Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7656 del 02/04/2014


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 7656 Anno 2014
Presidente: CIRILLO ETTORE
Relatore: TRICOMI LAURA

SENTENZA

sul ricorso 8005-2008 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI
PORTOGHESI

12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO

STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– ricorrente contro

DI DIO ROCCO in proprio e quale titolare dell’omonima
ditta individuale, elettivamente domiciliato in ROMA
VIA NIZZA 59, presso lo studio dell’avvocato BATTAGLIA
EMILIO, che lo rappresenta e difende unitamente
all’avvocato DE RISI FABRIZIO giusta delega in calce;

Data pubblicazione: 02/04/2014

- controricorrente

avverso la sentenza n. 3/2007 della COMM.TRIB.REG. di
MILANO, depositata il 30/01/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 27/01/2014 dal Consigliere Dott. LAURA

udito per il ricorrente l’Avvocato BACHETTI che ha
chiesto l’accoglimento;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. SERGIO DEL CORE che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso.

TRICOMI;

RITENUTO IN FATTO.
1. A seguito di due processi verbali di constatazione redatti dalla
Guardia di Finanza di Gallarate in data 03.02.1999 e 19.06.00, l’Ufficio
notificava a Di Dio Rocco, titolare della omonima impresa familiare,
– in data 08.02.01 un avviso di rettifica ai fini IVA per l’anno di
imposta 1996, con il quale l’Amministrazione finanziaria accertava un

riconosciuto di £.122.000;
– in data 15.09.01 un altro avviso di rettifica ai fini IVA per l’anno di
imposta 1996 , con il quale l’Amministrazione finanziaria accertava un
maggior debito di imposta di £.9.017.0000, nonché un credito di imposta
non riconosciuto di £.122.000;
– in data 21.11.02 un avviso di accertamento per l’IRPEF dovuta per il
medesimo periodo di imposta, con il quale l’Amministrazione finanziaria
elevava il reddito dichiarato di £.85.438.000 a £.400.461.000 (già al netto
delle quote di partecipazione dei familiari), di cui £.207.000 per costi fittizi
conseguenti all’annotazione, nella contabilità dell’impresa familiare di Di
Dio Rocco di quattro fatture emesse dalla ditta individuale “Effe.Gi” di
Famà Giovanni.
2. Gli atti impositivi venivano impugnati dal contribuente dinanzi alla
CTP di Varese che, riuniti i ricorsi, li rigettava. L’appello proposto dal
contribuente dinanzi alla CTR di Milano veniva accolto con la sentenza
n.3/19/07 depositata il 30.01.2007.
2.1. Con tale decisione il giudice di seconde cure riteneva, in
considerazione del rilevante volume di affari realizzato dall’impresa
familiare di Di Dio Rocco per la sua committente principale SNC
M.C.Prefabbricati di Cera e Mari per l’anno 1996 (pari a £.806.905.000, di
cui £.790.905.000 per manodopera) per la quale svolgeva collaborazione ed
assistenza nelle varie attività preliminari all’installazione di cantieri edili – la
cui effettività non era stata posta in discussione dall Guardia di Finanza -, e
della limitatissima struttura aziendale dell’impresa familiare che fosse
verosimile che la stessa avesse fatto ricorso al subappalto di parte dei lavori

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Cons. est. Laura Tricorni

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debito di imposta di £.56.430.000, nonché un credito di imposta non

nei confronti della ditta “Effe.Gi” di Famà Giovanni, che li aveva eseguiti
utilizando manodopera “in nero”, ricompensata per contanti e che – in
ragione del mancato assolvimento dell’onere probatorio gravante sugli
Uffici impositori ai sensi dell’art.2697 cc – nella fattispecie non fosse
riscontrabile l’annotazione di fatture relative ad operazioni commerciali
inesistenti emesse dalla ditta “Effe.Gi” di Famà Giovanni. Da ultimo la CTR

