Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7664 del 04/04/2011

Cassazione civile sez. VI, 04/04/2011, (ud. 10/12/2010, dep. 04/04/2011), n.7664

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SETTIMJ Giovanni – Presidente –

Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 27934/2009 proposto da:

V.L. (OMISSIS) in B., elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA OVIDIO 20, presso lo studio dell’avvocato

DELFINI Francesca, che la rappresenta e difende unitamente

all’avvocato BERDON BOGDAN, giusta procura speciale a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

D.P.S., S.M., S.N. in D.

P., S.I., D.P.R., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA ALBERICO II n. 11, presso lo studio

dell’avvocato SCARPA ANGELO, che li rappresenta e difende unitamente

all’avvocato FAST MOLINARI Anna, giusta delega a margine del

controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 370/2009 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE del

3.6.09, depositata il 30/09/2009;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

10/12/2010 dal Consigliere Relatore Dott. PASQUALE D’ASCOLA;

udito per la ricorrente l’Avvocato Francesca Delfini che si riporta

agli scritti.

E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. NICOLA

LETTIERI che si riporta alla relazione scritta.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Si riporta di seguito, con emendamenti e integrazioni formali, la relazione redatta dal consigliere relatore e comunicata alle parti, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c..

“Il tribunale di Trieste, adito il 15 dicembre 2000 da V. L. e V.B., deceduto nelle more, determinò i confini tra i terreni delle parti, siti in (OMISSIS). L’appello proposto dagli attori veniva respinto dalla Corte di appello di Trieste il 30 settembre 2009.

V.L. ha proposto ricorso per cassazione, notificato il 14 dicembre 2009 a D.P.S., S.N., D.P. R., S.I. e S.M., i quali si sono costituiti con controricorso.

Il ricorso è imperniato su sette motivi, il primo dei quali è singolarmente costituito dai “nove motivi di appello” testualmente “riproposti come motivi di ricorso per cassazione”.

Tutte le censure attengono al merito della controversia, con particolare riguardo alla normativa in materia tavolare. Resta in tal modo incensurata un’autonoma ratio della sentenza impugnata, da sola sufficiente a reggere la decisione. La Corte territoriale ha affermato che l’appello doveva essere respinto (pag. 6 prima riga) “innanzitutto” per mancanza di chiarezza e specificità del gravame;

a tal fine ha riportato la massima di Cass. 20261/06, che espone la nozione – requisito della specificità dei motivi di appello, prescritto dall’art. 342 cod. proc. civ..

Ha aggiunto che nel caso in esame l’appello non ha messo “il Giudice in grado di individuare chiaramente le doglianze dedotte” In via secondaria, come reso palese dall’avvio del periodo successivo, la sentenza prosegue esponendo che “comunque” l’azione di regolamento dei confini è applicabile anche in regime tavolare, proseguendo nell’esame delle questioni di merito relative ai confini.

Appare evidente che la sentenza impugnata ha ritenuto l’appello meritevole di rigetto per difetto di specificità dei motivi d’appello e anche (“comunque”) per motivi di merito. La prima motivazione era tuttavia, come detto, sufficiente a giustificare la decisione. Il prosieguo dell’esame era evidentemente compiuto per scrupolo proprio del giudizio d’appello, che offre al possibile controllo successivo di legittimità anche la valutazione subordinata della questione di merito, utile ove la prima ratio venga poi cassata dalla Corte Suprema.

Va però ribadito che quando una decisione di merito, impugnata in sede di legittimità, si fonda su distinte ed autonome “rationes decidendi” ognuna delle quali sufficiente, da sola, a sorreggerla, perchè possa giungersi alla cassazione della stessa è indispensabile, da un lato, che il soccombente censuri tutte le riferite “rationes”, dall’altro che tali censure risultino tutte fondate (Cass. 12372/06; 24540/09).

Alla luce del più recente insegnamento delle Sezioni Unite (n. 3840/07) sarebbe stato più corretto che il giudice dopo una statuizione sostanzialmente di inammissibilità avesse omesso nella sentenza argomentazioni sul merito. In tal caso il ricorso per cassazione rivolto alla sola statuizione pregiudiziale sarebbe stato ammissibile ed invece sarebbe stata inammissibile, per difetto di interesse, l’impugnazione nella parte in cui avesse chiesto un sindacato anche in ordine alla motivazione sul merito, svolta “ad abundantiam” nella sentenza gravata. Ciò che non poteva mancare era però la censura rivolta alla prima autosufficiente ratto del decidere.

Ne consegue l’inammissibilità del ricorso”.

Avviata pertanto la trattazione con il procedimento in Camera di consiglio, le parti hanno depositato memoria.

Il Collegio condivide pienamente la relazione.

