Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7648 del 24/03/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 24/03/2017, (ud. 03/02/2017, dep.24/03/2017),  n. 7648

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI IASI Camilla – Presidente –

Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – rel. Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 27507-2013 proposto da:

EQUITALIA SUD SPA in persona del Responsabile C.E.R., elettivamente

domiciliato in ROMA VIA CLAUDIO MONTEVERDI 16, presso lo studio

dell’avvocato PATRIZIA AMORETTI, rappresentato e difeso

dall’avvocato FRANCESCO PAOLO MANSI giusta delega in calce;

– ricorrente –

contro

P.L., elettivamente domiciliato in ROMA VIA COSSERIA 2,

presso lo studio dell’avvocato ALFREDO PLACIDI, rappresentato e

difeso dall’avvocato GIOVANNI SELLITTO giusta delega a margine;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 140/2013 della COMM. TRIB. REG. di NAPOLI,

depositata il 15/04/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

03/02/2017 dal Consigliere Dott. STALLA GIACOMO MARIA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SOLDI ANNA MARIA che ha concluso per l’inammissibilità in subordine

rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL GIUDIZIO

Equitalia Sud spa propone tre motivi di ricorso per la cassazione della sentenza n. 140/3/13 del 15 aprile 2013 con la quale la commissione tributaria regionale della Campania, a conferma della prima decisione, ha ritenuto illegittima l’iscrizione ipotecaria effettuata a carico di P.L., il 20 ottobre 2009, sulla base di nove cartelle di pagamento per tributi vari.

Ha rilevato, in particolare, la commissione tributaria regionale che l’iscrizione ipotecaria in oggetto non era stata preceduta dalla regolare notificazione delle prodromiche cartelle di pagamento; e si basava, inoltre, su taluni crediti tributari che, in assenza di atti interruttivi, dovevano ritenersi prescritti.

Resiste con controricorso il P..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

p. 1. Con il primo motivo di ricorso Equitalia Sud lamenta – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60; art. 140 c.p.c.; art. 2700 c.c.; D.P.R. n. 602 del 1973, artt. 76 e 77. Per avere la commissione tributaria regionale erroneamente affermato l’irregolare notificazione delle cartelle sub nn. da 1) a 7) perchè effettuata, ex art. 60 cit., nei confronti di un contribuente che non poteva ritenersi irreperibile. Al contrario, era in atti la prova (risultante dalla notificazione di avvisi di mora non opposti, e tenuto conto che l’agente per la riscossione non doveva conservare la documentazione di notificazione oltre il quinquennio) del fatto che il P. fosse irreperibile all’indirizzo di (OMISSIS); con conseguente regolarità della notificazione ex art. 60 cit..

Il motivo è inammissibile.

In linea di diritto, la commissione tributaria regionale ha fatto corretta applicazione del principio per cui la notifica ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, (che prevede diverse formalità di esecuzione rispetto a quanto stabilito dall’art. 140 c.p.c.) presuppone non già la momentanea assenza del destinatario, bensì la irreperibilità assoluta del medesimo all’indirizzo indicato.

Si tratta di principio più volte affermato in sede di legittimità, secondo cui: “E’ illegittima la notificazione degli avvisi e degli atti tributari impositivi (nella specie, cartella di pagamento) effettuata ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 60, comma 1, lett. e), laddove il messo notificatore abbia attestato la sola irreperibilità del destinatario nel comune ove è situato il domicilio fiscale del contribuente, senza ulteriore indicazione delle ricerche compiute per verificare che il trasferimento non sia un mero mutamento di indirizzo all’interno dello stesso comune, dovendosi procedere secondo le modalità di cui all’art. 140 c.p.c., quando non risulti un’irreperibilità assoluta del notificato all’indirizzo conosciuto, la cui attestazione non può essere fornita dalla parte nel corso del giudizio” (Cass. ord. n. 24260 del 13/11/2014; in termini, Cass. 25079/14; 27677/13 ed altre).

Nemmeno è rilevabile, nella specie, la violazione delle regole di riparto dell’onere della prova.

Fermo infatti restando che gravava sull’esattore l’onere di provare la regolare notificazione delle cartelle di pagamento poste a base dell’iscrizione ipotecaria contestata, tale onere doveva essere assolto mediante produzione in giudizio della “relata” di notificazione, ovvero dell’avviso di ricevimento “essendo esclusa la possibilità di ricorrere a documenti equipollenti, quali, ad esempio, registri o archivi informatici dell’Amministrazione finanziaria o attestazioni dell’ufficio postale” (Cass. n. 23213 del 31/10/2014). In assenza di tali produzioni, corretta deve dunque ritenersi l’affermazione della commissione tributaria regionale di mancato assolvimento dell’onere probatorio da parte di Equitalia.

