Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7647 del 02/04/2020

Cassazione civile sez. trib., 02/04/2020, (ud. 11/06/2019, dep. 02/04/2020), n.7647

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. PERINU Renato – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 19784-2014 proposto da:

BRAIN TECHNOLOGY SPA in persona del Presidente del C.d.A. e legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA

XXIV MAGGIO 43, presso lo studio dell’avvocato PAOLO PURI, che lo

rappresenta e difende unitamente agli avvocati FRANCESCO PISTOLESI,

MARCO MICCINESI giusta delega a margine;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona dei Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1148/2014 della COMM. TRIB. REG. di FIRENZE,

depositata il 05/06/2014;

udita la relazione della causa svolta nella. pubblica udienza del

11/06/2019 dal Consigliere Dott. RENATO PERINU;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PEDICINI ETTORE che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito per il ricorrente l’Avvocato PISTOLESI che ha chiesto

l’accoglimento;

udito per il controricorrente l’Avvocato VALENZANO che ha chiesto il

ricetto.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con distinti avvisi di accertamento, l’Agenzia delle Entrate, basandosi su un processo verbale di constatazione della GDF, recuperava a tassazione l’IVA assolta sugli acquisti della S.p.a. Brain Technology, relativamente all’anno d’imposta 2000, ritenendo trattarsi di operazioni soggettivamente inesistenti, poste in essere da società costituite al solo scopo di frodare l’IVA, interponendosi tra i reali fornitori e gli acquirenti nazionali.

2. Il ricorso proposto dalla contribuente veniva integralmente accolto dalla CTP; l’Agenzia delle Entrate impugnava tale pronuncia nanti la CTR che, confermava il gravame, e per l’effetto, la sentenza appellata.

3. Questa Corte con sentenza n. 15741/2012, accoglieva il gravame interposto dall’Agenzia delle Entrate avverso la decisione della CTR, rinviava la causa al giudice di secondo grado.

4. A seguito di riassunzione da parte della contribuente, il giudizio veniva definito dalla CTR della Toscana che, con la sentenza n. 1148/1/14, depositata il 5/6/2014, accoglieva l’appello a suo tempo proposto dall’Agenzia delle Entrate.

5. In particolare, per quanto qui rileva, la CTR osservava che, la pretesa impositiva dell’Ufficio si fondava su elementi indiziari conducenti e comprovati, tali da attestare, inequivocabilmente, l’assenza di buona fede in capo al contribuente; in particolare riteneva il giudice d’appello che la sussistenza dei gravi indizi fosse stata, inequivocabilmente, acclarata dal giudice di secondo grado.

6. Avverso tale pronuncia ricorre la Brain Technology S.p.a., affidandosi a quattro motivi.

7. L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo viene denunciata, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza perchè fornita di motivazione apparente, in violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4 e art. 61, dell’art. 112 c.p.c., dell’art. 132c.p.c., comma 2, n. 4 e dell’art. 118 disp. att. c.p.c., in combinato disposto con il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 1, comma 2, e dei principi generali sulla motivazione dei provvedimenti giurisdizionali sanciti dall’art. 111 Cost., commi 6 e 7, anche in relazione al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 63 e all’art. 384 c.p.c., comma 2.

2. Con il secondo motivo viene denunciata, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza perchè resa in violazione del “decisum” della sentenza rescindente e comunque del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 63, e dell’art. 384 c.p.c., n. 2, nonchè dei principi generali in materia di rinvio.

3. Con il terzo motivo parte ricorrente lamenta in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, “sintomatici” della buona fede della Società: 1) insussistenza di vantaggi economici ritratti dagli acquisti contestati, siccome avvenuti a prezzi di mercato; 2) fatti attestanti un’effettiva organizzazione aziendale in capo ad almeno alcune delle presunte “cartiere”; 3) abitualità dei modi di acquisto, trasporto e pagamento ritenuti “anomali” dall’Agenzia delle Entrate pure nei rapporti di Brain con fornitori estranei agli addebiti erariali.

4. Con il quarto motivo viene denunciata, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2729 c.c., e dei principi generali in materia di prova per presunzioni semplici, nonchè dei principi di non contestazione e di valutazione delle prove secondo il libero convincimento del Giudice di cui, rispettivamente, dell’art. 115 c.p.c., comma 1, e dell’art. 116 c.p.c., comma 1, nonchè dell’onere della prova ai sensi dell’art. 2697 c.c..

5. Il ricorso risulta fondato entro i termini dappresso indicati.

6. Va, innanzitutto, disatteso il primo motivo concernente la prospettata motivazione apparente della sentenza impugnata.

