Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7647 del 30/03/2010
Cassazione civile sez. lav., 30/03/2010, (ud. 12/01/2010, dep. 30/03/2010), n.7647
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCIARELLI Guglielmo – Presidente –
Dott. MONACI Stefano – rel. Consigliere –
Dott. DI NUBILA Vincenzo – Consigliere –
Dott. CURCURUTO Filippo – Consigliere –
Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro
tempore elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PO 25/B, presso lo
studio dell’avvocato PESSI ROBERTO, che la rappresentata e difende,
giusta delega a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
C.L., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA COMANO 95,
presso lo studio dell’avvocato PUCCINELLI DANIELA, rappresentata e
difesa dall’avvocato LUCA’ PASQUALE, giusta delega a margine del
controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 585/2005 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,
depositata il 22/04/2005 R.G.N. 803/05;
udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del
12/01/2010 dal Consigliere Dott. MONACI Stefano;
udito l’Avvocato GENTILE GIOVANNI GIUSEPPE per delega PESSI ROBERTO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso per inammissibilità, in
subordine rigetto del ricorso.
Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La signora C.L., dipendente della società Poste Italiane s.p.a., ha impugnato il licenziamento che le era stato intimato dalla società perchè, mentre era assente legittimamente dal proprio lavoro in quanto usufruiva di periodo di congedo ai sensi della L. n. 53 del 2000, art. 4 (vale a dire per assistere il figlio gravemente malato), aveva svolto una diversa attività di lavoro presso una officina privata.
Costituitosi il contraddittorio, ed effettuata l’istruttoria, il giudice unico del Tribunale accoglieva la domanda e dichiarava illegittimo il licenziamento.
Con sentenza n. 585/05, depositata in cancelleria il 22 aprile 2005, la Corte d’Appello confermava la pronunzia di primo grado, rigettando l’appello delle Poste.
La Corte d’Appello riteneva che, pur se non vi erano dubbi sulla presenza della signora C. nell’officina, la parte datoriale non avesse fornito una prova certa dello svolgimento di una attività lavorativa da parte della dipendente.
Avverso la sentenza di appello, che non risulta notificata, la società Poste Italiane s.p.a. ha proposto ricorso per Cassazione, con un motivo, notificato, in termine, il 21 aprile 2006.
L’intimata signora C.L. ha resistito con controricorso notificato, in termine, il 25 maggio 2006.
La ricorrente, infine, ha depositato una memoria difensiva.
Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Nell’unico motivo di impugnazione la ricorrente deduce la violazione falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c., e l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia.
Critica l’interpretazione delle prove e la ricostruzione da parte del giudice di merito.
Quest’ultimo non avrebbe tenuto conto della discordanza delle dichiarazioni rese dalla lavoratrice ad un ispettore delle poste rispetto a quelle rese, invece, al giudice, nè aveva dato, immotivatamente, il giusto valore agli elementi probatori.
A suo parere, il giudice aveva dato credito a testi che avevano reso dichiarazioni contraddittorie.
2. Il ricorso è infondato.
La censura proposta è inammissibile, perchè si risolve nella riproposizione di una questione di fatto, relativa alla ricostruzione dei fatti ed alla valutazione delle prove, che, proprio perchè concerne il fatto, non è suscettibile di un nuovo esame in questa fase di legittimità: in realtà la Società ricorrente pone in discussione non elementi di diritto, ma una valutazione di fatto spettante al giudice di merito, contrapponendo inammissibilmente a quelle di quest’ultimo la propria valutazione e la propria ricostruzione degli eventi.
La motivazione della sentenza, d’altra parte, è coerente e puntuale, e non viene scalfita dalle argomentazioni generiche della società ricorrente.
3. Il ricorso perciò è infondato, e non può essere accolto.
Le spese, liquidate così come in dispositivo, seguono la soccombenza in danno del ricorrente.
P.Q.M.
LA CORTE Respinge il ricorso e condanna la ricorrente alle spese che liquida in Euro 27,00, oltre ad Euro 2.000,00 (duemila/00) per onorari ed oltre a spese processuali, IVA e CPA. Così deciso in Roma, il 12 gennaio 2010.
Depositato in Cancelleria il 30 marzo 2010