Nè quest’ultima potrebbe fondatamente avvalersi del disposto di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 5.

Questa disposizione, nello stabilire che “l’esattore deve conservare per cinque anni la matrice o la copia della cartella con la relazione dell’avvenuta notificazione o l’avviso di ricevimento ed ha l’obbligo di farne esibizione su richiesta del contribuente o dell’amministrazione” non enuclea un’ipotesi di esenzione, oltre il quinquennio, dall’onere della prova a vantaggio del concessionario, limitandosi a stabilire che quest’ultimo conservi la prova documentale della cartella notificata a soli fini di esibizione al contribuente o all’amministrazione. Ciò non toglie che, per le esigenze connaturate al contenzioso giurisdizionale, trovino pieno e continuativo vigore – se necessario, anche oltre i cinque anni – le disposizioni generali sul riparto e sul soddisfacimento dell’onere probatorio; con la conseguenza che l’agente per la riscossione sarà comunque tenuto, indipendentemente dal suddetto obbligo di conservazione nel quinquennio, a fornire in giudizio la prova della notificazione della cartella: una cosa essendo l’obbligo di conservazione a fini amministrativi, organizzativi ed ispettivi, e tutt’altra l’osservanza dell’art. 2697 c.c., non derogato dalla norma speciale.

Si tratta di soluzione armonica con quanto più volte affermato – in diversa materia, ma in analoga fattispecie legale di tenuta documentale obbligatoria – in ordine all’obbligo di conservazione decennale delle scritture contabili ex art. 2220 c.c.; obbligo non idoneo a sollevare l’imprenditore, successivamente al decorso dei dieci anni, dall’onere della prova posto a suo carico nel giudizio secondo le regole generali (Cass. 26683/09; 1842/11; 19696/14 ed altre).

La presente censura, inequivocabilmente mirata sulla violazione della normativa di riferimento, va dunque respinta; dal momento che non risulta alcuna violazione di questo tipo.

Altro è a dire che la commissione tributaria regionale abbia, in ipotesi, malamente valutato il requisito della “assoluta irreperibilità” del destinatario. Questo specifico aspetto andava però fatto oggetto di una censura di natura, non normativa, ma motivazionale. E sempre che ne sussistessero tutti i presupposti di cui alla nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5; tanto più tenuto conto dei rigorosi limiti entro i quali è consentito al giudice di legittimità di riconsiderare gli aspetti fattuali – qual è indubbiamente quello in discussione – della lite.

p. 2. Con il secondo motivo di ricorso si deduce – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, – omessa ed errata motivazione circa un punto decisivo della controversia; per avere la commissione tributaria regionale ritenuto irregolarmente notificate le cartelle sub nn. 5), 6) e 7) dopo il fallimento del P. (erroneamente datato 7 giugno 2000, invece che 2 aprile 2003). Contrariamente a tale assunto, le notifiche in questione (cartelle nn. 5-6) erano avvenute prima del fallimento personale (appunto dichiarato il 2 aprile 2003); mentre la notificazione della cartella n. 7) era sì avvenuta (8 agosto 2003) successivamente al fallimento, ma in relazione a crediti i cui presupposti si erano in toto determinati prima della dichiarazione di fallimento medesima, con conseguente legittimità della notificazione al debitore invece che al curatore fallimentare.

Nemmeno questa doglianza può trovare accoglimento.

Fermo restando il principio di diritto secondo cui “la dichiarazione di fallimento non comporta il venir meno dell’impresa, ma solo la perdita della legittimazione sostanziale e processuale da parte del suo titolare, nella cui posizione subentra il curatore fallimentare. Ne consegue che gli atti del procedimento tributario formati in epoca anteriore alla dichiarazione di fallimento del contribuente, ancorchè intestati a quest’ultimo, sono opponibili alla curatela, mentre quelli formati in epoca successiva debbono indicare quale destinataria l’impresa assoggettata alla procedura concorsuale e, quale legale rappresentante della stessa, il curatore” (Cass. ord. n. 12789 del 06/06/2014, ed altre), Equitalia lamenta – questa volta – non già la violazione normativa, ma un’errata ricostruzione degli elementi della fattispecie. Segnatamente, della data di dichiarazione di fallimento personale del P., in qualità di socio illimitatamente responsabile di snc già dichiarata fallita.

