Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7647 del 02/04/2014


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 7647 Anno 2014
Presidente: CIRILLO ETTORE
Relatore: VALITUTTI ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso 4522-2008 proposto da:
DE TOMASI LIDIA, elettivamente domiciliata in ROMA
VIALE DELL’UNIVERSITA 11, presso lo studio
dell’avvocato ERMETES AUGUSTO, che la rappresenta e
difende unitamente all’avvocato ERMETES PAOLO giusta
delega in calce;
– ricorrente contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

Data pubblicazione: 02/04/2014

- resistente con atto di costituzione –

avverso la sentenza n. 126/2006 della COMM.TRIB.REG.
di MILANO, depositata il 12/02/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 27/01/2014 dal Consigliere Dott. ANTONIO

udito per il controricorrente l’Avvocato BACHETTI che
si riporta e chiede il rigetto;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. SERGIO DEL CORE che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

VALITUTTI;

RITENUTO IN FATTO.
1. A Lidia De Tomasi, esercente l’attività di commerciante di prodotti ittici, veniva notificato un avviso di
rettifica con il quale l’Ufficio – sul presupposto
dell’insussistenza del requisito dell’inerenza all’ attività di impresa – recuperava a tassazione un credito IVA
non riconosciuto, nonché l’imposta indebitamente detratta
2. L’atto impositivo veniva impugnato dalla De Tomasi dinanzi alla CTP di Varese, che accoglieva il ricorso.
3. L’appello avverso la pronuncia di primo grado, proposto dall’Agenzia delle Entrate veniva, peraltro, accolto
dalla CTR della Lombardia, con sentenza n. 126/27/06, depositata il 12.2.07, con la quale il giudice di seconde
cure dichiarava nulla la sentenza di primo grado, per difetto di motivazione, nonché fondato, nel merito,
l’appello proposto dall’Amministrazione finanziaria.
4. Per la cassazione della sentenza n. 126/27/06 ha proposto, quindi, ricorso De Tomasi Lidia affidato a quattro
motivi. L’Agenzia delle Entrate non ha svolto attività
difensiva.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Con il primo motivo di ricorso, la De Tomasi denuncia
la violazione e falsa applicazione degli artt. 16, co. 6,
della l. n. 289/02 e 327 c.p.c., in relazione all’art.
360 n. 3 c.p.c.
1.1. Avrebbe, invero, errato la CTR – a parere della ricorrente – nel non dichiarare l’inammissibilità dell’ appello proposto dall’Agenzia delle Entrate per decorso del
termine previsto dall’art. 327 c.p.c. Il gravame
dell’ufficio sarebbe stato, difatti, notificato il
28.2.05, laddove – essendo stata la sentenza di primo
grado depositata il 12.2.03 – il termine ultimo per la
proposizione dell’appello, tenuto conto anche della sospensione feriale, sarebbe scaduto il 30.3.04.
1.2. Né sarebbe applicabile alla fattispecie concreta,
contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di seconde
cure, la sospensione del termini dal l ° gennaio 2003 al

dalla contribuente per l’anno 1996.