ricorrente in sede penale per insussistenza del fatto con riferimento alle
fatture emesse dalla ditta “Effe.Gi”.
Con riferimento all’incasso di quattro assegni bancari, emessi da Di
Dio Rocco senza indicazione del prenditore, da parte di Ventura Letizia,
figlia di Loprete Carmela, la CTR ritenva che trattavasi di elemento
insufficiente ad avvalorare le conclusionei dell’Ufficio impositore, atteso
che i rapporti esistenti tra il Di Dio e la SRL Orione risultavano dalla
contabilità dell’impresa familiare di Di Dio Rocco.
3. Per la cassazione della sentenza n. n.3/19/07 ha proposto ricorso
l’Agenzia delle Entrate affidato a tre motivi, ai quali l’intimato ha replicato
con controricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.1. Con il primo motivo di ricorso l’Agenzia delle Entrate denuncia
la violazione dell’art.36 n.4 DLGS 546/92 in relazione all’art.360, comma 1
n.4, cpc, deducendo che la sentenza si pone al disotto della soglia minima
necessaria per il rispetto delle prescrizioni in ordine alla motivazione in
quanto difetta di ogni precisazione circa gli aspetti di fatto e di diritto sui
quali la CTR ha espresso la propria valutazione in punto di onere probatorio.
Formula il quesito di diritto.
1.2. Il primo motivo è infondato, in quanto va esclusa la sussistenza
del vizio di omessa pronuncia.
1.3. Come più volte ribadito da questa Corte, ad integrare gli estremi
del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa
statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso
il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso

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Cons. est. Laura Tricorni

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considerava a sostegno dalla propria decisione l’intervenuta assoluzione del

concreto: ciò non si verifica quando la decisione adottata comporti la
reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito
una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita
di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non
espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logicogiuridica della pronuncia (Cass. n. 20311/2011, Cass. n. 3756/2013)). In

pronuncia di cui all’art. 112 c.p.c. e l’omessa motivazione su un punto
decisivo della controversia di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, si coglie nel senso
che, nella prima, l’omesso esame concerne direttamente una domanda od
un’eccezione introdotta in causa (e, quindi, nel caso del motivo d’appello,
uno dei fatti costituitivi della “domanda” di appello), là dove, nel caso
dell’omessa motivazione, l’attività di esame del giudice che si assume
omessa non concerne la domanda o l’eccezione direttamente, bensì una
circostanza di fatto che, ove valutata, avrebbe comportato una diversa
decisione su uno dei fatti costitutivi della domanda o su un’eccezione e,
quindi su uno dei tatti principali della controversia.
1.4. Nel caso in esame il fatto, e cioè l’accertamento compiuto a
seguito dei controlli eseguiti dalla Guardia di Finanza, appare ben delineato,
e la sentenza, nell’escludere la fondatezza dell’accertamento in ragione di
alcune specifiche considerazioni, ha seguito in maniera sommaria, ma
inequivocabile, un percorso logico incompatibile con gli argomenti
riproposti dall’Amministrazione finanziaria a fondamento del secondo
motivo di ricorso, anche se ha omesso di esplicitarlo, come meglio chiarito
sub 2.3.
2.1. Con il secondo motivo di ricorso l’Agenzia delle Entrate lamenta
l’omessa motivazione su fatti controversi e decisivi in relazione all’art.360,
comma 1 n.5, cpc.
In particolare la ricorrente lamenta la carente motivazione in ordine ad
alcuni fatti, assunti come decisivi dalla CTP per ritenere fondato:
– il recupero a tassazione per omessa autofatturazione di ricavi
correlati a prestazioni della ditta di Loprete Carmela e cioè: a) l’emissione

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particolare, si è precisato (Cass. n.5444/2006), la differenza fra l’omessa

da parte del Di Dio di assegni incassati dalla ditta Loprete tramite
versamento sul conto della figlia della titolare; b) l’utilizzo da parte della
Loprete di manodopera al nero; c) la qualifica di evasore totale della ditta
Loprete;
– l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti emesse dalla ditta
Effe.gi di Famà Giovanni e cioè: a) l’assenza totale di scritture contabili e di