Orbene, in quanto dedotto come vizio di natura motivazionale, ricorrevano nella specie i limiti di ammissibilità di cui alla nuova formulazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5; qui valevole ratione temporis.

In ordine a tale nuova formulazione – applicabile anche al ricorso per cassazione proposto avverso sentenze del giudice tributario – si è affermato (Cass. Sez. U, n. 8053 del 07/04/2014) che: “la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, art. 54, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione” (così, in seguito, Cass. n. 12928/14; Cass. ord. n. 21257/14; Cass. 2498/15 ed altre).

Su tale presupposto, si evince dalla stessa narrativa della ricorrente come la commissione tributaria regionale non sia affatto incorsa, nel senso indicato, in omesso esame di un fatto decisivo; e ciò per almeno due dirimenti ragioni.

La prima è che essa ha preso partitamente in considerazione la problematica della data del fallimento personale del P., individuandola nel 7 giugno 2000; non, dunque, di omesso esame si può parlare ma, a tutto concedere, di un errore di valutazione probatoria o, al limite, di percezione nella lettura degli atti (ipotesi, quest’ultima, non già di ricorso per cassazione ma – se mai, e nel concorso degli altri elementi – di revocazione per errore di fatto ex art. 395 c.p.c. n. 4).

La seconda è che, in realtà, neppure potrebbe dirsi che questo aspetto (data del fallimento personale) abbia assunto valenza decisiva ai fini della decisione; posto che le cartelle in esame (nn.5 – 6 – 7) sono state ritenute inidonee a supportare l’iscrizione ipotecaria non solo (e non tanto) per le implicazioni con il fallimento del contribuente, ma soprattutto perchè anch’esse notificate, ex art. 60 cit., in assenza di prova certa di irreperibilità assoluta del P.. Aspetto per il quale valgono le già svolte considerazioni.

In nessun caso, pertanto, la doglianza può avere l’effetto di sovvertire la decisione adottata.

p. 3. Con il terzo motivo di ricorso si lamenta – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60; art. 140 c.p.c.; art. 2946 c.c.. Per avere la commissione tributaria regionale erroneamente affermato la prescrizione del credito portato dalla cartella sub 1), nonostante l’esistenza, agli atti di causa, di avviso di mora interruttivo notificato in data 21 ottobre 2000 (a seguito di notificazione della cartella in data 13 maggio 1992) e, pertanto, nel rispetto del termine decennale dall’iscrizione ipotecaria opposta (20 ottobre 2009).

Si tratta di censura per più versi inammissibile.

In primo luogo, essa non tiene conto del fatto che quella della prescrizione decennale è stata una ratio decidendi non esclusiva, ma concorrente; ha infatti osservato la commissione tributaria regionale che la cartella sub n. 1) (come anche le nn. 2-3-4) non poteva supportare l’iscrizione ipotecaria non solo perchè relativa ad un credito ormai prescritto per decorrenza decennale, ma anche perchè – in ogni caso – irregolarmente notificata ex art. 60 cit. (per le già esposte ragioni). Atteso che questa seconda ratio decidendi – di per sè autonoma ed esaustiva, in quanto idonea a sorreggere, anche da sola, la decisione – non è stata validamente censurata, la presente doglianza risulta appunto inammissibile per carenza di interesse (Cass. n. 12372 del 24/05/2006; in termini: Cass. 16.8.06, n. 18170; Cass. 29.9.05, n. 19161 ed altre).

In secondo luogo, essa non considera che il mancato rilievo di un atto o risultanza di causa (insita nell’atto interruttivo della prescrizione mediante notificazione di avviso di mora) – in quanto derivante non già da una determinata valutazione giuridica sulla reale efficacia interruttiva attribuibile all’atto, ma da una incompleta ricostruzione del quadro istruttorio – non potrebbe comunque integrare il vizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Dovendo anch’esso essere fatto valere sotto il diverso profilo del vizio di motivazione (in presenza, come detto, dei richiamati presupposti) ovvero, al limite, quale errore revocatorio.

PQM

La Corte;

– rigetta il ricorso;

– condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione che liquida in Euro 2.900,00; oltre rimborso forfettario spese generali ed accessori di legge.

– v.to il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012;

– dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della quinta sezione civile, il 3 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 24 marzo 2017

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