Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7650 del 02/04/2014


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 7650 Anno 2014
Presidente: CIRILLO ETTORE
Relatore: VALITUTTI ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso 19031-2008 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– ricorrente contro

2014
253

ROMAGNOLI

STEFANO anche

in proprio,

PAOLETTI

ALESSANDRO in qualità di Amministratore, CENTRO
FIORENTINO DISTRIBUZIONE CARNE SRL IN LIQUIDAZIONE in
persona del Liquidatore pro tempore, elettivamente
domiciliati in ROMA VIA EZIO 19, presso lo studio

Data pubblicazione: 02/04/2014

!’.

dell’avvocato ALLIEGRO MICHELE,

rappresentati e

difesi dall’avvocato LOTITO PIER FRANCESCO giusta
delega in calce;
– controricorrenti

avverso la sentenza n. 24/2007 della COMM.TRIB.REG.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 27/01/2014 dal Consigliere Dott. ANTONIO
VALITUTTI;
udito per il ricorrente l’Avvocato BACHETTI che ha
chiesto l’accoglimento;
udito per il controricorrente l’Avvocato BIFULCO
delega Avvocato LOTITO che ha chiesto il rigetto;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. SERGIO DEL CORE che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso.

di FIRENZE, depositata il 25/05/2007;

RITENUTO IN FATTO.
1. A seguito di due processi verbali di constatazione,
l’uno redatto dalla Guardia di Finanza di Corsica in data
12.4.99, l’altro dalla Guardia di Finanza di Roma in data
22.1.02, venivano notificati alla società Centro Fiorentino Distribuzione Carne s.r.1., nonché al liquidatore
Romagnoli Stefano, ed all’amministratore unico Paoletti
l’Amministrazione finanziaria recuperava a tassazione
l’IVA dovuta per gli anni 1997 e 1998, in conseguenza di
indebite detrazioni di imposta effettuate dalla società
contribuente in relazione ad operazioni di acquisto di
carni, ritenute dall’Ufficio soggettivamente inesistenti.
2. Gli atti impositivi venivano impugnati dai predetti
soggetti, dinanzi alla CTP di Firenze, che rigettava il
ricorso.
3. L’appello avverso la pronuncia di primo grado, proposto dal Centro Fiorentino Distribuzione Carne s.r.1., dal
Paoletti e dal Romagnoli veniva, peraltro, accolto dalla
CTR della Toscana, con sentenza n. 24/24/07, depositata
il 25.5.07. Con tale pronuncia, il giudice di seconde cure riteneva che l’Amministrazione non avesse fornito elementi probatori idonei a dimostrare l’effettiva consapevolezza della società contribuente di partecipare ad
un’operazione di frode al fisco, attesa la regolarità anche sul piano contabile – delle operazioni contestate,
tradottesi in effettivi acquisti, regolarmente pagati, di
carni provenienti da altri Paesi dell’Unione Europea.
4. Per la cassazione della sentenza n. 24/24/07 ha proposto, quindi, ricorso l’Agenzia delle Entrate affidato a
quattro motivi. La società Centro Fiorentino Distribuzione Carne s.r.1., Paoletti Alessandro e Romagnoli Stefano
hanno replicato con controricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Con i quattro motivi di ricorso – che, per la loro
evidente connessione vanno esaminati congiuntamente l’Agenzia delle Entrate denuncia la violazione e falsa
applicazione degli artt. 17 e 19 del d.P.R. 633/72, in

Alessandro, due avvisi di accertamento, con i quali

:

– 2

relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., nonché l’ insufficiente, illogica e contraddittoria motivazione su un fatto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360

