Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7667 del 24/03/2017


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Cassazione civile, sez. un., 24/03/2017, (ud. 06/12/2016, dep.24/03/2017),  n. 7667

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CANZIO Giovanni – Primo Presidente –

Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente di sez. –

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Presidente di sez. –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente di sez. –

Dott. BIANCHINI Bruno – Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – rel. Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 24664/2014 R.G. proposto da:

A2A S.P.A., in persona del legale rappresentante rappresentata e

difesa dagli avv.ti Ernesto Conte ed Ilaria Conte, con domicilio

eletto presso il loro studio in Roma, via E. Q. Visconti, n. 99;

– ricorrente –

contro

REGIONE LOMBARDIA, in persona del Presidente p.t. rappresentata e

difesa dall’avv. Marco Cederle, con domicilio eletto in Roma, via

Spallanzani, n. 22/A, presso lo studio dell’avv. Ermanno La Marca;

– controricorrente –

avverso la sentenza del Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche, n.

150, depositata in data 9 luglio 2014;

sentita la relazione svolta all’udienza pubblica del 6 dicembre 2016

dal consigliere dott. Pietro Campanile;

sentito per la ricorrente l’avv. Ilaria Conti;

sentito per la controricorrente l’avv. Rizzo, munito di delega;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale dott. FUZIO Riccardo, il quale ha concluso per

l’accoglimento del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La S.p.a. A2a, titolare di tre grandi concessioni idroelettriche, impugnò innanzi al Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche (d’ora in poi, per brevità, T.S.A.P.) la Delib. Giunta Regionale della Lombardia 29 dicembre 2010, con la quale, datosi atto della scadenza delle concessioni stesse in data 31 dicembre 2010, si disponeva la prosecuzione temporanea dell’esercizio delle derivazioni a decorrere dal 1 gennaio 2011 fino al completamento delle procedure di assegnazione e comunque non oltre il 1 gennaio 2016, fermi gli obblighi di corrispondere i canoni demaniali e i sovracanoni oltre alla cessione gratuita di energia nei termini stabiliti, nonchè un canone aggiuntivo da definirsi e di effettuare i lavori di manutenzione straordinaria e ordinaria degli impianti idroelettrici.

2. La società contestò la legittimità del provvedimento nella parte in cui presupponeva la scadenza delle concessioni in data 31 dicembre 2010, ponendo in evidenza il contrasto – anche sotto il profilo della legittimità costituzionale – della L.R. n. 26 del 2003 con il D.Lgs. n. 79 del 1999, art. 12, comma 1 bis che aveva disposto la proroga di cinque anni delle concessioni delle grandi derivazioni idroelettriche.

3. Dedusse inoltre l’illegittimità costituzionale della citata L.R. n. 26 del 2003, art. 53 bis sia sotto il profilo, in relazione all’art. 3 Cost., della irragionevolezza, sia per contrasto, in relazione all’art. 117 Cost., comma 3, con il citato D.Lgs. n. 79 del 1999, art. 12.

4. Con la sentenza indicata in epigrafe il T. S. A. P. ha respinto il ricorso.

5. Per la cassazione di tale decisione la società propone ricorso, affidato a cinque motivi, illustrati anche da memoria.

La Regione Lombardia resiste con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. La ricorrente premette che già nel corso del giudizio era intervenuta la sentenza della Corte costituzionale n. 205 del 2011, che aveva dichiarato l’illegittimità del D.L. n. 78 del 2010, art. 15, comma 6 ter, con il quale era stato introdotto il comma 1 bis del D.Lgs. n. 79 del 1999, art. 12 con conseguente superamento, di cui aveva dato atto in comparsa conclusionale, dei primi due motivi del ricorso proposto innanzi al T.S.A.P..

2. Con la prima censura la società A2A lamenta violazione dell’art. 132 c.p.c., in relazione al successivo art. 156, dell’art. 3 codice del processo amministrativo e dell’art. 111 Cost.: la motivazione della decisione impugnata sarebbe meramente apparente, considerato che il rigetto del ricorso sarebbe stato argomentato dal decidente con considerazioni incomprensibili e, comunque, in gran parte estranee alla materia del contendere.

Ricorda all’uopo che, a norma degli artt. 3 e 39 del codice del processo amministrativo (D.Lgs. 2 luglio 2010, 104) – applicabili, in base al comb. disp. del R.D. n. 1775 del 1933, artt. 143 e 208 alle sentenze del T.S.A.P. – i provvedimenti decisori devono essere motivati in maniera chiara, applicandosi, in parte qua, le disposizioni del codice di procedura civile, in quanto espressione di principi generali.