Parte ricorrente nella memoria depositata ex art. 378 c.p.c., deduce che a pag. 7 del ricorso essa avrebbe censurato la ratio decidendi relativa alla genericità dell’appello. Indica a tal fine la citazione in ricorso di alcune righe testuali della sentenza impugnata, in cui si affermava che il giudice d’appello non era in grado di individuare le doglianze dedotte.

Sostiene che l’unico modo per contrastare siffatta affermazione consisteva nel riprodurre i nove motivi di appello in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione.

Aggiunge di aver precisato che i nove motivi di appello riprodotti nell’atto costituivano “il primo motivo di ricorso avverso la sentenza della Corte d’appello di Trieste”.

Le deduzioni soprariportate non fanno che confermare l’inammissibilità del gravame, perchè evidenziano la inidoneità del ricorso a rappresentare ammissibile censura – in sede di legittimità – di una ratio decidendi di una sentenza d’appello. Va infatti osservato – in primo luogo – che è mancata, fino alle deduzioni di cui in memoria, una specifica declaratoria di censura sul punto. A tale scopo occorreva criticare la affermazione secondo cui i motivi di appello erano generici e incomprensibili; parte ricorrente ha fatto cosa ben diversa. Essa ha testualmente riportato tali motivi ed ha esplicitamente affermato “che vanno ora ritenuti motivi di ricorso per cassazione” (pag. 8 del ricorso). Detta affermazione è stata replicata al termine della riproduzione (pag.

15), specificando che “quanto premesso costituisce motivo di ricorso”.

Motivo di ricorso avrebbe dovuto essere invece non la ripetizione delle censure alla sentenza di merito, rivolte al giudice di merito per invocarne nuova valutazione, ma le formulazioni di puntuali critiche alla sussistenza della ritenuta inammissibilità, da attaccare sotto il profilo processuale (art. 360 c.p.c., n. 4, in relazione all’art. 342 c.p.c.) e argomentativo (art. 360 c.p.c., n. 5).

Pertanto, ove anche le vaghe espressioni usate avessero voluto ipotizzare la censura sul punto decisivo, quest’ultima è rimasta comunque non argomentata e incomprensibile, come i motivi stessi. E’ stato insegnato più volte che il ricorso per cassazione deve contenere, a pena di inammissibilità, i motivi per i quali si richiede la cassazione, aventi i caratteri di specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata, il che comporta l’esatta individuazione del capo di pronunzia impugnata e l’esposizione di ragioni che illustrino in modo intelligibile ed esauriente le dedotte violazioni di norme o principi di diritto, ovvero le carenze della motivazione, essendo fatto divieto di rinvio ad atti difensivi (Cass. 13259/06). Proprio con riferimento alla censura della statuizione di inammissibilità di motivo di appello per genericità si è chiarito che il ricorrente ha l’onere di specificare, nel ricorso, le ragioni per cui ritiene erronea tale statuizione del giudice di appello e sufficientemente specifico, invece, il motivo di gravame sottoposto a quel giudice, e non può limitarsi a rinviare all’atto di appello (Cass. 20405/06; 21621/07).

Nè il ricorrente può confidare nell’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità ove sia denunciato un “error in procedendo”: detto potere presuppone l’ammissibilità del motivo di censura (postulando, tra l’altro, la specificità della relativa deduzione, Cass. 4741/05), essendo, quindi, circoscritto alla possibilità della Corte di verificare la fondatezza del motivo di ricorso (Cass 488/10).

Riportare integralmente i motivi di appello e dichiarare che gli stessi costituiscono motivo di ricorso per cassazione confligge sia con l’essenza stessa del giudizio di legittimità, giacchè mira a trasformare il giudizio di cassazione in un rifacimento del giudizio di merito, sia con la tecnica di formulazione del ricorso, il quale non può mai consistere in mera riproposizione di quanto già esposto. Il ricorrente deve infatti sviluppare una critica alle ragioni della decisione impugnata e in secondo luogo riportare con precisione gli elementi di fatto che consentano di controllare la decisività dei vizi dedotti, di guisa che non vi sia sostituzione del giudice alla parte e resti imputabile a questa in modo inequivocabile la delimitazione della censura (Cass. 6225/05;

6792/05; 24211/06).

In questa seconda fase, servente alla prima (che è del tutto mancata nel caso in esame) si pone l’ossequio al principio di autosufficienza del ricorso, in forza del quale la parte deve riportare nel ricorso, per intero e testualmente, (nel testo oppure in nota) il documento o l’atto processuale su cui la censura è imperniata, allo scopo di consentire al giudice di legittimità il riscontro di fatto e la verifica della decisività. Discende da quanto esposto l’inammissibilità del ricorso e la condanna alla refusione delle spese di lite, liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna parte ricorrente alla refusione delle spese di lite liquidate in Euro 3.000,00 per onorari, Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 10 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 4 aprile 2011

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