n . 5 c.p.c.
1.1. Avrebbe, invero, errato la CTR – a parere della ricorrente – nel ritenere che le operazioni di acquisto di
carni, effettuate dal Centro Fiorentino Distribuzione
ficio finanziario, potessero consentire comunque la detrazione dell’IVA assolta su tali acquisti, essendo stati
gli stessi – in concreto – effettivamente realizzati e
regolarmente contabilizzati. Per il che difetterebbe del
tutto agli atti la prova della consapevolezza, in capo
alla contribuente, del meccanismo di evasione posto in
essere dalle società apparenti venditrici.
Ben al contrario, ad avviso dell’Amministrazione finanziaria, l’avere la società effettivamente acquistato le
carni oggetto delle fatture contestate, non escluderebbe
il carattere fittizio, dal lato soggettivo,
dell’operazione di vendita, evidentemente intercorsa tra
il Centro Fiorentino Distribuzione Carne s.r.l. ed altri
soggetti, verosimilmente gli stessi fornitori esteri del
prodotto.
1.2. D’altro canto, ad avviso dell’ Amministrazione, la
consapevolezza da parte della contribuente dell’illiceità
di tale operazione sarebbe conclamata dal rapporto “diretto” di compravendita, intercorso tra la medesima e le
società “cartiere”, del tutto prive di strutture commerciali idonee a consentire la vendita di merci, e la cui
intermediazione nelle vendite sarebbe stata ispirata dal
fine esclusivo di procurare alla cessionaria un indebito
credito di imposta. Per il che, contrariamente all’ assunto del giudice di appello, non vi sarebbe stata necessità alcuna, nella specie, di allegazione di “altre prove”, da parte dell’Amministrazione finanziaria, senza le
quali – a parere della CTR – il disconoscimento del diritto alla detrazione dell’IVA, da parte della contribuente, sarebbe stato illegittimo.

Carne s.r.l. presso società ritenute “cartiere” dall’ Uf-

1.3. Invero, secondo la ricorrente, a fronte di tali elementi di carattere indiziario e presuntivo, l’onere di
provare la propria estraneità all’illecita operazione ed
il carattere reale della stessa, anche sotto il profilo
soggettivo, ai fini dell’ammissibilità della detrazione
di imposta, ricadrebbe – al contrario di quanto affermato
dal giudice di istanza – esclusivamente sulla contribuen2. Le censure suesposte sono fondate.
2.1. Va osservato, infatti, che, in materia di IVA, la
fattura è documento idoneo a rappresentare un costo
dell’impresa, comprensivo dell’incidenza dell’ imposta in
parola sul prezzo di acquisto dei beni, attesa la disciplina del suo contenuto di cui all’art. 21 d.P.R. 633/72.
Ed, in tali limiti, essa può certamente costituire una
prova a favore dell’imprenditore o del professionista,
nei rapporti con il fisco.
Ben si intende, allora, che in ipotesi di fatture che
l’Ufficio ritenga relative ad operazioni oggettivamente,
o anche solo soggettivamente, inesistenti, o che – ancorchè effettivamente poste in essere – si iscrivono in combinazioni negoziali fraudolente ai danni del fisco,
l’Amministrazione stessa ha l’onere di provare che
l’operazione commerciale oggetto della fattura non è stata posta in essere, o non lo è stata tra i soggetti che
figurano nella fattura, o che tale documento sottende
un’operazione fraudolenta cui il cessionario sia partecipe. E non può revocarsi in dubbio che tale prova possa
essere fornita anche mediante presunzioni, come espressamente prevede, per l’IVA, l’art. 54, co. 2, del d.P.R. n.
633/72 (analoga previsione è contenuta, per le imposte
dirette, nell’art. 39, co. 1, lett. d) del d.P.R. n.
917/86) (cfr. Cass. 21953/07, che fa riferimento alla
possibilità che l’amministrazione produca elementi anche
indiziari,

a sostegno della pretesa fiscale azionata;

Cass. 9108/12; 15741/12, in motivazione; 23560/12;
27718/13; nello stesso senso C. Giust. 6.7.06, C- 439/04,
C. Giust., 21.2.06, C-255/02; C. Giust. 21.6.12, C –

3

te.