3. Con il secondo mezzo l’esponente denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c. posto che il T.S.A.P. non avrebbe risposto a nessuno dei rilievi svolti nei motivi di ricorso.

4. La terza censura attiene alla violazione del D.L. n. 78 del 2010, art. 15, comma 6 quater, e del D.Lgs. n. 79 del 1999, art. 12, comma 8-bis.

5. Con il quarto motivo si deduce la nullità della decisione, ai sensi dell’art. 132 c.p.c., sotto il profilo della insussistenza di un nesso logico e giuridico fra l’affermazione di una carenza di interesse ad impugnare il provvedimento, in quanto non lesivo, ed il successivo rigetto nel merito del ricorso.

6. Si ripropongono, infine, le questioni di legittimità costituzionale già avanzate davanti al T.S.A.P. con il terzo ed il quarto motivo di ricorso.

7. La prima e la quarta censura, da esaminarsi congiuntamente in quanto fra loro intimamente correlate, sono fondate.

7.1 – Come rilevato di recente da queste Sezioni unite con le decisioni nn. 22229, 22230, 22231 e 22232 del 2016, relative a sentenze rese dal T.S.A.P. in casi analoghi e redatte in termini del tutto sovrapponibili a quella oggetto del presente scrutinio, si è in presenza di una “motivazione apparente” allorchè la motivazione, pur essendo graficamente esistente, come parte del documento in cui consiste il provvedimento giudiziale, non rende tuttavia percepibili le ragioni della decisione, perchè consiste di argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento, di talchè essa non consente alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice. Sostanzialmente omogenea alla motivazione apparente è poi quella perplessa e incomprensibile: in entrambi i casi – purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali – l’anomalia motivazionale, implicante una violazione di legge costituzionalmente rilevante, integra un error in procedendo e, in quanto tale, comporta la nullità della sentenza impugnata per cassazione (Cass., Sez. U, 5 agosto 2016 n. 16599; Cass., Sez. U, 7 aprile 2014, n. 8053).

7.2. Nel caso in esame il T.S.A.P., premesso che la ricorrente era titolare di tre grandi concessioni idroelettriche, tutte prorogate al 31 dicembre 2010, D.Lgs. 16 marzo 1999, n. 79, ex art. 12, comma 7, “con correlativa pendenza di procedimenti dilazionatori rispetto a tale scadenza” e che la delibera in data 31 dicembre 2010 era stata impugnata “per violazione del D.Lgs. n. 79 del 1999, art. 12, comma 1 bis, trattandosi di grandi derivazioni prorogate fino al 2015 ed in assenza di testuale disapplicazione della normativa statale prorogante e solo asseritamente cedevole, plurima incostituzionalità della L.R. n. 26 del 2003, art. 53 bis per contrasto con il D.Lgs. n. 79 del 1999, art. 12, commi 1 bis e 8 bis e violazione dell’art. 117 Cost., comma 2, lett. e), comma 3 e art. 53 Cost…. trattandosi di una proroga non irrazionale (5 anni), come quella (10 anni) fatta venir meno dalla Consulta con la sent. n. 1 del 2008”, ha ritenuto che il ricorso andasse respinto nel merito “per l’insussistenza di alcun vizio di violazione di legge in un provvedimento regionale motivato in base a una legge regionale in rapporto a una clausola di cedevolezza della legge statale, ad opera di una norma regionale successiva, come la L.R. Lombardia n. 26 del 2003, art. 53 bis come novellato dalla L.R. n. 19 del 2010, trattandosi di atto non lesivo con evidente carenza di interesse a impugnarlo e correlativa inammissibilità del ricorso (donde l’improspettabilità di un asserito diritto d’insistenza) in regime di prorogatio sine die, in palese infrazione dei criteri di trasparenza e concorrenza nel corretto uso dei beni pubblici: cfr. Corte cost., sent. n. 1/2008, ed cit. D.L. n. 78 del 2010, art. 15, comma 6-quater norma (poi dichiarata incostituzionale con sent. Corte cost. n. 205/2011) recante il criterio di cedevolezza dei commi 6, 6-bis e 6-ter e del D.Lgs. n. 79 del 1999, art. 12, comma 1 bis, introdotto proprio dal D.L. n. 78 del 2010, così superandosi il principio dell’intesa Stato-regioni di cui al D.Lgs. n. 112 del 1998); l’inevitabile correlazione del rinnovo concessorio con i canoni aggiuntivi a carico del concessionario prorogato per l’ulteriore uso degli impianti, divenuti di proprietà demaniale, a pena di decurtazione unilaterale di entrate regionali; impossibilità di disconoscere e poi ammettere il discusso principio di cedevolezza, tautologicamente riferendosi alla materia non dell’energia ma della concorrenza; senza peraltro indicare i confini tra competenza statali (proroga) e regionali (prosecuzione temporanea); apparendo soltanto l’eventuale rinvio delle gare programmate, mentre la parte attuale ricorrente avrebbe dovuto piuttosto interloquire nei tre procedimenti per i rinnovi concessori ancora pendenti; l’indeducibilità di un’eccessiva discrezionalità asseritamente destinata a caratterizzare la futura deliberazione (ovviamente allo stato carente di ogni ipotizzabile valenza provvedimentale)”.

