fatti decisivi e violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3 e 14, nonchè del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 27 e degli artt. 2 e 3 Cedu.

4. Con il quarto mezzo il ricorrente evidenzia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, comma 2 e dell’art. 10 Cost., comma 3, nonchè motivazione meramente apparente in relazione al diniego della richiesta protezione umanitaria.

5. Il ricorso è inammissibile.

5.1 Il primo e terzo motivo possono essere esaminati congiuntamente e devono essere dichiarati inammissibili.

Sul punto, deve essere evidenziato come la parte ricorrente non intercetti, in relazione alla invocata protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. b, ed in riferimento al pericolo dell’agente di danno privato, la ratio decidendi della motivazione impugnata, le cui argomentazioni evidenziano la non credibilità del racconto del richiedente protezione.

La mancata corretta impugnazione della ratio della decisione rende irrilevanti le ulteriori censure mosse con i due motivi di ricorso sopra ricordati.

5.2 Inammissibile è anche il secondo motivo di censura per genericità dello stesso.

La parte ricorrente non indica in alcun modo il motivo di gravame in relazione al diniego di protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c, in relazione al quale il giudice di appello sarebbe incorso nella omessa indicazione delle fonti informative necessarie per il giudizio di pericolosità interna del paese di provenienza del ricorrente.

5.3 Inammissibile è anche il quarto motivo – articolato in relazione al diniego della reclamata protezione umanitaria – in quanto versato in fatto e volto a sollecitare la Corte di legittimità ad una rilettura della documentazione prodotta nei gradi di merito per la rivisitazione del merito della decisione.

Ne discende la declaratoria di inammissibilità del ricorso.

Nessuna statuizione è dovuta per le spese del giudizio di legittimità, stante la mancata difesa dell’amministrazione intimata.

Per quanto dovuto a titolo di doppio contributo, si ritiene di aderire all’orientamento già espresso da questa Corte con la sentenza n. 9660-2019.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 31 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 3 aprile 2020

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