Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7654 del 24/03/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 24/03/2017, (ud. 13/02/2017, dep.24/03/2017),  n. 7654

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIELLI Stefano – Presidente –

Dott. CAIAZZO Luigi – Consigliere –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al numero 26800 del ruolo generale dell’anno

2011, proposto da:

Agenzia delle entrate, in persona del direttore pro tempore,

rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, presso

gli uffici della quale in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12, si

domicilia;

– ricorrente-

contro

s.p.a. La Floresta Hotel Timeo in amministrazione straordinaria, in

persona dei commissari liquidatori pro tempore, rappresentati e

difesi, giusta procura speciale in calce al controricorso, dagli

avvocati Guido Granzotto, Domenico Talarico e Giacomo De Luca,

elettivamente domiciliatisi presso lo studio di quest’ultimo, in

Roma, alla via XX Settembre, n. 98/G;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale della Sicilia, sede staccata di Messina, sezione 2^,

depositata in data 11 agosto 2010, n. 193/02/10;

udita la relazione sulla causa svolta alla pubblica udienza in data

13 febbraio 2017 dal Consigliere Perrino Angelina – Maria;

udito per l’Agenzia l’avvocato dello Stato PALATIELLO Giovanni;

udito il pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore

generale De Renzis Luisa, che ha concluso per l’inammissibilità e,

in subordine, per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

In relazione all’anno d’imposta 1991 l’Agenzia delle entrate ha contestato alla contribuente l’indebita detrazione di iva, irrogando le conseguenti sanzioni. A fondamento della contestazione l’Ufficio ha rilevato che la società, dedita, in base al suo oggetto sociale, ad attività turistico – alberghiera, aveva in realtà proceduto ad operazioni di finanziamento non rientranti tra quelle contemplate dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19, comma 4, senza applicare il criterio del pro rata per stabilire la percentuale d’indetraibilità dell’iva sugli acquisti, che avrebbe dovuto tener conto del rapporto tra l’ammontare delle operazioni esenti compiute ed il volume di affari. L’impugnazione del relativo avviso di accertamento ha avuto successo sia in primo, sia in secondo grado. In particolare, il giudice d’appello ha ritenuto, per un verso, che, in base allo statuto, le operazioni finanziarie avessero natura occasionale ed accessoria al perseguimento dello scopo sociale e che, per altro verso, tale valutazione fosse confermata dalla circostanza che esse erano state compiute nei confronti di società facenti parte del medesimo gruppo; di modo che, ha concluso la Commissione tributaria regionale, illegittimo è l’avviso di accertamento che ha tenuto conto di tali operazioni ai fini della determinazione del pro rata. Contro questa sentenza propone ricorso l’Agenzia per ottenerne la cassazione, che affida ad un unico motivo, cui la società replica con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con l’unico motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, l’Agenzia lamenta la violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19, commi 3 e 4, nel testo vigente all’epoca dei fatti, sostenendo che il giudice d’appello abbia errato nell’escludere dal calcolo del pro rata le operazioni di finanziamento compiute dalla società e costituenti l’unica attività da essa effettivamente svolta, giacchè erronea è l’individuazione operata in sentenza dell’attività propria della società non già in quella effettivamente esercitata, ma in quella statutariamente prevista.

1.1. – Sono infondate le eccezioni d’inammissibilità del ricorso:

– è infondata quella secondo la quale l’Agenzia si sarebbe limitata a censurare l’interpretazione fornita dalla Commissione tributaria regionale, in quanto l’Ufficio è partito dalle risultanze processuali, ossia dagli elementi di fatto valorizzati dal giudice d’appello, dati dalle previsioni statutarie e dalla destinazione delle operazioni di finanziamento, per lamentare la contrarietà a legge della statuizione impugnata;

– è infondata quella che fa leva sul preteso difetto di autosufficienza del ricorso dovuto alla mancata allegazione dei documenti sui quali esso si basa, in quanto il ricorso è fondato su una questione di diritto, che, in quanto tale, non abbisogna di allegazioni documentali;

– è infondata quella che costruisce il motivo come vizio di motivazione, giacchè la censura riguarda la dedotta violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19, nel testo all’epoca applicabile, là dove individua i criteri di calcolo del pro rata.

