Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7649 del 30/03/2010

Cassazione civile sez. lav., 30/03/2010, (ud. 13/01/2010, dep. 30/03/2010), n.7649

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIDIRI Guido – Presidente –

Dott. MONACI Stefano – Consigliere –

Dott. DI NUBILA Vincenzo – Consigliere –

Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –

Dott. CURZIO Pietro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 21399/2006 proposto da:

S.W., già elettivamente domiciliato in ROMA, VIA OSLAVIA

30, presso lo studio dell’avvocato ROSATI ANGELO, che lo rappresenta

e difende, giusta delega a margine del ricorso e da ultimo d’ufficio

presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE;

– ricorrente –

contro

C.F., ISTITUTI EDITORIALE BIELLESE S.R.L.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1335/2 005 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 26/07/2005 R.G.N. 282/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/01/2010 dal Consigliere Dott. PIETRO CURZIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PATRONE Ignazio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

Con sentenza pubblicata il 26 luglio 2005 la Corte d’Appello di Torino, riformando la decisione di primo grado, ha accolto la domanda di C.F., giornalista, nei confronti dell’Istituto editoriale biellese srl, società le cui quote sono detenute dall’Unione industriale di Biella editrice del giornale (OMISSIS), nonchè nei confronti del direttore di questo giornale all’epoca dei fatti, S.W..

Di conseguenza, ha annullato il licenziamento della C. del 22 marzo 2002, condannando la srl al pagamento di sei mensilità e, dichiarato illegittimo il demansionamento subito dalla C. dal 29 novembre 2001, condannando la società a risarcirle il danno biologico, il danno morale, esistenziale ed alla professionalità, nonchè a rimborsarle le spese mediche.

Infine, ha condannato in solido la società e il S. a risarcire il danno morale da ingiuria, di cui alla lettera 29 novembre 2001, liquidato in 3.000,00 Euro, oltre rivalutazione ed interessi dalla data della sentenza.

Contro questo ultimo capo della pronuncia ricorre per cassazione il S. chiedendo di cassare la sentenza decidendo la causa nel merito o in subordine rinviando ad altro giudice.

Il ricorso non contiene un’articolazione in motivi. Consta di una esposizione unica, in cui, dopo aver narrato la vicenda processuale, si formulano una serie di censure di varia natura, senza indicare nè in rubrica (il ricorrente ha omesso di formulare una rubrica) nè comunque nel testo del ricorso, il tipo di vizi imputati alla sentenza, secondo la articolazione dell’art. 360 c.p.c., nn. 1 – 5, e le norme di diritto su cui i motivi si fondano. I motivi peraltro risultano nel loro contenuto indistinti e privi del requisito di specificità.

Da una lettura complessiva dell’atto si evince che la sentenza viene censurata perchè ha fondato il risarcimento su di un fatto illecito, la frase contenuta nella lettera indirizzata dal ricorrente alla C. il 29 novembre 2001, ritenuta ingiuriosa in assenza degli estremi della ingiuria. Infatti, il ricorso si conclude con due quesiti: “l’espressione valutativa della capacità professionale è di per sè sufficiente ad integrare il reato di usura, pur in assenza dell’elemento soggettivo e/o oggettivo? L’espressione valutativa sulla capacità professionale di un lavoratore, di per sè non ingiuriosa, acquista la qualità di fatto reato per il solo motivo della mancata specificazione delle motivazioni a supporto della valutazione stessa?”.

Deve premettersi che, anche a seguito delle precisazioni contenute nella sentenze delle Sezioni unite del novembre 2008, il danno non patrimoniale è risarcibile in una serie di situazioni. Fra di esse quella, tradizionale, in cui il fatto illecito si configuri come reato.

In tal caso dovrà essere risarcito quello che tradizionalmente veniva indicato come danno morale soggettivo transeunte e che le Sezioni unite hanno più ampiamente ridefinito un “pregiudizio non patrimoniale, conseguente al fatto illecito, costituito dalla sofferenza soggettiva cagionata dal reato in sè considerata. Sofferenza la cui intensità e durata nel tempo non assumono rilevanza ai fini dell’esistenza del danno, ma solo della quantificazione del risarcimento” (Cfr. Cass., Sez. Un., 11 novembre 2008 n. 26972).

Deve ricordarsi peraltro che per giurisprudenza consolidata, richiamata dalle stesse sezioni unite, la risarcibilità del danno non patrimoniale, a norma dello art. 2059 c.c., in relazione all’art. 185 c.p., non richiede che il fatto illecito integri in concreto un reato, ed un reato punibile, per concorso di tutti gli elementi a tal fine rilevanti per la legge penale, essendo sufficiente che il fatto stesso sia astrattamente preveduto come reato, e sia conseguentemente idoneo a ledere l’interesse tutelato dalla norma penale.

La Corte d’Appello di Torino si è attenuta a questa impostazione ritenendo sussistenti gli estremi dell’ingiuria nella frase, contenuta in un atto di esonero dalle funzioni di capo redattore, in cui senza fornire alcun argomento a sostegno dell’affermazione, si afferma che la C. è nella “conclamata incapacità professionale” di svolgere le funzioni di caporedattore.

La Corte ha ritenuto la natura ingiuriosa di tale affermazione, anche a causa della sua totale apoditticità, ed ha argomentato la sua decisione con motivazione adeguata e priva di contraddizioni.

Pertanto, il ricorso deve essere respinto. Nulla sulle spese, poichè la C. non ha svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 13 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 30 marzo 2010

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