7.3. Ha poi aggiunto il T.S.A.P., “a proposito del c.d. diritto di insistenza conferito dall’art. 37 cod. nav. in favore del titolare della concessione demaniale in scadenza, in occasione del suo rinnovo”, che “lo stesso non può essere inteso come un granitico meccanismo capace di escludere ogni confronto concorrenziale tra più istanze”, dovendosi avere riguardo ai principi comunitari “che impongono gare pubbliche ogni volta che si debbano affidare commesse o beni pubblici di rilevante interesse economico”, senza che in senso contrario possa valere il D.L. n. 400 del 1993, art. 1, comma 2 convertito nella L. n. 494 del 1993, secondo cui le concessioni demaniali destinate alla gestione di stabilimenti si rinnovano automaticamente alla scadenza per altri sei anni, “perchè tale disposizione va ora letta alla luce del principio concorrenziale enunciato dall’art. 17 cod. nav., rinvigorito dall’incardinamento nel sistema dei citati principi comunitari”.

8. Deve ribadirsi il giudizio espresso nelle richiamate decisioni di queste Sezioni unite secondo cui la motivazione resa dal T.S.A.P. non esplicita in maniera comprensibile le ragioni logiche e giuridiche poste a base della decisione.

Come è stato già evidenziato, il T.S.A.P. ha ritenuto di dover respingere nel merito il ricorso, pur dopo avere affermato che l’atto – e cioè, verosimilmente, il provvedimento regionale impugnato – era “non lesivo” e tale, quindi, da marcare di inammissibilità, per carenza di interesse, secondo la prospettazione dello stesso decidente, l’azione giudiziaria contro lo stesso intrapresa; ha evocato un regime di prorogatio sine die evidentemente estraneo alla materia del contendere, considerato che i motivi di ricorso, fondati o infondati che fossero, erano volti a far valere l’illegittimità del provvedimento impugnato in quanto adottato in applicazione di norme, segnatamente della L.R. n. 26 del 2003, art. 53 bis, giudicate in contrasto con il principio di ragionevolezza, di cui all’art. 3 Cost., con il D.Lgs. n. 79 del 1999, art. 12, comma 8 bis quale asserito, criterio fondamentale della materia, nonchè con l’art. 53 Cost.; ha stigmatizzato “l’impossibilità di disconoscere e poi ammettere il discusso principio di cedevolezza”, senza esplicitare dove e come esso fosse stato disconosciuto e poi ammesso, in guisa da rendere contraddittoria e insostenibile la linea difensiva dell’impugnante; ha contestato l’esistenza di un preteso diritto d’insistenza in maniera del tutto avulsa dalle argomentazioni giuridiche addotte dalla ricorrente per far valere l’illegittimità della delibera regionale impugnata.

8.1. Deve quindi ribadirsi che dal complesso delle argomentazioni, prive fra loro di un nesso logico e giuridico, risultando per altro incongrue rispetto alle questioni prospettate dalla società ricorrente, non è possibile desumere il percorso logico-giuridico seguito dal decidente per sorreggere la decisione, nè, come già rilevato nelle precedenti decisioni sopra richiamate, può ritenersi consentita un’interpretazione integrativa della sentenza, mediante ipotetiche argomentazioni motivazionali (Cass. civ. 5 agosto 2016, n. 16599).

8.2. L’impossibilità di individuare l’effettiva ratio decidendi rende quindi meramente apparente la motivazione della decisione impugnata, alla stregua della nozione di “motivazione apparente” innanzi delineata. Ne consegue che, in accoglimento del primo e del quarto motivo di ricorso, nel quale resta assorbito l’esame degli altri, essa deve essere dichiarata nulla e cassata, con rinvio, anche per le spese del giudizio di legittimità, al T.S.A.P. in diversa composizione.

PQM

Accoglie il primo e il quarto motivo di ricorso, assorbiti gli altri; dichiara la nullità della sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, al T.S.A.P., in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 6 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 24 marzo 2017

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