Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7659 del 19/03/2019

Cassazione civile sez. lav., 19/03/2019, (ud. 13/02/2019, dep. 19/03/2019), n.7659

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – rel. Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. DE MARINIS Nicola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 27983/2017 proposto da:

P.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE

n. 38, presso lo studio dell’avvocato ALBERTO DI NATALE,

rappresentato difeso dall’avvocato MARIA CHIARA PINNA;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DIFESA, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato

e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici

domicilia ex lege in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 199/2017 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI,

depositata il 14/07/2017 R.G.N. 102/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/02/2019 dal Consigliere Dott. ANNALISA DI PAOLANTONIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MASTROBERARDINO Paola, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato ALBERTO DI NATALE per delega verbale Avvocato MARIA

CHIARA PINNA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’Appello di Cagliari, adita dal Ministero della Difesa con ricorso L. n. 92 del 2012, ex art. 1, comma 58, ha riformato la sentenza del Tribunale della stessa sede che, all’esito del giudizio di opposizione, aveva ritenuto tempestiva l’impugnazione proposta da P.S. avverso il licenziamento intimato dal Ministero il 23 dicembre 2013 ed aveva dichiarato l’illegittimità del recesso, perchè l’intossicazione cronica da alcol ed il disturbo bipolare avevano privato il dipendente della capacità di intendere e di volere e, quindi, il P., che non si era presentato alla visita medica ed era rimasto assente ingiustificato, non poteva essere chiamato a rispondere di un inadempimento non sorretto dal necessario elemento soggettivo.

2. La Corte territoriale, riassunti i termini della vicenda, ha ritenuto fondato ed assorbente il primo motivo di reclamo, con il quale era stata denunciata la violazione della L. n. 604 del 1966, art. 6, come modificato dalla L. n. 183 del 2010, art. 32, e dalla L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 38, ed ha evidenziato, richiamando giurisprudenza di questa Corte, che il termine di 180 giorni per il deposito del ricorso giudiziale decorre dalla data di spedizione dell’atto di impugnazione stragiudiziale e non dal ricevimento di quest’ultimo da parte del datore di lavoro. Ha conseguentemente ritenuto maturata la decadenza, in quanto il licenziamento era stato impugnato con lettera del 31 gennaio 2014, spedita il 1 febbraio, ed il ricorso era stato depositato solo il 4 agosto 2014.

3. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso P.S. sulla base di due motivi, contrastati dal Ministero della Difesa, il quale, ricevuta la rinnovazione della notifica, inizialmente indirizzata all’Avvocatura Distrettuale anzichè a quella Generale dello Stato, ha tempestivamente notificato controricorso. Il ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso è denunciata “inapplicabilità al caso di specie dei principi enunciati dalla Corte di Cassazione, così come individuati e richiamati dal giudice d’appello, per c.d. “overruling”; omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia”. Rileva il ricorrente che al momento del deposito del ricorso, risalente al 4 agosto 2014, la Corte di Cassazione non si era ancora pronunciata sull’interpretazione della L. n. 604 del 1966, art. 6, come modificata dalla L. n. 183 del 2010, sicchè l’iniziativa giudiziaria doveva essere ritenuta tempestiva, essendo all’epoca consolidato l’orientamento, affermatosi a partire da Cass. S.U. n. 8830/2010, secondo cui all’impugnazione del licenziamento si applica il principio della scissione degli effetti, con la conseguenza che la decadenza è impedita dalla spedizione dell’atto ma quest’ultimo, in quanto recettizio, produce i suoi effetti tipici solo con la ricezione da parte del datore di lavoro. Su detti principi il ricorrente aveva fatto affidamento, sicchè la Corte d’appello non poteva dichiarare preclusa l’azione, mortificando il diritto del lavoratore.

2. La seconda censura, formulata ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, addebita alla sentenza impugnata la violazione e falsa applicazione della L. n. 604 del 1966, art. 6, nonchè dell’art. 1334 c.c.. Il ricorrente ribadisce che l’impugnazione stragiudiziale del licenziamento è atto recettizio, che si perfeziona solo nel momento in cui lo stesso viene portato a conoscenza del datore di lavoro. Perchè, quindi, possa iniziare a decorrere il secondo termine previsto dall’art. 6, comma 2, è necessario che il primo atto abbia prodotto i suoi effetti, non essendo ammissibile che un atto ancora inefficace possa fare decorrere i termini per l’impugnazione giudiziale. Invoca il principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 8830/2010 per sostenere che occorre sempre distinguere sul piano logico il comportamento interruttivo del primo termine di decadenza ed il perfezionamento della fattispecie impugnatoria, che si verifica solo allorquando il destinatario acquista conoscenza legale dell’impugnazione.

