Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7673 del 18/03/2021

Cassazione civile sez. VI, 18/03/2021, (ud. 02/12/2020, dep. 18/03/2021), n.7673

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. SCOTTI U.L.C. Giuseppe – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 2834-2019 proposto da:

B.A., elettivamente domiciliato presso l’Avvocato

NICOLOSI ALFREDO, dal quale è rappres. e difeso, con procura

speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

UNICREDIT s.p.a., in persona del legale rappresentante pro-tempore,

elettivamente domiciliata presso la cancelleria della CORTE DI

CASSAZIONE, in PIAZZA CAVOUR, ROMA, rappresentata e difesa

dall’Avvocato GRASSO ROSARIO GIUSEPPE, con procura speciale in calce

al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2250/2018 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 25/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 02/12/2020 dal Consigliere relatore, Dott. CAIAZZO

ROSARIO.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

B.A. convenne innanzi al Tribunale di Catania l’Unicredit s.p.a., chiedendo la condanna della stessa al pagamento di due titoli in scadenza, il 3.7.98, e il 15.6.99; la banca si costituì eccependo la prescrizione e l’intervenuto pagamento dell’unico titolo acquistato dall’attore il 3.7.98 e scaduto il 16.6.99.

Con sentenza emessa nel 2014, il Tribunale rigettò la domanda; avverso tale sentenza propose appello il B. deducendone l’illogicità e l’erroneità; l’Unicredit resistette all’impugnazione eccependone l’infondatezza.

Con sentenza emessa il 25.10.18, la Corte d’appello respinse l’appello, osservando che: anzitutto, l’appellante aveva chiesto, in primo grado, la condanna della banca convenuta al pagamento dei due titoli acquistati, mentre nell’atto d’appello, modificando la domanda, con motivo inammissibile, il B. aveva richiesto la condanna della banca alla restituzione delle somme depositate su due conti correnti; dalla documentazione prodotta dall’appellante si evinceva che, in data 3.7.98, il B. aveva acquistato un bot annuale per il valore di lire 30.000.000, scaduto il 15.6.99, e che tale titolo era stato rimborsato con accredito del controvalore pari a lire 29.996,147 su conto corrente intestato allo stesso appellante; dalla movimentazione contabile prodotta dalla banca si desumeva altresì che la suddetta somma fu prelevata dallo stesso conto corrente il 16.6.99; non era stato provato l’acquisto di altri titoli, a nulla rilevando la lieve divergenza dei numeri tra il codice del titolo acquistato e quello del titolo rimborsato, atteso che tutti gli altri dati relativi al bot coincidevano perfettamente e che, in ogni caso, sarebbe stato onere dell’appellante fornire la prova dell’acquisto dell’altro titolo invocato o della titolarità di altro conto corrente.

B.A. ricorre in cassazione con quattro motivi.

Resiste l’Unicredit s.p.a. con controricorso.

Diritto

RITENUTO

Che:

Il primo motivo denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c., avendo la Corte territoriale errato nel pronunciare l’inammissibilità dell’appello avverso la sentenza del Tribunale, ai sensi dell’art. 281-sexies c.p.c., nella parte in cui quest’ultima aveva dichiarato inammissibile la domanda di restituzione delle somme depositate sui conti correnti bancari, sulla base dell’asserita modifica della domanda originaria. Al riguardo, il ricorrente assume che: in primo grado, aveva dedotto di non aver mai ottenuto il pagamento dei due titoli acquistati, avendo in appello specificato che, fermo restando il mancato incasso dei corrispettivi dei titoli spettanti, le relative somme erano state accreditate sui conti correnti, ma non incassate.