7. La nuova formulazione del vizio di legittimità, introdotta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito con modificazioni nella L. 7 agosto 2012, n. 134 (recante “Misure urgenti per la crescita del Paese”), che ha sostituito l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (con riferimento alle impugnazioni proposte avverso le sentenze pubblicate, come quella in disamina, successivamente alla data dell’11 settembre 2012), ha limitato la impugnazione delle sentenze in grado di appello o in unico grado per vizio di motivazione alla sola ipotesi di “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudiziò che è stato oggetto di discussione tra le parti”, con la conseguenza che, al di fuori dell’indicata omissione, il controllo del vizio di legittimità rimane circoscritto alla sola verifica della esistenza del requisito motivazionale nel suo contenuto “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, ed individuato “in negativo” dalla consolidata giurisprudenza della Corte – formatasi in materia di ricorso straordinario- in relazione alle note ipotesi (mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale; motivazione apparente; manifesta ed irriducibile contraddittorietà; motivazione perplessa od incomprensibile) che si convertono nella violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4), e che determinano la nullità della sentenza per carenza assoluta del prescritto requisito di validità (Cass. n. 23940/2017).

8. Ciò posto, nel caso di specie, non è ravvisabile tale carenza assoluta del requisito motivazionale, atteso che seppure con assetto argomentativo essenziale e sintetico, la CTR ha, comunque, individuato gli elementi dai quali inferire il carattere fittizio delle società fornitrici (mancanza di una propria struttura commerciale e di una effettiva organizzazione aziendale; natura di meri prestanome dei loro rappresentanti; modalità anomale dei rapporti di acquisto intrattenuti con esse dalla contribuente con particolare riferimento ai trasferimenti delle merci e ai pagamenti; il contesto in cui le transazioni in oggetto si collocavano, caratterizzato dal sistematico ricorso all’evasione fiscale; le specifiche risultanze dell’indagine penale, con richiamo, implicito “per relationem”, alla sentenza rescindente di questa Corte.

9. Vanno congiuntamente esaminati il secondo ed il terzo motivo in quanto strettamente connessi, avendo entrambi problematiche comuni, attinenti la prova della partecipazione o almeno della consapevolezza, in capo alla ricorrente, delle condotte fraudolente poste in essere dai propri fornitori, e la correlata questione concernente l’ambito motivazionale fissato nella pronuncia rescindente.

10. I motivi di gravame s’appalesano fondati entro i termini dappresso indicati.

11. Secondo il principio già più volte affermato nella giurisprudenza di questa Corte, cui qui si intende dare continuità, qualora l’Amministrazione finanziaria contesti al contribuente l’indebita detrazione di fatture ai fini IVA e di imposte dirette, in quanto relative ad operazioni inesistenti, spetta all’Ufficio fornire la prova che l’operazione commerciale, oggetto della fattura, non è mai stata posta in essere, ovvero non è stata posta in essere tra i soggetti indicati nella fattura, indicando gli elementi anche indiziari sui quali si fonda la contestazione anche in merito alla conoscenza ovvero alla conoscibilità della fittizietà delle operazioni da parte del cessionario/committente che richiede la detrazione, mentre è onere del contribuente dimostrare la fonte legittima della detrazione o del costo altrimenti indeducibili e la sua mancanza di consapevolezza di partecipare ad un’operazione fraudolenta, non essendo sufficiente, a tal fine, la regolarità formale delle scritture o le evidenze contabili per pagamenti, in quanto si tratta di dati e circostanze facilmente falsificabili (Cass. n. 967/2016 – Cass. n. 428/2015 – Cass. n. 28683/2015).

12. Su tale tema la Corte Europea ha più volte ribadito che se – tenuto conto di evasioni o irregolarità commesse dall’emittente della fattura o, comunque, a monte dell’operazione dedotta a fondamento del diritto alla detrazione – tale operazione è considerata come non effettivamente realizzata, l’Amministrazione finanziaria deve dimostrare, alla luce di elementi oggettivi ed alla stregua dei principi sull’onere della prova vigenti nello Stato membro, senza, peraltro, esigere dal destinatario della fattura verifiche (circa la qualità di soggetto passivo IVA in capo al fatturante o la disponibilità dei beni di cui trattasi) alle quali non è tenuto, che tale destinatario sapeva o avrebbe dovuto sapere che detta operazione si inseriva nel quadro di un’evasione dell’imposta sul valore aggiunto; circostanza, questa, che, secondo la Corte di Lussemburgo, spetta al giudice del rinvio verificare (Corte giustizia 06/12/2012; 31/01/2013).

13. Sempre sul punto, la Corte di giustizia ha chiarito che “le disposizioni della sesta Dir. 77/388/CEE del Consiglio, del 17 maggio 1997, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari – Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme – come modificata dalla Dir. 2002/38/CE del Consiglio, del 7 maggio 2002, devono essere interpretate nel senso che esse ostano ad una normativa nazionale che neghi ad un soggetto passivo il diritto di detrarre l’imposta del valore aggiunto dovuta o assolta per beni che gli sono stati ceduti sulla base dei rilievi che la fattura è stata emessa da un soggetto che deve essere considerato, con riferimento ai criteri previsti da tale normativa, un soggetto inesistente, e che è impossibile identificare il vero fornitore dei beni, tranne nel caso in cui si dimostri, alla luce di elementi oggettivi e senza esigere dal soggetto passivo verifiche che non gli incombono, che tale soggetto passivo sapeva o avrebbe dovuto sapere che detta cessione si iscriveva in un’evasione dell’imposta sul valore aggiunto, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare” (Corte giustizia 22/10/2015, C-277/14).