3. I motivi di ricorso, da trattare unitariamente in ragione della loro connessione logico-giuridica, sono infondati.

Il Collegio intende dare continuità all’orientamento consolidato nella giurisprudenza di questa Corte secondo cui il termine di decadenza, previsto dalla L. n. 604 del 1966, art. 6, comma 2, decorre dalla trasmissione dell’atto scritto di impugnazione del licenziamento imposto dal comma 1, dell’articolo citato e non dal perfezionamento dell’impugnazione stessa per effetto della sua ricezione da parte del datore di lavoro nè dallo spirare del termine di sessanta giorni (cfr. Cass. n. 23890/2018; Cass. n. 20666/2018; Cass. n. 12352/2017; Cass. n. 17165/2016; Cass. n. 21410/2015; Cass. n. 20068/2015; Cass. n. 17373/2015; Cass. n. 5717/2015).

Con le richiamate pronunce, alla cui motivazione si rinvia ex art. 118 disp. att. c.p.c., si è evidenziato che l’impugnazione del licenziamento, così come legislativamente strutturata a seguito dell’ultimo intervento di riforma, costituisce una fattispecie a formazione progressiva, soggetta a due distinti e successivi termini decadenziali, rispetto alla quale risulta indifferente il momento perfezionativo dell’atto, perchè la norma non prevede la perdita di efficacia di un’impugnazione già perfezionatasi, dunque pervenuta al destinatario, ma impone un doppio termine di decadenza affinchè l’impugnazione stessa sia in sè efficace.

Orienta in tal senso il tenore letterale della disposizione perchè la locuzione “L’impugnazione è inefficace se…” sta ad indicare che, indipendentemente dal suo perfezionarsi (e quindi dai tempi in cui lo stesso si realizzi con la ricezione dell’atto da parte del destinatario), il lavoratore deve attivarsi, nel termine indicato, per promuovere il giudizio.

Il legislatore ha voluto subordinare l’efficacia dell’impugnazione al rispetto di un doppio termine di decadenza, interamente rimesso al controllo dello stesso impugnante, il quale, dopo avere assolto alla prima delle incombenze di cui è onerato, è assoggettato a quella ulteriore di attivare la fase giudiziaria entro il termine prefissato.

Tale soluzione è coerente con la lettera del testo normativo nonchè con la finalità acceleratoria che ha improntato la novella legislativa e non lede in alcun modo il diritto di difesa del lavoratore, perchè, al contrario, quest’ultimo viene posto immediatamente in grado di conoscere quale sia il dies a quo per l’instaurazione della fase giudiziaria, non essendo tenuto ad attendere la prova della ricezione dell’atto da parte del datore di lavoro.

Il ricorso non sviluppa argomenti che possano indurre a rimeditare l’orientamento già espresso, in quanto si limita a fare leva sulla natura ricettizia dell’impugnativa stragiudiziale e sul principio affermato da Cass. S.U. n. 8830/2010, che, in realtà, non contrasta con la richiamata interpretazione della L. n. 604 del 1966, art. 6, comma 2, ed anzi la conferma, perchè la stessa si fonda proprio sulla scissione degli effetti, affermata dalla Corte Costituzionale in relazione agli atti processuali ed estesa dalle Sezioni Unite anche all’impugnazione del licenziamento. Se, infatti, quest’ultima è efficace per il lavoratore dal momento della spedizione, è sistematicamente coerente con detta ricostruzione dogmatica una disciplina normativa che dalla spedizione, non dalla ricezione, faccia decorrere il secondo termine imposto a pena di decadenza.

3.1. Parimenti infondato è il primo motivo perchè, nello sviluppare il principio affermato da Cass. S.U. n. 15144/2011, questa Corte ha precisato che si può parlare di prospective overruling solo qualora ricorrano cumulativamente “i seguenti presupposti: che si verta in materia di mutamento della giurisprudenza su di una regola del processo; che tale mutamento sia stato imprevedibile in ragione del carattere lungamente consolidato nel tempo del pregresso indirizzo, tale, cioè, da indurre la parte a un ragionevole affidamento su di esso; che il suddetto overruling comporti un effetto preclusivo del diritto di azione o di difesa della parte” (Cass. n. 28967/2011; negli stessi termini Cass. n. 6801/2012; Cass. n. 5962/2013).

E’ evidente che il principio non possa essere invocato nella fattispecie giacchè il ricorso è stato proposto, come riconosce lo stesso ricorrente, quando ancora questa Corte non si era pronunciata sull’interpretazione della L. n. 604 del 1966, art. 6, come modificato dalla L. n. 183 del 2010, e quindi all’epoca la questione doveva ritenersi ancora controversa, non essendo emerso alcun orientamento sul quale il lavoratore potesse fare incolpevole affidamento.

4. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. 24.12.12 n. 228, deve darsi atto della ricorrenza delle condizioni previste dalla legge per il raddoppio del contributo unificato dovuto dal ricorrente.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 4.000,00 per competenze professionali, oltre al rimborso delle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 13 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 19 marzo 2019

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