Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7647 del 18/04/2016


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 7647 Anno 2016
Presidente: IACOBELLIS MARCELLO
Relatore: CARACCIOLO GIUSEPPE

sul ricorso 28265-2013 proposto da:
GIUFFRE` ANTONINO SEBASTIANO GFFNNN53C0117251L,
elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE SANTA TERESA 23,
presso lo studio dell’avvocato PAOLO GRIMALDI, rappresentato e
difeso dall’avvocato DARIO GRECO, giusta procura speciale in calce
al ricorso;

– ricorrente Contro

AGENZIA DELLE ENTRATE 11210661002, in persona del
Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che la rappresenta e difende, ope legis;

controricorrente

Data pubblicazione: 18/04/2016

avverso la sentenza n. 127/2012 della COMMISSIONE
TRIBUTARIA REGIONALE di PALERMO del 24/10/2011,
depositata il 24/09/2012;
udita la relazione della causa svolta nella carner a di consiglio del
17/02/2016 dal Consigliere Relatore Dott. GIUSEPPE

udito l’Avvocato DARIO GRECO, difensore del ricorrente, che si
riporta agli scritti.

Ric. 2013 n. 28265 sez. MT – ud. 17-02-2016
-2-

CARACCIOLO;

La Corte,
ritenuto che, ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ., è stata depositata in
cancelleria la seguente relazione:
Il relatore cons. Giuseppe Caracciolo,
letti gli atti depositati,

La CTR di Palermo ha accolto l’appello dell’Agenzia -appello proposto contro
la sentenza n.41/09/2008 della CTP di Palermo che aveva accolto il ricorso
proposto da Giuffrè Antonino Sebastiano- ed ha così confermato iscrizione a
ruolo relativa ad IRPEF anno 2003, iscrizione adottata a seguito di controllo
automatizzato della dichiarazione relativa al predetto periodo di imposta per le
somme dichiarate e non versate.
La menzionata CTR —dopo avere dato atto che con la sentenza di primo grado
era stato disposto l’annullamento non solo dell’anzidescritto ruolo ma anche di
un altro relativo al precedente periodo di imposta 2002- ha ritenuto che la
pronuncia di primo grado fosse viziata per ultrapetizione a riguardo del ruolo
relativo all’annualità 2002, giacché il ricorso in impugnazione appariva
riguardare “unicamente una iscrizione a ruolo di imposta IRPEF di E 21.114,00
oltre addizionali, interessi e sanzioni per l’anno 2003”. Ha ritenuto inoltre, per
ciò che concerne l’iscrizione effettivamente impugnata (avendo il contribuente
allegato di avere tempestivamente conferito delega di pagamento alle Poste
Italiane a cui aveva anche richiesto l’emissione di una certificazione sul punto,
senza averne ricevuto risposta), che dagli accertamenti istruttori disposti dalla
stessa Commissione era risultata l’inesistenza di alcun versamento del
contribuente alla contabilità dell’ufficio postale al quale si assumeva conferita
la delega. D’altronde (su tutte tre le fotocopie degli F24 prodotte dalla parte
ricorrente, di cui era stato ordinato anche la produzione in originale, nel mentre
di un solo modello era stato depositato una copia certificata conforme da notaio

Ricorso n. 28265/2013 R.G

osserva:

a cui era stata esibita nel giugno 2009, prima dello smarrimento dell’originale),
risultavano anomale le sigle apposte sui timbri circolari dell’ufficio postale
medesimo; i modelli apparivano compilati in maniera incompleta (per il difetto
dell’indicazione dell’ente delegato); gli stessi recavano scritturazioni a mano
assolutamente incomprensibili ed ultronee; gli stessi recavano il difetto di

Ciò premesso, la CTR riteneva che la quietanza dell’ufficio postale fosse
“manifestamente irregolare” e che non potesse costituire prova dell’avvenuto
versamento a mezzo di delega ad un’azienda abilitata.
La parte contribuente ha interposto ricorso per cassazione affidato a due
motivi.
L’Agenzia si è difesa con controricorso.
Il ricorso — ai sensi dell’art.380 bis cpc assegnato allo scrivente relatore – può
essere definito ai sensi dell’art.375 cpc.
Infatti, con il primo motivo di impugnazione (improntato alla nullità della
sentenza e del procedimento per violazione dell’art.112 cpc) la parte ricorrente
si duole del fatto che il giudice di appello abbia riscontrato un vizio di
ultrapetizione da parte del giudice di primo grado e ciò per l’errore di avere
esaminato solo l’intestazione dell’atto introduttivo del ricorso di primo grado,
nel contesto del quale —invece- la parte ricorrente aveva evidenziato l’esistenza
di una iscrizione a ruolo di IRPEF anche per l’anno 2002, allegando l’estratto di
ruolo e prospettando di avere pagato anche dette imposte, così come indicato in

punzonatura automatica che è prevista per l’operazione effettuata allo sportello.