passive; c) la difformità di importi e di scritturazione delle fatture
corrispondenti a quelle utilizzate dal Di Dio.
Si duole inoltre la ricorrente del fatto che la CTR abbia poi valorizzato
circostanze di per sé affatto significative, e cioè il contrasto tra “la
limitatissima struttura aziendale” dell’impresa familiare di Di Dio Rocco ed
“il rilevante volume di affari” realizzato dalla stessa nell’anno in esame,
spiegandole addirittura con il subappalto alla ditta del Famà, senza prendere
in considerazione né il fatto che non era stato provato il contratto di
subappalto, né che vi erano plurimi elementi presuntivi della probabile
inesistenza della ditta Effe.gi.
2.2. Il secondo motivo è fondato e va accolto.
2.3. Osserva il Collegio che secondo il principio affermato dalle
Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sent. n.24148/2013 “La
motivazione omessa o insufficiente è configurabile soltanto qualora dal
ragionamento del giudice di merito, come risultante dalla sentenza
impugnata, emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero
condurre ad una diversa decisione, ovvero quando sia evincibile l’obiettiva
carenza, nel complesso della medesima sentenza, del procedimento logico
che lo ha indotto, sulla base degli elementi acquisiti, al suo convincimento,
ma non già quando, invece, vi sia difformità rispetto alle attese ed alle
deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato dal primo
attribuiti agli elementi delibati, risolvendosi, altrimenti, il motivo di ricorso
in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del
convincimento di quest’ultimo tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia

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Cons. est. Laura Tricorni

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documentazione comprovante i versamenti fiscali; b) l’assenza di fatture

sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di
cassazione.”.
Tanto premesso va osservato che nel caso in esame si controverte in
tema di fatture per operazioni ritenute inesistenti, operazioni che, in
considerazione della mancata individuazione di un soggetto terzo a cui
ricondurre l’esecuzione delle stesse, andrebbero qualificate come operazioni

ribadito l’orientamento consolidato della Suprema Corte secondo il quale
“In tema di I.V.A., la fattura è documento idoneo a rappresentare un costo
dell’impresa, attesa la disciplina del suo contenuto di cui all’art. 21 del
d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, sicché in ipotesi di fatture che
l’Amministrazione ritenga relative ad operazioni oggettivamente o
soggettivamente inesistenti, ha l’onere di provare che l’operazione
commerciale oggetto della fattura non è stata posta in essere. Tale prova, ai
sensi degli artt. 39, comma primo, lett. d), e 40 del d.P.R. 29 settembre
1973, n. 600, e 54, comma secondo, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633,
potrà essere fornita anche mediante presunzioni, nel qual caso passerà sul
contribuente l’onere di dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni
contestate, a norma dell’art. 2697, secondo comma, cod. civ. Pertanto il
giudice tributario, qualora ritenga gli elementi addotti dall’Amministrazione
dotati dei caratteri di gravità, precisione e concordanza, deve passare a
valutare la prova contraria offerta dal contribuente.” (Cass. sent.
n.9108/2012 a cui hanno dato seguito le sent. nn. 23560/2012, 27844/2013,
6229/2013).
Orbene nel caso in esame la CTR non ha proceduto alla disamina
degli elementi raccolti dalla Amministrazione ed offerti al giudice per la sua
valutazione, ricordati sub 2.1.: ciò nonostante tali elementi fossero stati posti
a fondamento della sentenza della CTP. La CTR invero inopinatamente non
ha sottoposto ad alcun esame critico gli elementi forniti dalla
Amministrazione ed ha omesso ogni motivazione sul perché gli stessi non
siano stati ritenuti utili ai fini probatori. Per quanto riguarda i rapporti tra Di
Dio e la ditta di Loprete Carmela li ha delineati in modo talmente criptico da

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oggettivamente inesistenti e si tradurrebbero in costi fittizi. In proposito va

rendere incomprensibile la motivazione; per quanto attiene i rapporti tra Di
Dio e la ditta Effegi, la CTR ha invece rivolto la propria attenzione ad
elementi non direttamente ed evidentemente significativi dell’esistenza di
un rapporto commerciale tra gli stessi e, segnatamente, a) lo svolgimento
dell’attività di installazione cantieri da parte dell’impresa Di Dio
prevalentemente per la SNC Prefabbricati di Cera e Mari con realizzazione