4,

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10 giugno 2004, disposta dall’art. 16 1. 289/02, atteso
che – avendo la De Tomasi presentato istanza di trattazione nel giudizio di primo grado, rinunciando, così,
espressamente alla sospensione del processo – anche il
termine per la proposizione dell’appello sarebbe incorso
nella medesima sospensione.
2. Il motivo è infondato.
16, co. 6, della 1. n. 289/02, nello stabilire che, a decorrere dal l gennaio 2003, “per le liti fiscali che possono essere definite ai sensi del presente articolo sono
altresì sospesi, sino al l ° giugno 2004, salvo che il
contribuente non presenti istanza di trattazione, i termini per la proposizione di ricorsi, appelli, controdeduzioni, ricorsi per cassazione, controricorsi e ricorsi in
riassunzione, compresi i termini per la costituzione in
giudizio”, dev’essere interpretato nel senso dell’operatività automatica della sospensione dei termini di impugnazione, fatta salva la sola ipotesi costituita dalla
proposizione di specifica istanza di trattazione da parte
del contribuente. Tale istanza, peraltro, non può che riguardare il giudizio di gravame, non potendosi dal comportamento del medesimo, che abbia reso inoperante la sospensione del procedimento pendente nel precedente grado
del giudizio (nella specie, il processo di primo grado),
desumere la volontà di rendere inoperante anche la sospensione del termine di impugnazione della conseguente
sentenza (cfr., in tal senso, Cass. 4515/09; 1654/10;
11170/10; 22552/12).
2.2. Ne discende che – come correttamente ritenuto dai
giudici di seconda istanza – del tutto irrilevante deve
ritenersi, nel caso concreto, il fatto che la De Tomasi
abbia proposto istanza di trattazione del giudizio di
primo grado, rendendo, in tal modo, inoperante la sospensione prevista dalla prima parte del co. 6 dell’art. 16
l. 289/02. Tale istanza, per le ragioni suesposte, era,
invero, inidonea a determinare – in assenza di ulteriore,
specifica, istanza – anche la sospensione dei termini per

2.1. Va – per vero – osservato, al riguardo, che l’art.

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la proposizione dell’appello avverso la decisione di prime cure, a norma della seconda parte della disposizione
in esame.
2.3. Ebbene, ai fini del computo del termine – che qui
rileva – per la proposizione dell’appello avverso le sentenze delle commissioni tributarie regionali relative a
controversie suscettibili di essere definite ai sensi
termini, stabilito dalla norma succitata dal l ° gennaio
2003 al 1 0 giugno 2004, opera come una sorta di “parentesi” nel decorso del termine per l’impugnativa, che, come
tale, quale che sia la data di pubblicazione della sentenza da impugnare, deve essere ignorata nel computo generale, che va, per il resto, effettuato secondo le regole ordinarie. Va tenuto conto, inoltre, del fatto che il
periodo di sospensione feriale dell’anno 2003 (l ° agosto15 settembre), cadente nella ben più ampia fase di sospensione stabilita dalla norma in esame, deve considerarsi in essa assorbito, non ravvisandosi alcuna ragione,
in assenza di espressa contraria previsione, perché detto
periodo debba essere calcolato in aggiunta alla stessa
(cfr. Cass. 14898/07; 5924/10).
2.4. Ne deriva, pertanto, che l’inizio del decorso del
termine lungo ex art. 327 c.p.c. per impugnare le sentenze di primo grado, depositate – come nel caso di specie
(il 12.2.03) – nel suddetto periodo di sospensione dei
termini, inizia a decorrere solo dal 2.6.04 e viene, pertanto, a scadenza il 18.7.05 (Cass. 14898/07). Per il che
– nella fattispecie in esame – l’appello dell’Agenzia
delle Entrate, notificato il 28.2.05, deve ritenersi proposto nei termini.
2.5. Per tali ragioni, dunque, il motivo in esame deve
essere disatteso.
3. Con il secondo motivo di ricorso, de Tomasi Lidia denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 36
d.lgs. 546/92 e 159 c.p.c., in relazione all’art. 360 n.
3 c.p.c.

dell’articolo richiamato, il periodo di sospensione dei

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3.1. La CTR avrebbe, difatti, erroneamente accolto
l’eccezione, proposta dall’Agenzia delle Entrate, di nullità della sentenza di primo grado per difetto di motivazione, decidendo, poi, il merito della lite, non rientrando siffatta declaratoria nei casi tassativi di rinvio
al giudice di prima istanza, previsti dall’art. 59 d.lgs.
546/92. Siffatta statuizione del giudice di appello si
dell’art. 36 d.lgs. n. 546/92, avendo il giudice di prime
cure – contrariamente all’assunto della CTR – enunciato,
sia pure con motivazione concisa, il

thema decidendum e

le ragioni giuridiche poste a fondamento della decisione.
3.2. La censura è infondata.
3.2.1. Va, difatti, osservato