80/11; C. Giust. 6.12.12, 0-285/11; C. Giust. 31.1.13, C642/11).
2.2. Ora, è di tutta evidenza che – nel caso di operazioni oggettivamente inesistenti – è escluso in radice che
possa configurarsi la buona fede del cessionario o committente, il quale sa bene se una determinata fornitura
di beni o prestazione di servizi l’ha effettivamente ri2.3. Principi più articolati trovano applicazione in relazione al caso in cui l’Amministrazione contesti al contribuente di avere adoperato, ai fini della detrazione
dell’IVA, fatture solo soggettivamente inesistenti, ovverosia che la fattura sia stata emessa da un soggetto
diverso dall’affettivo fornitore del bene o prestatore
del servizio.
2.3.1. A tal riguardo, la Corte europea ha, da ultimo,
ribadito che se – tenuto conto di evasioni o irregolarità
commesse dall’emittente della fattura, o a monte
dell’operazione dedotta a fondamento del diritto alla detrazione – tale operazione è considerata come non effettivamente realizzata, si deve dimostrare, alla luce di
elementi oggettivi ed alla stregua dei principi
sull’onere della prova vigenti nello Stato membro, senza,
peraltro, esigere dal destinatario della fattura verifiche (circa la qualità di soggetto passivo IVA in capo al
fatturante, o la disponibilità dei beni di cui trattasi)
alle quali non è tenuto, che tale destinatario sapeva o
avrebbe dovuto sapere che detta operazione si inseriva
nel quadro di un’evasione dell’imposta sul valore aggiunto; circostanza, questa, che – secondo la Corte di Lussemburgo – spetta al giudice del rinvio verificare (C.
Giust. 6.12.12, cit.; 31.1.13, cit.).
2.3.2. Nel medesimo ordine di idee, questa Corte – in decisioni recenti – ha rilevato, al riguardo, che la prova,
fornita dall’Amministrazione, che la prestazione non è
stata effettivamente resa dal fatturante, perchè sfornito
della, sia pur minima, dotazione personale e strumentale
adeguata alla sua esecuzione, costituisce, di per sé, per

4

cevuta o meno).

la sua pregnanza dimostrativa, idoneo elemento sintomatico dell’assenza di “buona fede” del contribuente. L’immediatezza dei rapporti (cedente o prestatore – fatturante
– cessionario o committente) induce, invero, ragionevolmente ad escludere in via presuntiva – a fronte di una
conclamata inidoneità allo svolgimento dell’attività economica – l’ignoranza incolpevole del cessionario o comnon legittimato alla rivalsa, né assoggettato all’obbligo
del pagamento dell’imposta. In tal caso, sarà – di conseguenza – il contribuente a dover provare, in applicazione
di principi ordinari sull’onere della prova vigenti nel
nostro ordinamento (art. 2697 c.c.), di non essere a conoscenza del fatto che il fornitore effettivo del bene o
della prestazione era, non il fatturante, ma altri, dovendosi altrimenti negare il diritto alla detrazione
dell’IVA versata (Cass. 6229/13).
2.3.3. Ed infatti, come questa Corte ha più volte affermato, qualora l’Amministrazione contesti al contribuente
– come nel caso di specie – l’indebita detrazione di fatture, in quanto relative ad operazioni inesistenti, e
fornisca attendibili riscontri indiziari sull’ inesistenza delle operazioni fatturate, ricade sul contribuente
medesimo l’onere di dimostrare la fonte legittima della
detrazione, altrimenti non operabile. Il cessionario, in
particolare, ha l’onere di dimostrare almeno, anche in
via alternativa, di non essersi trovato nella situazione
giuridica oggettiva di conoscibilità delle operazioni
pregresse intercorse tra il cedente ed il fatturante in
ordine al bene ceduto, oppure, nonostante il possesso
della capacità cognitiva adeguata all’attività professionale svolta in occasione dell’operazione contestata, di
non essere stato in grado di abbandonare lo stato di
ignoranza sul carattere fraudolento delle operazioni degli altri soggetti collegati all’operazione (Cass.
8132/11, 23074/12).
2.3.4. A tal fine, per le ragioni suesposte, non è – tuttavia – sufficiente dedurre, da parte del contribuente,

5

mittente circa l’avvenuto versamento dell’IVA a soggetto

che la merce sia stata consegnata e la fattura, IVA compresa, sia stata effettivamente pagata, trattandosi di
circostanze pienamente compatibili con il modello di frode fiscale, posto in essere mediante un’operazione soggettivamente inesistente (Cass. 17377/09; 230744/12). E
tanto meno può considerarsi sufficiente la dimostrazione
della regolarità formale delle scritture o le evidenze
tutto evidente – di dati e circostanze facilmente falsificabili dal contribuente (cfr. Cass. 1950/07, 12802/11).
2.3.5. D’altra parte, la provenienza della merce stessa
da soggetto diverso da quello figurante sulle fatture,
non è una circostanza indifferente ai fini dell’IVA.
Per un verso, infatti, la qualità del venditore può incidere sulla misura dell’aliquota e, per conseguenza,
sull’entità