2. – Oltre che ammissibile, il ricorso è altresì fondato.

Regola generale in materia di detrazione dell’iva è che i soggetti passivi hanno la possibilità di detrarre l’imposta che ha gravato l’acquisto o la fornitura dei soli beni o di servizi destinati ad essere utilizzati in via esclusiva per la realizzazione delle operazioni soggette ad imposta (art. 17, secondo paragrafo, della sesta direttiva). Sempre sul piano generale, inoltre, al cospetto del compimento sia di operazioni che conferiscono il diritto di detrazione, sia di operazioni che non lo conferiscono, il calcolo del pro rata di detraibilità, che individua la percentuale di detraibilità dell’iva sugli acquisti e che risulta dalla frazione avente al numeratore l’ammontare delle operazioni che conferiscono il diritto di detrazione ed al denominatore il medesimo ammotare aumentato di quello corrispondente a quelle che tale diritto non conferiscono, si riferisce soltanto ai beni ed ai servizi utilizzati da un soggetto passivo per eseguire nel contempo operazioni che danno diritto a detrazione e operazioni che non conferiscono tale diritto. Ciò in quanto se tutti i risultati delle operazioni del soggetto passivo aventi un nesso con un’attività imponibile dovessero essere inclusi nel denominatore della frazione che serve a calcolare il prorata della detrazione, anche qualora l’ottenimento di tali risultati non implichi l’impiego di beni o di servizi soggetti all’iva o, almeno, ne implichi solo un impiego limitatissimo, il calcolo della detraibilità sarebbe falsato.

2.1. – Il legislatore italiano, peraltro, ha fruito della facoltà, riconosciuta agli Stati membri dall’art. 17, paragrafo quinto, comma 3, della sesta direttiva, di ricorrere a metodi di determinazione del diritto di detrazione specifici, di carattere derogatorio e, in particolare, ha adottato quello enunciatovi al punto d), in virtù del quale uno Stato membro può autorizzare od obbligare un soggetto passivo ad operare la detrazione relativamente a tutti i beni e i servizi utilizzati per tutte le operazioni ivi contemplate, ossia in base ad un metodo fondato sulla cifra di affari (sulla discrezionalità degli Stati membri in ordine alla determinazione dei metodi e dei criteri di ripartizione dei pro rata dell’iva si veda Corte giust. 13 marzo 2008, causa C-437/06). Difatti il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19, commi 4 e 5, nel testo applicabile all’epoca dei fatti, stabiliscono che “se il contribuente ha effettuato anche operazioni esenti ai sensi dell’art. 10 la detrazione è ridotta della percentuale corrispondente al rapporto tra l’ammontare delle operazioni esenti effettuate nell’anno e il volume di affari dell’anno stesso, arrotondata all’unità superiore o inferiore a seconda che la parte decimale superi o meno i cinque decimi” (comma 4) e che “per il calcolo della percentuale di riduzione l’ammontare delle operazioni esenti è determinato senza tenere conto di quelle indicate ai numeri 6), 10) e 11) dell’art. 10 e non si tiene conto nemmeno nel volume di affari, quando non formano oggetto dell’attività propria dell’impresa o sono accessorie ad operazioni imponibili, delle altre operazioni esenti indicate ai numeri da 1) a 9) del detto articolo” (comma 5). A tanto l’art. 36, comma 1, del medesimo D.P.R. aggiunge che “nei confronti dei soggetti che esercitano più attività l’imposta si applica unitariamente e cumulativamente per tutte le attività, con riferimento al volume di affari complessivo, salvo quanto stabilito nei successivi commi”.