un “conseguente prospetto”.
Il motivo appare inammissibilmente proposto, per due distinte ragioni.
Anzitutto per l’erronea identificazione della norma che si assume violata ovvero
per l’erroneità del vizio prospettato. Benvero, nell’appello il thema decidendum
è fissato nell’atto di gravame e perciò (accogliendo l’espressa censura della
parte appellante) il giudicante non può avere commesso alcuna violazione del
principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato.
Ricorso n. 28265/2013 R.G

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D’altronde (e volendo prescindere, per ragione di completezza, dalla valenza
assorbente del rilievo appena individuato), anche per ragione della violazione
del canone di autosufficienza del ricorso per cassazione (da rispettarsi anche in
relazione ai motivi di impugnazione denunciati a mente del n.4 dell’art.360
comma l cpc: in termini, per tutte, Cass. Sez. 3, Sentenza n. 5087 del

indicazione contenuta nel contesto del ricorso introduttivo di primo grado ma
non ha dettagliato alcunché in relazione alle conclusioni contenute nello stesso
ricorso le quali ultime soltanto hanno valenza decisiva al fine di poter
apprezzare l’effettiva estensione del “petitum” di primo grado (in difetto della
chiara indicazione di altri elementi che possano considerarsi utile surrogato delle
“formali” domande conclusive).
Con il secondo motivo di impugnazione (centrato sulla violazione dell’art.2719
cod civ e dell’art.12 della legge n.751/1976) la parte ricorrente si duole della
decisione in punto di ritenuta insussistenza della prova dei versamenti
evidenziando di avere “fornito la prova documentale, sia pure in fotocopia, dei
contestati versamenti”, senza che nessun disconoscimento della conformità agli
originali sia stato tempestivamente eccepito ex adverso, sicché il giudicante
avrebbe dovuto ritenere dette copie conforme agli originali a mente dell’art.2719
cod civ; e si duole ancora della violazione del menzionato art.12 nella parte in
cui è previsto che la delega ivi contemplata “costituisce una modalità di
pagamento che libera il delegante, estinguendo il credito di imposta”.
Anche detto motivo appare inammissibilmente proposto, per plurime ragioni,
ciascuna riferibile ai distinti profili di cui il motivo si compone.
Quanto al primo profilo, per difetto di attinenza alla espressa ratio della
decisione.
Il giudicante infatti non ha deciso sul presupposto che le copie fotostatiche
versate in atti non possano essere considerate perché non conformi agli originali.
Anzi, egli le ha considerate, attentamente esaminate e ne ha valorizzato gli
Ricorso n. 28265/2013 R.G

03/03/2010), atteso che la parte ricorrente sì è limitato a fare riferimento ad una

elementi costitutivi (non meno di come avrebbe fatto con gli originali) pur
evidenziando (ma senza trarne alcuna conseguenza sotto il profilo strettamente
processuale) che di questi ultimi aveva anche ordinato la produzione in giudizio.
Ergo, le copie fotostatiche sono state considerate debitamente riproduttive degli
originali, dei quali però il giudicante ha sconfessato l’idoneità a costituire prova

chiarito nella parte narrativa.
A riguardo di questa effettiva ratio decidendi nulla è stato argomentato nel
motivo di impugnazione.
Quanto al secondo profilo, per difetto di inerenza agli argomenti utilizzati dal
giudicante.
Quest’ultimo infatti non si è in alcun modo espresso sulla applicazione ed
interpretazione dell’art.12 valorizzato dalla parte ricorrente, sicché non si vede
in che termini il motivo di ricorso possa correlarsi con il percorso argomentativo
sottostante al contenuto dispositivo della pronuncia.
Non resta che concludere che il ricorso appare inammissibile, sicché potrà
essere esaminato in camera di consiglio per questa ipotesi di decisione.
Roma, 30 luglio 2015

ritenuto inoltre:
che la relazione è stata notificata agli avvocati delle parti;
che non sono state depositate conclusioni scritte, né memorie;
che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condivide i
motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione e, pertanto, il ricorso va
rigettato;
che le spese di lite vanno regolate secondo la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente a rifondere le spese di
lite di questo giudizio, liquidate in E 2.500,00 oltre spese prenotate a debito ed
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degli avvenuti versamenti a mezzo di delega ad azienda abilitata, siccome è stato

accessori di legge.
Ai sensi dell’art.13 comma 1 quater del DPR 11.115 del 2002, la Corte dà atto
della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il
ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art.13.

DEPOSITATO IN CANCELLERIA

Così deciso in Roma il 17 febbraio 2016

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