Il secondo motivo denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 2935 e 2936 c.c., nonchè omesso esame di un fatto decisivo, discusso dalle parti, avendo la Corte distrettuale confermato la fondatezza dell’eccezione di prescrizione- per mancata prova di atti interruttivi- senza tener conto della mancata scadenza del termine per esigere i crediti per cui è causa, dato che, venendo in rilievo un deposito bancario, la prescrizione decennale inizia a decorrere da quando il depositante chiede la restituzione delle somme, anche considerando la normativa sui rapporti “dormienti” (dato che il ricorrente non sarebbe mai stato avvisato formalmente).

Il terzo motivo deduce la nullità della sentenza impugnata, per violazione degli artt. 132 e 156 c.p.c., nonchè per illogicità della motivazione ed erronea valutazione della prova, avendo la Corte territoriale errato nel ritenere non dimostrato l’acquisto di altri titoli, oltre al bot annuale, fatto documentato e non correttamente esaminato.

Il quarto motivo denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., poichè il ricorrente era stato condannato al pagamento delle spese del giudizio di appello nonostante la incontrovertibile fondatezza del gravame da lui proposto.

Il primo motivo è inammissibile. Invero, il ricorrente si duole che la Corte territoriale abbia ritenuto inammissibile il motivo d’appello sulla domanda di restituzione delle somme depositate sui conti correnti, riportandosi ad uno stralcio dell’atto di citazione in appello.

Al riguardo, va osservato che la doglianza non soddisfa il requisito di specificità prescritto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, limitandosi ad una parziale quanto non chiara trascrizione dell’atto di appello senza indicare specificamente nè il contenuto nè la collocazione negli atthEell’atto di citazione in primo grado; atti dei quali ha, peraltro, omesso anche l’allegazione prescritta dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4.

Il secondo motivo è inammissibile per carenza d’interesse. Il ricorrente si duole del fatto che la Corte territoriale abbia confermato la fondatezza dell’eccezione di prescrizione sollevata dalla parte convenuta, per mancanza di prova da parte dello stesso B. circa il compimento di atti interruttivi, senza esaminare i rilievi formulati dal medesimo circa il mancato decorso dei termini prescrizionali. Ora, il giudice d’appello non ha confermato la fondatezza della eccezione di prescrizione, si è piuttosto limitato ad evidenziare che il giudice di primo grado non aveva accolto tale eccezione, avendo rigettato la domanda in quanto infondata. Pertanto, il ricorrente non ha nessun interesse ad impugnare tale punto della decisione, non essendo a lui certo sfavorevole l’omessa pronuncia sull’eccezione di prescrizione sollevata dalla controparte; ne consegue altresì l’assoluta irrilevanza del riferimento alla questione del decorso del termine di prescrizione riguardante i depositi bancari cd. “dormienti”.

Il terzo motivo, parimenti inammissibile, è declinato attraverso due censure: la prima afferente al vizio della motivazione, per illogicità della stessa; la seconda attinente all’omessa pronuncia sulle prove relative ai titoli acquistati dal ricorrente. La prima doglianza è inammissibile in quanto vertente su un vizio motivazionale non predicabile ratione temporis, in ordine all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non emergendo alcun profilo di palese contraddittorietà della motivazione il cui contenuto è ben chiaro e non integra alcuna ipotesi di nullità prevista dal vigente art. 360 c.p.c. con riferimento all’art. 132 c.p.c..

La seconda censura è del pari inammissibile, essendo semplicemente diretta alla confutazione della valutazione, compiuta dal giudice di merito, delle risultanze della documentazione in atti (nel senso che non prova l’acquisto di altri titoli), valutazione che, in quanto motivata, si sottrae alla verifica di legittimità.

Infine, va dichiarata l’inammissibilità anche del quarto motivo perchè censura la attribuzione delle spese del giudizio di appello a carico del ricorrente senza contestare la sua piena soccombenza, limitandosi ad affermare che il gravame sarebbe stato fondato nel merito.

Le spese seguono la soccombenza.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida nella somma di 4200,00 di cui 200,00 per esborsi, oltre alla maggiorazione del 15 per cento quale rimborso forfetario delle spese generali.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 2 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 18 marzo 2021

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