legittimamente

dell’imposta

detraibile

dall’acquirente; per altro verso, l’indetraibilità
dell’IVA, nelle operazioni soggettivamente inesistenti, è
ancorabile proprio all’incoerenza dei termini soggettivi
dell’operazione rispetto a quelli della fatturazione
(artt. 19, co. l, e 21, co. 7 e 26, co. 3 del d.P.R.
633/72), cioè alla dirompente alterazione della corretta
sequenza tra operazioni a monte ed operazioni a valle,
costituente il fulcro del disposto di cui all’art. 17
della VI Direttiva IVA, secondo cui il giudice nazionale
deve negare il diritto alla detrazione, se risulta dimostrato che il diritto dell’Unione Europea sia stato invocato in modo fraudolento (Cass. 6229/13; 24426/13; C.
Giust. 6.7.06, C- 439/04, C. Giust., 21.2.06, C-255/02;
C. Giust. 21.6.12, C -80/11; C. Giust. 6.12.12, C-285/11;
C. Giust. 31.1.13, 0-642/11).
2.4. Tutto ciò premesso, pertanto, è evidente che, nel
caso di specie, non giova affatto alla contribuente – al
contrario di quanto erroneamente ritenuto dal giudice di
appello – dedurre e comprovare l’avvenuto pagamento delle
fatture e l’effettivo ricevimento della merce, a fronte
di elementi di forte spessore indiziario e presuntivo,
forniti in giudizio dall’ Amministrazione finanziaria, e

6

contabili dei pagamenti, in quanto si tratta – com’è del

I

-7

consistenti nella totale assenza, presso le società “cartiere”, di strutture e mezzi idonei a consentire loro di
effettuare le forniture oggetto delle fatture in contestazione. Elementi di fatto, questi, della cui sussistenza effettiva, peraltro, neppure il giudice di appello ha
mostrato di dubitare in alcun modo.
2.4.1. Ed invero, come dianzi detto, l’immediatezza dei
dalla contribuente e quest’ultima – comprovata dai due
processi verbali di constatazione – induce ragionevolmente ad escludere l’ignoranza incolpevole della cessionaria
circa l’avvenuto versamento dell’IVA a soggetto non legittimato alla rivalsa, né assoggettato all’obbligo del
pagamento dell’imposta. Con la conseguenza che, in siffatta ipotesi – contrariamente a quanto affermato dalla
CTR -, avrebbe dovuto la contribuente provare di non essere a conoscenza della circostanza che il fornitore effettivo del bene o della prestazione era, non il fatturante, ma altri, dovendosi – in mancanza – negare il diritto alla detrazione dell’IVA versata. Il che appare,
poi, vieppiù evidente nelle ipotesi – come quella ricorrente nel caso di specie – in cui gli acquisti di merce
vengano sistematicamente, e per ingenti quantitativi operati presso le società cd. cartiere.
2.4.2. Non risultando, pertanto, – nel caso concreto acquisita agli atti, a fronte degli elementi presuntivi
suindicati, tale dimostrazione di segno contrario da parte della società contribuente e dei suoi legali rappresentanti, al di là delle circostanze – di per sé non significative, in quanto rientranti nel modello stesso
dell’operazione in esame – della ricezione della merce e
del pagamento del relativo prezzo, il diritto alla detrazione di imposta non può, pertanto, considerarsi sussistente.
2.5. Per tutte le considerazioni che precedono, pertanto,
il ricorso dell’Agenzia delle Entrate non può che essere
accolto.

rapporti tra la apparente cedente della merce acquistata

_ 8 _

3.

ESENTEDAREGISTRAZIONE
Al SENSI DELD.P.R. 26/4/1986
N. 131 TAB. ALL. B. – N.5
MATERIA TRIBUTARIA

L’accoglimento del ricorso comporta la cassazione

dell’impugnata sentenza. Non essendo necessari ulteriori
accertamenti di fatto, la Corte, nell’esercizio del potere di decisione nel merito di cui all’art. 384, co. 1
c.p.c., rigetta il ricorso introduttivo proposto dalla
società Centro Fiorentino Distribuzione Carne s.r.l. da
Romagnoli Stefano e da Paoletti Alessandro.
poste a carico dei resistenti soccombenti, nella misura
di cui in dispositivo. Concorrono giusti motivi per dichiarare interamente compensate fra le parti le spese dei
giudizi di merito.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione;
accoglie il ricorso; cassa l’impugnata sentenza e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo dei
contribuenti; condanna i resistenti alle spese del presente giudizio, che liquida in 18.000,00, oltre alle
spese prenotate a debito; dichiara compensate tra le parti le spese dei giudizi di merito.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Tributaria, il 27.1.2014.

4. Le spese del presente giudizio di legittimità vanno

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