in proposito

che la

sentenza di merito deve ritenersi affetta da nullità, ai
sensi degli artt. 132 c.p.c. e 36 d.lgs. 546/92, ove risulti del tutto priva dell’esposizione dei motivi sui
quali la decisione si fonda, ovvero qualora la motivazione sia solo apparente, estrinsecandosi in argomentazioni
non idonee a rivelare l’effettiva “ratio decidendi” della
pronuncia emessa (cfr. Cass. 161/09; 871/09).
3.2.2. Orbene, nel caso concreto, l’avviso di rettifica
impugnato della contribuente era incentrato sulla negazione del diritto alla detrazione dell’IVA assolta per la
l’acquisto e la ristrutturazione di un bene strumentale
all’attività esercitata, per difetto di inerenza alla
stessa, per essere stato il capannone industriale

de quo

in parte adibito ad abitazione del custode. La motivazione della decisione della CTP favorevole alla De Tomasi trascritta nel ricorso dalla stessa contribuente – si
era, per contro, limitata al seguente asserto, di per sé
del tutto privo di una specifica valenza giustificativa
della decisione adottata: “L’imposta cui si riferisce
(l’accertamento) è l’IVA 96, relativa all’acquisto di beni strumentali. Trattasi di unico complesso di capannone
con inserita la casa del custode, con due unità immobiliari, ma con destinazione e corpo di fabbrica unico”.

tradurrebbe, a parere della ricorrente, in una violazione

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3.2.3. La decisione – com’è del tutto evidente – non
enuncia in alcun modo le ragioni del convincimento del
giudicante in ordine al riconosciuto diritto alla detrazione dell’IVA assolta in relazione alle spese in questione, essendosi la CTP limitata a descrivere la situazione di fatto sottoposta al suo esame, senza trarne le
dovute conseguenze sul piano del diritto. La dedotta nulce di appello, deve – di conseguenza – ritenersi sussistente.
3.3. Il motivo suesposto non può, pertanto, che essere
rigettato.
4. Con il terzo e quarto motivo di ricorso – che, per la
loro evidente connessione, vanno esaminati congiuntamente
– de Tomasi Lidia denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 19 d.P.R. 633/72 e 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., nonché l’insufficiente
motivazione su un punto decisivo della controversia, in
relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c.
4.1. Si duole, anzitutto, la ricorrente del fatto che la
CTR abbia considerato non inerente all’attività di impresa l’acquisto di una porzione di immobile facente parte
di un capannone industriale destinato ad abitazione del
custode. In realtà – a parere della ricorrente – detta
attività di custodia non potrebbe considerarsi non inerente all’attività imprenditoriale, poichè diretta a preservare l’apparato produttivo ed il patrimonio aziendale
da possibili eventi suscettibili di pregiudicarne
l’integrità e la funzionalità. Sicchè l’IVA assolta
sull’acquisto di tale bene, o a addebitata alla contribuente in via di rivalsa, avrebbe dovuto essere considerata detraibile dal giudice di appello, ai sensi
dell’art. 19 d.P.R. 633/72.
4.2. Ad ogni buon conto, la CTR – ad avviso della De Tomasi – avrebbe dovuto, quanto meno, tenere conto del fatto che, trattandosi di bene a destinazione promiscua, il
criterio corretto da applicare sarebbe stato, perlomeno,
quello della detraibilità per la metà, in relazione alla

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lità della decisione di prime cure, dichiarata dal giudi-