2.2.- Il punto è, ha da ultimo specificato la Corte di giustizia (con sentenza 14 dicembre 2016, causa C-378/15, Mercedes Benz) in relazione a pregiudiziale italiana, che, là dove si riferisce alla cifra d’affari, la disposizione ha riguardo al complesso dei beni e dei servizi utilizzati dal soggetto passivo, senza che sia necessario che tali beni e servizi servano ad effettuare sia le operazioni che conferiscono il diritto di detrazione, sia quelle che non lo conferiscono: ed è qui che sta la deroga rispetto alla regola generale sopra esposta.

2.3. – Quella Corte era in precedenza pervenuta a diversa conclusione, allorquando aveva escluso dal calcolo del pro rata attività consistenti nella mera vendita di azioni e di altri titoli, come le partecipazioni in fondi di investimento, perchè non costituenti attività economiche ai fini dell’art. 4, n. 2 della sesta direttiva, nonchè la concessione annua, da parte di una holding, di prestiti onerosi alle società partecipate e gli investimenti della medesima in depositi bancari oppure in titoli, quali buoni del tesoro o certificati di deposito, perchè considerati attività accessorie, qualora implichino un uso estremamente limitato di beni o di servizi per i quali l’iva è dovuta (Corte giust. 29 aprile 2004, causa C-77/01, Empresa Desenvolvimento Mineiro Sgps SA; si veda anche Corte giust. 14 novembre 2000, causa C-142/99, Floridienne SA): ma, in quei casi, era applicabile la regola generale e non già la deroga.

In base, invece, al regime derogatorio dinanzi illustrato, secondo il quale, si è visto, non occorre che i beni ed i servizi siano utilizzati dal soggetto passivo per il compimento sia delle operazioni che conferiscono il diritto di detrazione, sia di quelle che non lo conferiscono, diviene decisiva, ai fini del calcolo della percentuale di detraibilità dell’iva sugli acquisti, la composizione della cifra d’affari del soggetto passivo: a tal fine si deve tener conto del rapporto tra le operazioni accessorie e le attività imponibili di tale soggetto passivo e soltanto eventualmente dell’impiego che esse implicano dei beni e dei servizi per i quali l’iva è dovuta (Corte giust. in causa C- 378/15, punto 49).

3. – Ne esce confermata la giurisprudenza di questa Corte, secondo cui, per verificare se una determinata operazione attiva rientri o non nell’attività propria di una società, ai fini dell’inclusione nel calcolo della percentuale detraibile in relazione al compimento di operazioni esenti, occorre avere riguardo non già all’attività previamente definita dall’atto costitutivo come oggetto sociale, ma a quella effettivamente svolta dall’impresa, in quanto, ai fini dell’imposta, rileva il volume d’affari del contribuente, costituito dall’ammontare complessivo delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi compiute, e, quindi, l’attività in concreto esercitata (Cass. 9 marzo 2016, n. 4613; 14 marzo 2014, n. 5970; 13 novembre 2013, n. 25475).

4. – La sentenza impugnata va in conseguenza cassata, perchè non si è conformata a questi principi, con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Sicilia in diversa composizione, affinchè, oltre a regolare le spese, riesamini la fattispecie attenendosi al seguente principio di diritto:

“Posto che il criterio di calcolo del pro rata adottato dallo Stato italiano non richiede che i beni ed i servizi utilizzati dal soggetto passivo servano ad eseguire sia le operazioni che danno diritto al diritto di detrazione, sia quelle che non lo conferiscono, per verificare se una determinata operazione rientri o non nel calcolo della percentuale detraibile, occorre avere riguardo non già all’attività previamente definita dall’atto costitutivo come oggetto sociale, ma a quella effettivamente svolta dall’impresa, occorrendo aver riguardo al volume d’affari del contribuente”.

PQM

La Corte:

accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale della Sicilia in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 13 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 24 marzo 2017

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