della impresa Di Dio (costituite dal titolare e da due suoi fratelli), c) il
rilevante volume di affari realizzato dall’impresa Di Dio per l’anno 1996
(pari a L806.905.000—, di cui L790.905.000= per prestazioni di
manodopera), tutti elementi tra loro apparentemente confliggenti, relativi
solo alla impresa Di Dio e sui quali peraltro non sembra che l’impresa Di
Dio abbia fornito chiarimenti. Di contro la CTR ha ignorato la circostanza
che la ditta Effe.gi non avesse struttura aziendale e che i pagamenti, eseguiti
con assegni, venivano seguiti dall’immediato prelievo delle somme dalla
banca. La decisione della CTR risulta fondata su una errata interpretazione
dell’art.2697 cc e su argomenti assertivi e solo apparentemente logici, come
quello secondo cui queste circostanze “inducono a ritenere più verosimile —
anche in virtù del mancato assolvimento dell’onere probatorio gravante
sugli Uffici impositori ai sensi dell’art.2697 cc — che nella fattispecie non
sia riscontrabile l’annotazione di fatture relative ad operazioni commerciali
inesistenti emesse dalla ditta “Effe.gi” di Famà Giovanni “. Per completezza
va osservato che non si comprende da quali elementi la CTR abbia desunto
che la impresa “Effe.gi” abbia effettivamente eseguito i lavori, considerato
che questi sarebbero stati realizzati — secondo la CTR – utilizzando
manodopera “al nero” ricompensata per contanti, argomento di per sé
palesemente vago e sfuggente per la sua genericità.
3.1. Con il terzo motivo di ricorso la Agenzia delle Entrate lamenta la
violazione e falsa applicazione degli artt.654 cpc e 116 cpc, in relazione
all’art.360, comma 1 n.3, cpc.
Si duole la ricorrente del fatto che la CTR sembra aver affermato una
diretta valenza probatoria – sia pure indiziaria — del giudicato penale di

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di circa ottanta/novanta cantieri nel 1996, b) la modestia delle forze lavoro

assoluzione nei confronti di Di Dio Rocco, senza avere però valutato
autonomamente i fatti dibattuti in sede penale o verificato la corrispondenza
tra i fatti contestati in sede penale e quelli addebitati in sede fiscale. Formula
quesito di diritto.
3.2. Il terzo motivo è fondato e va accolto.
Secondo un consolidato orientamento della Corte di Cassazione (cfr.

8129/2012 e 2921/2013) nel processo tributario, l’efficacia vincolante del
giudicato penale, di assoluzione del legale rappresentante della società
contribuente, per insussistenza del reato di esposizione di elementi passivi
fittizi mediante utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti, non opera
automaticamente per i fatti relativi alla correlata azione di accertamento
fiscale nei confronti della società, stante la relazione di autonomia in cui si
pongono il giudizio penale e il giudizio tributario (art.20 DLGS n.74/2000)
“poiché in questo, da un lato, vigono limitazioni della prova (come il divieto
di quella testimoniale del D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 7) e, dall’altro,
possono valere anche presunzioni inidonee a fondare una pronuncia penale
di condanna” Pertanto, il giudice tributario non può limitarsi a rilevare
l’esistenza di una sentenza definitiva in materia di reati tributari,
estendendone automaticamente gli effetti con riguardo all’azione
accertatrice del singolo ufficio tributario, ma, nell’esercizio dei propri
autonomi poteri di valutazione della condotta delle parti e del materiale
probatorio acquisito agli atti (art. 116 c.p.c.), deve, in ogni caso, verificarne
la rilevanza nell’ambito specifico in cui esso è destinato ad operare.
Nella specie, il giudice tributario si è limitato a richiamare il giudicato
penale di assoluzione di Di Dio Rocco senza dare conto degli opposti
elementi indiziari presenti nell’accertamento circa la indeducibilità dei costi,
utilizzati dall’Ufficio per negare la stessa esistenza oggettiva di tali
operazioni.
4. Conclusivamente, il ricorso va accolto in relazione ai motivi
secondo e terzo, dichiarato infondato il primo, e la sentenza della CTR va
cassata con rinvio alla CTR della Lombardia in altra composizione perché

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la recente sent. n.25467/2013 e, in precedenza, le sent. nn. 9786/2011,

ESENTE DA REGISTRAZIONE
AI SENSI DEL D.P.R. 26/4/1986
N. 131 TAB. ALL. B. – 5
MATERIA TRIBUTARIA

provveda ad emendare i vizi motivazionali e logici riscontrati, attenendosi ai
principi di diritto prima enunciati, nonché a liquidare le spese del presente
giudizio.
P.Q.M.
La Corte,
accoglie il ricorso in relazione ai motivi secondo e terzo, infondato il

che deciderà anche in relazione alle spese del giudizio di legittimità.
Così i eciso in Roma, camera di consiglio del 27 gennaio 2014.

primo, cassa la sentenza con rinvio ad altra sezione della CTR Lombardia

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