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parte dell’opificio adibita ad attività produttiva. Su
tale questione, per contro, il giudice di appello avrebbe
del tutto omesso di pronunciarsi, sebbene lo stesso Ufficio, nell’atto di gravame avverso la sentenza di primo
grado, e modificando quanto sostenuto nell’avviso di rettifica impugnato (nel quale l’IVA era stata ritenuta indetraibile in toto),

avesse ammesso che il criterio più

ragione del 50%.
4.3. Le censure suesposte sono fondate.
4.3.1. Ed infatti, in materia di IVA, l’esclusione della
detrazione prevista dalle lettere e)-ter ed e)-quinquies
dell’art. 19, co. 2, del d.P.R. n. 633/72 (nel testo applicabile “ratione temporis” vigente prima della sua sostituzione da parte dell’art. 2 del d.lgs n. 313/97) riguarda i soli atti di acquisto di beni immobili “in comunione o in comproprietà” con soggetti per i quali non
sussistono i presupposti di cui agli artt. 4 e 5 del medesimo d.P.R. (lett. e)-ter), e/o di fabbricati (o porzioni di questi) a destinazione integralmente abitativa
(lett e)-quinquies), e non si applica, quindi, alle spese
di acquisto o di ristrutturazione di immobili destinati
ad uso promiscuo, in quanto adibiti solo in parte ad abitazione del custode.
In siffatta ipotesi, invero, occorre, come previsto dal
co. 4 dell’art. 19 cit., determinare la quota di imposta
indetraibile, secondo criteri oggettivi, coerenti con la
natura dei beni acquistati. A tal fine, si è ritenuto da
parte di questa Corte – e l’indirizzo merita di essere
confermato – che l’Ufficio ben possa utilizzare il criterio di deducibilità nella misura del 50 per cento delle
spese di impiego dell’immobile, dettato dal legislatore
in tema di imposte dirette (art. 67, co. 10, del d.P.R.
n. 917/86, nella numerazione anteriore al d.lgs. n.
344/03), ben potendo tale percentuale rappresentare – in
difetto di peculiarità proprie della fattispecie impositiva – un criterio oggettivo munito della necessaria caratteristica di coerenza (cfr. Cass. 3830/10).

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corretto era quello della detraibilità dell’imposta in

4.3.2. Da quanto suesposto deriva, pertanto, che ha errato, nel caso di specie, la CTR nel pretermettere l’esame
della succitata normativa in materia di detrazione
dell’IVA assolta per l’acquisto di beni con destinazione
promiscua, tanto più che la stessa Amministrazione finanziaria si era, nel corso del giudizio, determinata nel
senso di ammettere, quanto meno, una detraibilità
4.4. Le censure in esame devono, pertanto, essere accolte.
5. L’accoglimento del terzo e quarto motivo di ricorso,
comporta la cassazione dell’impugnata sentenza, con rinvio ad altra sezione della CTR della Lombardia, che dovrà
procedere a nuovo esame della controversia, tenendo conto
di tutte le allegazioni e le deduzioni difensive delle
parti in causa, ed attenendosi al seguente principio di
diritto: “in materia di IVA, l’esclusione della detrazione prevista dalle lettere e)-ter ed e)-quinquies
dell’art. 19, secondo comma, del d.P.R. n. 633 del 1972
(nel testo applicabile “ratione temporis” vigente prima
della sua sostituzione da parte dell’art. 2 del d.lgs n.
313/97) non si applica alle spese di acquisto e/o di ristrutturazione di immobili destinati ad uso promiscuo, in
quanto adibiti in parte ad abitazione del custode, dovendo, in tale ipotesi, utilizzarsi il criterio della detraibilità nella misura del 50% per cento, dettato dal
legislatore in tema di imposte dirette, con riferimento
alla deducibilità delle spese di impiego dell’immobile
(art. 67, co. 10, del d.P.R. n. 917/86, nella numerazione
anteriore al d.lgs. n. 344/03)”.
6. Il giudice del rinvio provvederà, altresì, alla liquidazione delle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione:
accoglie il ricorso; cassa l’impugnata sentenza con rinvio ad altra sezione della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, che provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio.

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dell’imposta al 50%.

MENTE DA REGISTRAZIONE
Al SENSI DEL D-.P:R. 26/4/1986
– 8 –

N. 131 TAB. ALL. – N.3

MATERIA TRIBUTARIA

Così •eciso in Roma, nella camera di consiglio della Se-

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