14. La giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 30148/17 – Cass. n. 967/16 – Cass. n. 20059/14) ha rimarcato, al riguardo, che, tuttavia, continua a prospettarsi un obbligo di verifica in capo al cessionario/committente a fronte di indizi che gli consentano di sospettare l’esistenza di irregolarità o di evasione; indizi, che devono essere allegati e provati dall’amministrazione in base ad elementi oggettivi, anche presuntivi.

15. Sotto questo profilo era stata già affermata la possibilità di valorizzare nel quadro probatorio, anche indiziario, che deve essere fornito dall’Amministrazione anche in merito alla presumibile assenza di buona fede del cessionario o committente: a) la circostanza che la prestazione non sia stata effettivamente resa dal fatturante, perchè sfornito della, sia pur minima, dotazione personale e strumentale adeguata alla sua esecuzione (Cass. n. 5912/2010 – Corte giustizia 13/02/2014, causa C-18/13); b) l’immediatezza dei rapporti (cedente/prestatore fatturante interposto e cessionario/committente) – a fronte di una conclamata inidoneità allo svolgimento dell’attività economica e ad una non corrispondenza tra i cedenti e la società coinvolta nell’operazione (Cass. n. 6229/2013 – Cass. n. 25778/2014); c) l’instaurazione di rapporti diretti tra il cedente/prestatore effettivo interponente ed il cessionario/committente.

16. Tali elementi di fatto, sintomatici, sono, quindi, potenzialmente idonei a consentire al cessionario o committente di rendersi conto o, almeno, di sospettare l’esistenza di irregolarità o di evasione.

17. Di conseguenza, in presenza di siffatti elementi, sarà il contribuente a dover provare, in applicazione di principi ordinari sull’onere della prova vigenti nel nostro ordinamento (art. 2697 c.c.) di non essere a conoscenza del fatto che il fornitore effettivo del bene o della prestazione era, non il fatturante, ma altri, dovendosi altrimenti negare il diritto alla detrazione dell’IVA versata (Cass. n. 6229/2013).

18. Alla luce di quanto, dianzi, esposto, le censure dedotte dalla ricorrente si rivelano fondate.

19. La CTR si è infatti limitata, a sostegno delle tesi affermate dall’Amministrazione finanziaria a richiamare, implicitamente, gli elementi di fatto accertati dalla GDF, quali: “l’insistenza dell’organizzazione aziendale e commerciale della cartiera, la qualità di prestanome dei suoi rappresentanti, la mancanza di idonea documentazione sui trasferimenti delle merci, il pagamento mediante assegni commerciali, l’inesistenza della cartiera come contribuente IVA), indicati nella sentenza rescindente, senza approfondire e corredare, concretamente, ogni singolo elemento, rispetto ai dati offerti dalla GDF, procedendo poi alla confutazione di essi, rispetto alle contrapposte deduzioni, su ogni singolo punto, prospettate dalla contribuente; ed errando, poi, nel ritenere che questa Corte, violando le proprie attribuzioni, avesse pronunciato in merito alla sussistenza dei gravi indizi attestanti la mancanza di buona fede in capo alla società ricorrente, con ciò, ulteriormente, violando il “dictum” della sentenza rescindente che richiedeva un espresso e concreto approfondimento sui suddetti elementi indiziari.

20. In disparte, inoltre, il fatto che il pagamento mediante assegni, non costituisce per consolidata giurisprudenza (“ex plurimis”, Cass. n. 15691/2011 – Cass. n. 991/2015), pagamento “anomalo”, così, come, parimenti le criticità, insussistenti, in relazione alla merce franco magazzino del compratore (clausola FMC) ed agli ordini telefonici.

21. La CTR ha omesso di motivare sull’insussistenza di vantaggi economici ritratti dagli acquisti contestati, ed effettuati dalla contribuente secondo conformi e correnti prezzi di mercato, elemento, questo che, per quanto esterno alla fattispecie tipica, risulta, comunque, di materiale intraneità alle frodi (Cass. n. 16469/18 – Cass. n. 20059/14 – Cass. n. 428/15 -Cass. n. 29002/17 – Corte di Giustizia 22 ottobre 2015, Ppuh, C- 277/14).

22. In definitiva, il ricorso appare meritevole di accoglimento limitatamente al secondo e terzo motivo nei termini sopra indicati, disatteso il primo ed assorbito il quarto, con conseguente cassazione e rinvio della sentenza impugnata alla CTR della Toscana che, in diversa composizione provvederà, anche, alla liquidazione delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata, e rinvia alla CTR della Toscana che, in diversa composizione provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 11 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 2 aprile 2020

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